Dimentichiamo discorsi difficili, teorie con velleità sistematizzanti,
vite da biblioteca e macerazione. Pierre Hadot, studioso di filologia e
filosofia antica (1922-2010), ha dedicato l'intera esistenza a
illustrare una filosofia che è anche pratica di vita, un'ascetica che ha
come fine la felicità, e non l'autodistruzione. Difficile per noi, che
chiamiamo filosofo l'uomo – o la donna – dai molti studi, dal lessico
esoterico, dal perverso gusto per teorie lontane dalla vita quotidiana.
Impossibile poi se siamo ammorbati da pregiudizi di obsoleti manuali,
che vogliono Socrate entusiasta bevitore di cicuta, Diogene di Sinope
vestito di una botte, gli Stoici teoricamente sereni anche nel toro di
Falaride, ovvero rinchiusi in un toro di metallo posto sul fuoco, così
insieme arsi e scottati; perfino gli Epicurei li crediamo infine
convinti che il maggior piacere sia quello di non provare nulla, quindi
nemmeno gioia, contentezza, felicità.
Gli scritti di Pierre Hadot introducono a tutt'altra visione della
filosofia antica, già definita in altri libri come "esercizio
spirituale" e "modo di vivere", e questa raccolta di brevi saggi, con il
raro pregio della chiarezza anche per non addetti ai lavori, riassume
questa sorta di rivoluzione nella lettura dei filosofi antichi e
tardoantichi che va almeno discussa se non accettata volentieri. Il
filosofo ha un dovere nei confronti della felicità, non intesa come
egoistico raggiungimento di uno stato in qualsivoglia senso perfetto, ma
come faticoso cammino da intraprendere insieme ai propri pari e ai
discepoli. Pensiero e prassi si uniscono così nella vita comune
(concessa alle donne solo nel giardino epicureo e poi nella Roma
imperiale), dove un maestro cerca con i suoi di vivere al meglio, senza
dimenticare la vita sociale. Per cancellare ogni dubbio bastano gli
esempi di Platone e dei suoi sfortunati viaggi a Siracusa, nonché dei
tanti scritti politici, o di Aristotele, precettore di Alessandro Magno,
autore di una Politica e di almeno tre Etiche. La filosofia non era
quindi un mestiere come l'ingegneria navale o la culinaria. Era un modus
vivendi, perfettamente inserito nella vita sociale (anche quando dava
fastidio, come nei casi del giustiziato Socrate o dell'autoesiliato
Aristotele), che attraverso lo scambio tra maestro e allievi non si
stancava mai di cercare. Forse che la felicità sia proprio nella
ricerca? Ma non è vero, non è solo in questa. Perché gli antichi non si
vergognano di parlare di momenti per i quali una vita intera vale la
pena di essere vissuta, di pienezza della felicità di chi ha salute e
amici, di impegno nelle cose del mondo, ma sempre pronti: «se il
timoniere ti chiama, lascia perdere tutto, e corri alla nave senza
nemmeno voltarti indietro», così Epitteto. Parole simili a quelle della
rivelazione cristiana. Porfirio scrisse un'opera sulla filosofia
rivelata dagli oracoli, ne parleremo una delle prossime domeniche. Ora
solo un ringraziamento a Pierre Hadot, che ha dedicato la vita a farci
scoprire quanta vita ci sia nelle parole antiche.
Fonte:
Sole24Ore
Aggiunto il 03/04/2012 12:07 da Admin
Argomento: Filosofia antica
Autore: Maria Bettetini