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Nell'Assoluto dell'infinita possibilità con Rosmini e Leopardi

L’umana ragione ha bisogno che ci sia un senso di tutto ciò che è, e se questo senso deve coincidere con l’Assoluto, allora proprio l’Assoluto è la cosa più naturale per l’umana ragione; altrimenti tutto sprofonda nell’impensabile e invivibile mancanza di senso, in cui non solo risulta impraticabile una qualsivoglia ragione, tanto teoretica quanto pratica, ma dove anche qualsiasi pensiero/parola, a cominciare di quelle che ho già scritto, sto scrivendo e mi accingo a scrivere, varrebbe tanto quanto un qualsiasi caotico, effimero e casuale rumore producentesi nel cosmo o, per dir meglio, nel caos infinito.

Capisco che fondare un argomentare su questo bisogno, che, tuttavia, il grande pessimista Giacomo Leopardi considerava naturale (cfr. Zibaldone § 1618), possa avere il sentore di un presupposto infondato, o, ancor più, l’innegabile sapore del punto di vista umano troppo umano; ma penso anche alla contraddittorietà e alla palese assurdità insite nel tentativo di una qualche approssimazione al “senso dell’essere” cercando di svincolarmi, inverosimilmente, da quel “umano pensare”, quale mi è dato qui e ora: come se dovessi prima disincarnarmi per poter eventualmente poi riuscire a cogliere un “senso dell’essere” che, comunque, per essere tale dovrebbe ricomprendere in se stesso anche il senso di quella “carne” da cui illusoriamente avevo immaginato di spogliarmi.

Per evitare, allora, la critica di pregiudizio antropomorfico, è criticamente preferibile, a mio avviso, partire dall’idea di infinito, senza anticipatamente pensarla armonica e/o caotica, ma solo pensandola simpliciter come ‘infinita possibilità’.

È ancora il genio del grande Leopardi, qui, a farci da guida in Zibaldone § 1646: Da che le cose sono, la possibilità è primordialmente necessaria, e indipendente da checché si voglia. Da che nessuna verità o falsità, negazione o affermazione è assoluta, com’io dimostro, tutte le cose son dunque possibili, ed è quindi necessaria e preesistente al tutto l’infinita possibilità.

Il grande poeta filosofo continua affermando l’innegabile nesso di questa infinita possibilità con l’infinita onnipotenza, ritenendo inconcepibile l’una senza l’altra e viceversa, e perciò conclude: Ecco Dio: e la sua necessità dedotta dall’esistenza, e la sua essenza riposta nell’infinita possibilità, e quindi formata di tutte le possibili nature. (7/9/1821).

Personalmente, non penso che il suddetto nesso sia, intuitivamente, così conseguente ed innegabile (come dichiara qui Leopardi) e che, dunque, si debba dare per dedotta l’esistenza di Dio – ma non era poi certo questo l’intendimento dell’ateo Leopardi! –; per questo nell’intuitiva idea di infinita possibilità mi limito ad intravedere solo una traccia di Assoluto.

Una traccia di Assoluto che, a mio avviso, riesce però a filtrare, anche in Leopardi,

da queste ‘negazioni’:

§ 452 – Non v’è quasi altra verità assoluta se non che Tutto è relativo. Questa dev’esser la base di tutta la metafisica. (22/12/1820).

§ 1618 – … riconoscendo tutto per relativo, e relativamente vero, rinunziamo a quell’immenso numero di opinioni che si fondano sulla falsa, benché naturale, idea dell’assoluto, la quale, come ho detto, non ha più ragione alcuna possibile, da che non è innata, né indipendente dalle cose quali elle sono, e dall’esistenza. (3/9/1821)

a queste ‘conclusioni’:

§ 1620 – … Sin qui nella materia. Usciti della materia ogni facoltà dell’intelletto si spegne. Noi vediamo solamente che nulla è assoluto né quindi necessario. Ma appunto perché nulla è assoluto, chi ci ha detto che le cose fuor della materia non possano essere senza ragion sufficiente? Che quindi un Essere onnipotente non possa sussister da sé ab eterno, ed aver fatto tutte le cose, bench’egli assolutamente parlando non sia necessario? Appunto perché nulla è vero né falso assolutamente, non è egli tutto possibile (sottolineatura mia), come abbiamo provato altrove? (3/9/1821).

Come si vede, sono proprio queste insistenti domande di Leopardi ad aprire quel piano di problematicità nel quale la stessa affermazione della “relatività del tutto” si ritorce su di sé, relativizzandosi in tal modo da far emergere l’assolutezza e la necessità dell’affermazione che, invece, “tutto è possibile”, implicando così l’assolutezza e la necessità dell’infinita possibilità.

Emanuele Severino, che nel suo splendido saggio Cosa arcana e stupenda – L’Occidente e Leopardi (Milano, 1997) giustamente sottolinea (a p.132) come il nostro grande poeta-filosofo abbia «essenzialmente anticipato la riflessione di Schelling, N.Hartmann e Heidegger sul senso del fondamento», commenta, inoltre, che «proprio per non sopprimere, e cioè per salvare il divenire, il pensiero di Leopardi compie per la prima volta, nel pensiero occidentale, il gran passo che nega ogni eterno, ogni assoluto, ogni necessità e preesistenza, ogni epistéme, ma proprio per non sopprimere e per salvare il divenire il pensiero di Leopardi deve affermare che la “possibilità è necessaria ed eterna” ed è “l’unica cosa assoluta” che “preesiste alle cose”» (p. 129).

Anche un altro grande genio italiano, Antonio Rosmini, nella sua immensa Teosofia (Milano 2011) scrive: «La cognizione di un ente finito qualunque non fa solamente conoscere l’ente finito nella sua ‘realità’, ma anche nella sua ‘possibilità’, anzi quella si conosce per questa, che logicamente precede. Che cosa è conoscere l’ente finito nella sua possibilità? «Conoscerlo in quanto è necessariamente nell’essere» § 83 [non a caso anche Leopardi parlava di “possibilità primordialmente necessaria”].

Per Rosmini, addirittura, è proprio l’intuizione naturale dell’essere a porsi come “primo atto del pensare assoluto”: ecco come al bisogno di Assoluto corrisponde l’assolutezza del pensare e, infatti, «…si scorge primieramente che nel pensare vi ha sempre alcuna cosa dell’assoluto, perché niente si può pensare senza pensare insieme l’essenza dell’essere che in quanto è manifesta alla mente dicesi idea». (§ 1999)

«L’essere virtuale e iniziale, ossia l’essere intuito per natura di cui la riflessione scoperse le relazioni di virtualità e inizialità, è necessario come abbiam veduto, perché l’essere non può non essere». (§ 298)

Mi pare estremamente significativa questa convergenza tra il teista Rosmini e l’ateo Leopardi relativamente all’assolutezza e innegabilità dell’infinita possibilità.

Volendo mantenere, dal punto di vista teoretico, una certa qual epochè sulle opzioni di fede di questi due grandi pensatori, personalmente preferisco indicare come Mistero questo assoluto di infinita possibilità.

Un Mistero che È.

Lo scrivo in maiuscolo proprio per esprimerne l’assolutezza e, dunque, l’ineludibilità di doverlo pensare e interrogare: questo è il senso e tutto il valore della filosofia.

 

 

 




Aggiunto il 13/06/2018 12:41 da Alfio Fantinel

Argomento: Filosofia moderna

Autore: Alfio Fantinel



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