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SUL CONCETTO DI CASO, CAUSA E NECESSITÀ

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SUL CONCETTO DI CASO, CAUSA E NECESSITÀ


Molto spesso si dice che qualcosa accade per caso. Ma che cosa in realtà si intende dire con tale parola? Si intende dire che non esiste una causa? Certo che no. L’uso del termine sta ad indicare soltanto che non siamo in grado di individuare una causa, perché i fattori che entrano in gioco in quel dato evento sono troppo sfuggenti o troppo complessi per poterli afferrare. Solo per fare qualche esempio, si pensi al gioco dei dadi o all’atto di mischiare un mazzo di carte. Il risultato di entrambe le operazioni è casuale perché la causa è difficilmente raggiungibile e non perché essa non esista.

Tuttavia la parola caso richiama lo stesso alla mente un accadere privo di determinatezza e di causa. La ragione sta nel fatto che noi non distinguiamo sempre come dovremmo tra causa necessitata e causa non necessitata. La causa che soggiace ad un evento casuale non è priva di determinatezza solo perché impossibile da individuare, ma soprattutto perché essa non è necessitata: è necessitante ma non necessitata. Ciò significa che essa non discende da nessun’altra causa. È per così dire un primum causale che si pone nell’attimo stesso in cui viene all’essere, e si pone in modo arbitrario e libero. Se noi immaginiamo la causa come un insieme, possiamo dire che esso è un insieme in cui tutte le cause ivi contenute stanno sullo stesso piano e possono essere sostituite le une con le altre indifferentemente. È proprio per questa ragione che la nostra mente formula l’idea di indeterminatezza di cui sopra.

Quando nell’articolo sulla libertà dell’uomo in modalità teopoietica si è parlato di libertà assoluta come “accadere senza causa”, si faceva riferimento proprio ad una causa non necessitata, quindi atemporale e senza storia.

Ora la differenza tra questa libertà e quella dell’uomo consiste in ciò: la prima riguarda la natura nella sua più intima e misteriosa essenza, mentre la seconda il succedere di certi eventi secondo la volontà dell’uomo. In quest’ultima c’è un soggetto con una volontà; nella prima invece non sappiamo che cosa ci sia. Potrebbe esserci anche lì un soggetto con una volontà, però potrebbe anche non esserci. Potrebbe essere la natura stessa un soggetto, di cui però non abbiamo nessuna esperienza o rappresentazione attendibile. Potrebbe essere anche la volontà dell’uomo in grado di porre cause non necessitate, perché no, ma non lo sappiamo con sicurezza. I “potrebbe” sono veramente tanti per non sentirci in uno stato di esitazione e di dubbio.

In certi momenti se io alzo un braccio in modo immotivato, mi viene da pensare che ne sono capace e parlo con me stesso così: «Hai visto? Hai fatto un movimento non necessario in seguito a una causa non necessaria, e cioè non necessitata». E concludo che anche io posso godere di libertà assoluta. Ma poi mi rendo conto che è una sciocchezza; perché quel movimento aveva una causa determinata nei miei pensieri, consci o inconsci che fossero.

Insomma, alla fine per la libertà assoluta vale la famosa terza antinomia della dialettica trascendentale kantiana: la tesi afferma che nel mondo esiste una causalità libera, e cioè non necessitata; mentre l’antitesi asserisce che nel mondo non esiste una causalità libera ma solo una causalità necessaria, e cioè necessitata. Nell’imbarazzo di non poter provare né la tesi né l’antitesi, non rimane che optare per la libertà relativa nella vita dell’uomo: ci sono nel mondo solo cause necessitate, ma quelle che nascono dall’interiorità dell’individuo e non da condizionamenti esterni rendono l’uomo libero. E parimenti: una società che assicuri in linea di principio l’esercizio di tale libertà, è una società libera e giusta.

Tuttavia qui si apre lo scenario di una società che deve porre delle regole affinché l’esercizio della libertà di un individuo non vada in conflitto con quello di un altro individuo; nonché l’altro scenario ancora più allarmante (che non si vedeva ancora ai tempi di Kant) in cui l’esercizio della libertà dell’uomo entra in conflitto colla natura che ci circonda e con la natura che malgrado tutto vive dentro l’uomo stesso.

Oggi una società che non regoli il rapporto uomo-natura e che non ripristini attraverso l’educazione il valore intrinseco degli enti di natura, deve essere ancora considerata ingiusta. L’etica dell’uomo richiama necessariamente nei nostri tempi quell’etica della natura che, ahimè, si stenta a scrivere e a riconoscere. Il mondo naturale, che nel mondo antico era sacro e inviolabile, ha perso per l’uomo attuale, figlio di una tecnica e di una razionalità sconsiderate, sia la sacralità che l’inviolabilità. Esso si è ridotto a discarica e magazzino, il che non fa onore nemmeno alla razionalità dell’uomo che pretende di conoscerlo, dominarlo e trasformarlo.







Aggiunto il 14/06/2017 13:07 da Giuseppe Randone

Argomento: Filosofia teoretica

Autore: GIUSEPPE RANDONE



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