L’informatica, per esempio, offre alla filosofia un insieme di nozioni fertili, cioè argomenti, metodi e modelli che consentono di impostare la ricerca in modo nuovo. L’informatica fornisce così delle ulteriori opportunità e pone sfide alla tradizionale attività filosofica. Del resto, essa sta modificando l’attività professionale dei filosofi, tanto per il modo in cui fanno ricerca, quanto per come collaborano tra loro. Ma – ed è questo il punto di maggiore importanza – l’informatica sta modificando il modo in cui i filosofi comprendono alcuni concetti di fondamentale importanza, come quelli di “mente”, “coscienza”, “esperienza”, “conoscenza”, “verità”.
Interessi simili da parte dei filosofi non sono affatto nuovi. Pitagora era affascinato dal circolo e identificava strettamente la realtà con i numeri. Egli era colpito dal calcolo dei rapporti in musica che dimostrano come la bellezza nella musica dipenda da relazioni matematiche corrette tra le note di una scala. Nel diciassettesimo secolo, poi, Thomas Hobbes propose una spiegazione meccanica, “computazionale”, della mente umana. Per Hobbes percezione, immaginazione e memoria potevano essere spiegate in termini di movimenti di materia secondo le leggi della meccanica. Ragionamento altro non è che “calcolare, cioè aggiungere e sottrarre, le conseguenze di nomi generali concordati per designare e rappresentare i nostri pensieri”.
Nel 1642 Pascal sviluppò una delle prime macchine calcolatrici, in grado di eseguire somme. Più tardi, Leibniz progettò una macchina capace di compiere moltiplicazioni, convinto che asserzioni su oggetti complessi potessero essere derivate da asserzioni sui loro componenti più semplici per mezzo di un procedimento analogo alla moltiplicazione. Egli propose che, se si fossero potuti isolare alcuni concetti fondamentali – una specie di alfabeto del pensiero umano – tutte le verità verrebbero calcolate a partire da essi.
Nel ventesimo secolo la teoria della computazione si è sviluppata e ha avuto un impatto straordinario sulla filosofia. Alan Turing, brillante matematico e filosofo inglese, ha proposto un’idea di computazione in termini di meccanismi matematici astratti, ora noti come “macchine di Turing”. Il suo lavoro, insieme a quello di Kurt Gödel e altri, ha permesso di penetrare in profondità la natura dei limiti della logica e della matematica. Una tesi oggi largamente accettata afferma che qualunque cosa sia computabile lo è mediante una macchina di Turing. Se la si accetta, la computazione risulta provvista di enormi possibilità, ma anche di serie limitazioni.
Il suo lavoro è stato molto importante per predisporre le fondamenta del calcolo digitale; lo stesso Turing lavorò su alcuni primitivi meccanismi di calcolo digitale, tra i quali uno che fu di grande aiuto nella decifrazione del codice segreto tedesco “Enigma” durante la seconda guerra mondiale. Turing pensava che l’agire intelligente potesse essere compreso in termini di computazione, e in seguito propose il celebre “test di Turing” per stimare le capacità intellettuali dei computer attraverso la valutazione di conversazioni tra umani e computer.
Attraverso la computazione alcune idee astratte possono essere sviluppate e indagate. Non c’è nulla di male in una buona riflessione “a tavolino”, condotta senza l’aiuto del computer; questo genere di riflessioni, infatti, ha una storia straordinaria di produzione di idee che hanno approfondito la nostra conoscenza della realtà. Ma la riflessione a tavolino ha i suoi limiti. Per quanto sofisticata possa essere la nostra immaginazione e la nostra capacità di ragionamento, esistono dei limiti pratici alla quantità di complessità che può essere gestita senza alcun supporto esterno. La ricorsione elaborata a tavolino non può spingersi molto in profondità.
Ma quando le idee vengono modellate su un computer, alcune delle conseguenze, soprattutto quelle che emergono dopo una lunga elaborazione, si mostrano in un modo che sarebbe stato assolutamente non rilevabile senza l’ausilio del calcolatore; tanto i modelli quanto i metodi possono essere così più precisi, collaudati e raffinati. Questi risultati filosofici possono inoltre essere condivisi con altri che, per parte loro, li sottopongono a esame. I filosofi hanno sempre condiviso le loro idee mediante la produzione scritta, e ora utilizzano il computer come strumento filosofico per condividere le opinioni. Le idee astratte, insomma, si animano.
