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Proclo e la controversia tra Platone ed Omero

                                                             Proclo e la controversia tra Platone ed Omero

Proclo è un filosofo neoplatonico vissuto nel V secolo d.C., considerato uno dei massimi interpreti platonici.

Grande importanza riveste la sua opera il Commento alla Repubblica di Platone, poiché è l’unica opera esegetica pervenutaci dall’antichità sulla Repubblica. Il Commento è un corpus di lezioni riguardanti più argomenti articolato in diciassette Dissertazioni (di cui la II e parte della III andate perdute). Nella V Dissertazione, esegesi del libro III della Repubblica, Proclo riferendosi in particolare al passo 392c sgg, illustra la concezione platonica della poesia. Platone si scaglia contro la poesia, intesa come mimesi, ossia imitazione della realtà, poiché essa narra di fatti inverosimili, e la ritiene inadatta per l’educazione dei giovani. Il filosofo non si scaglia solamente contro la poesia, ma anche contro i poeti che rappresentano le divinità come esseri immorali, pieni di vizi e meschini; se i giovani prendessero queste rappresentazioni delle divinità come modelli da imitare, diventerebbero a loro volta immorali. Nelle critiche rivolte ai poeti, Platone non menziona mai apertamente il nome di Omero, ma il riferimento al poeta greco sembra implicito. Il compito che l’esegeta si propone è quello di redimere Platone dalle accuse, rivoltagli principalmente da Aristotele, di voler condannare la poesia. L’esegeta confronta alcuni passi del Fedro e del Simposio in cui è Platone stesso ad affermare che il vero poeta è solo colui che ha ricevuto l’ispirazione divina e che la poesia è ispirata proprio dalle divinità. Proclo sviluppa le sue argomentazioni articolandole in 10 questioni, a cui cerca di dare una risposta. Particolarmente significativi per la difesa di Platone sono il primo quesito e il decimo quesito. La prima questione concerne l’origine divina della poesia e l’esegeta si domanda per quale motivo, se la poesia è ispirata dalla Muse, Platone la stia condannando. Nel decimo problema, invece, Proclo si domanda quale dovrebbe essere il poeta divino, unico modello da imitare. Le questioni evidenziate dall’esegeta, oltre a farci riflettere sull’autonomia del poeta, si dimostrano efficaci per evidenziare quella che è, secondo la prospettiva procliana, la reale visione della poesia per Platone; ci sono state delle cattive interpretazioni delle parole platoniche e le accuse di Aristotele si rivelano infondate. Il fine di Prolco è quello di salvare la poesia, poiché essa è ispirata dalla Muse. ma egli vuole anche dimostrare che Platone non è ingiusto nel condannare i poeti che rappresentano le divinità come esseri immorali. La difesa procliana di Platone si muove su un piano interpretativo-allegorico. L’esegeta vuole dimostrare che le parole di Platone sono state fraintese, poiché il filosofo non ha nessuna intenzione di condannare definitivamente la poesia tragica, ma vuole limitare quelle letture in cui le divinità sono descritte come esseri immorali; i poeti così non stanno rappresentando il vero e cercano di traviare i giovani, rappresentando dei modelli indegni di imitazione. Per Platone, la vera poesia non può narrare di divinità meschine, ma deve parlare del bene. Il poeta è un imitatore della realtà, non deve imitare i fatti negativi, ma le azioni buone, così che possano divenire dei modelli da seguire per i lettori.


Oltre che redimere Platone dall’accusa di condannare la poesia, l’esegeta cerca anche di salvare Omero dalla critica, rivoltagli dallo stesso Platone, per aver rappresentato le divinità come esseri immorali e pieni di vizi. Proclo cerca di rivalutare Omero non semplicemente dal punto di vista letterario, ma anche sul piano morale, sostenendo che i suoi poemi non sono stati effettivamente compresi. L’esegeta, in particolare, si scaglia contro l’interpretazione religiosa dell’Iliade e dell’Odissea. Sono stati i maestri a caricare i poemi omeri di un’interpretazione a carattere religioso; i testi omeri devono essere letti come testi letterari di grande spessore culturale. La stessa figura di Omero è stata rappresentata come un saggio cieco, simbolo della trascendente visione in relazione con il divino. Proclo, come i neoplatonici, ha cercato di rivalutare Omero sostenendo che i comportamenti negativi delle divinità rappresentati dal poeta, in realtà devono essere interpretati e non imitati e il commentatore che cerca di interpretare le allegorie presenti nei poemi omerici è molto lontano dal cogliere il reale significato che il poeta cerca di darli. Dal punto di vista poetico, le divinità rappresentate come piene di vizi o gli eroi che piangono donano un grande significato drammatico ai poemi, ma dal punto di vista morale queste azioni non sono degne di essere imitate. Inoltre, Proclo mette in evidenza che Platone non vuole condannare Omero, poiché nel libro X della Repubblica [1] sostiene di avere una grande stima per il poeta, anche se è riluttante a parlarne. La condanna di Platone è rivolta alla mimesi, l’arte mimetica della realtà legata al mondo delle percezioni. 


Disciplina: Storia della filosofia antica

Autore: Dott.ssa Di Leonardo Arianna 

                                                                

                                                                                                  Bibliografia

-         Omero, Iliade, traduzione e saggio introduttivo di Guido Paduano; commento di Maria Serena Mirto, Torino, Einaudi-Gallimard, 1997. 

-         Omero, Odissea, traduzione di G. Aurelio Privitera, introduzione di Alfred Heubeck, indici a cura di Donato Loscalzo, Milano, Mondadori, 1991. 

-         Platone, La Repubblica, introduzione di Mario Vegetti, Roma-Bari, Laterza, 2018.

-         Proclo, Commento alla Repubblica di Platone, (Dissertazioni I, III-V, VII-XII, XIV-V, XVII) a cura di Michele Abbate, prefazione di Mario Vegetti, Milano, Bompiani, 2014.

 


[1] Cfr. Repubblica, X, 602b. 




Aggiunto il 03/04/2020 13:14 da Arianna Di Leonardo

Argomento: Filosofia antica

Autore: Di Leonardo Arianna



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