In questo senso l’intelligenza artificiale ha ricevuto grande attenzione da parte della filosofia nel corso degli ultimi cinquant’anni. Possiamo costruire dei calcolatori “realmente” intelligenti? In un torneo di scacchi il computer Deep Blue ha sconfitto Gary Kasparov, uno dei migliori giocatori di scacchi al mondo. Una prestazione straordinaria per il calcolatore, dato che gli scacchi sono generalmente considerati uno dei giochi più impegnativi dal punto di vista intellettuale.
Tuttavia la vittoria di una macchina contro un campione del mondo di scacchi in carne e ossa non è arrivata così rapidamente. Decenni fa gli entusiasti sostenitori dell’Intelligenza Artificiale affermavano che i computer sarebbero diventati nel giro di poco tempo campioni del mondo di scacchi. In un suo libro, “Che cosa non possono fare i computer”, Hubert Dreyfus ha paragonato l’IA all’alchimia: il suo successo dipende a suo avviso da una serie di trucchi ad hoc, in quanto non esiste una teoria globale che sostenga la disciplina. E’ possibile che l’IA raggiunga alcuni successi, ma essi, secondo l’immagine pittoresca di Dreyfus, sono come l’arrampicarsi su un albero per raggiungere la luna: dopo il successo iniziale arriva il triste fallimento.
Secondo Dreyfus il problema dell’IA è che essa funziona in domini privi di contesto come gli scacchi, che possono essere formalizzati. Ma la vita in generale non è decontestualizzata o formalizzabile: non è un gioco di scacchi. Gli esseri umani hanno delle intuizioni che si sono formate attraverso migliaia di interazioni con vari tipi di situazioni, per cui non applicano regole formali per risolvere problemi, ma fanno affidamento sull’intuizione per prendere decisioni corrette.
L’IA è alcune volte suddivisa in un programma di IA debole e uno forte. Il primo valuta le applicazioni dell’IA come utili dal punto di vista strumentale, tutt’al più come interessanti simulazioni, ma mai come esempi di intelligenza reale. Il programma forte, d’altra parte, considera l’IA in corsa per la creazione di menti che hanno intelligenza e coscienza reali, alle quali semplicemente accade di essere contenute in corpi meccanici. E una delle obiezioni ricorrenti contro la possibilità dell’IA forte è costituita dal problema filosofico dei “qualia”: gli esseri umani hanno esperienze qualitative, fenomeniche e soggettive. Noi tutti sappiamo che questo è vero, ma sembra impossibile che le macchine abbiano dei “qualia”: come può un computer avere “esperienza” di qualcosa?
L’informatica non costituisce soltanto un nuovo argomento di studio per i filosofi, ma è pure uno strumento attraverso il quale dare forma a teorie e posizioni filosofiche. Si consideri lo studio dell’epistemologia, ovvero la teoria della conoscenza. L’epistemologia è vista spesso come il cuore della filosofia: i filosofi vogliono capire cosa sia la conoscenza e come si giustifichi. Cosa vuol dire pensare “razionalmente”? Teorie filosofiche della conoscenza e della credenza sono state avanzate nel corso del tempo, ma solo in modo vago e astratto. Ora possono essere costruiti dei modelli computazionali per dimostrare come le strutture della credenza possano interagire ed essere modificate alla luce di nuove credenze.
Anche la creatività, un argomento che sembra refrattario a qualsiasi metodo computazionale, può essere esplorato utilizzando modelli computazionali. Margaret Boden definisce un’idea creativa come idea che è “nuova, sorprendente e preziosa”; sostiene inoltre che i computer possono produrre idee creative, aiutandoci così a comprendere cosa sia la creatività e come si realizzi, e anche aiutandoci a essere noi stessi creativi.
Il grande Isaac Asimov, con il suo celebre ciclo dei Robot, ha corso molto con la fantasia, arrivando a immaginare automi così simili a noi da essere indistinguibili dagli esseri umani reali. Agli scettici – e sono molti – occorre quindi rammentare che la fantascienza ha spesso anticipato sviluppi che prima sembravano irrealizzabili.
Fonte: L'Occidentale
Aggiunto il 11/12/2012 16:20 da Admin
Argomento: Filosofia della mente
Autore: Michele Marsonet
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