Riflessioni a margine del testo di Habermas: “Morale, Diritto, Politica”
“Vi sono 144 usanze in Francia, che hanno valore di legge; queste leggi sono quasi tutte diverse. Un viaggiatore in questo paese, cambia leggi quasi tante volte quante cambia i cavalli di posta. [...] al giorno d’oggi, la giurisprudenza si è tanto perfezionata, che non vi è usanza che non abbia diversi commentatori, e tutti, inutile dirlo, di avviso differente.”
Con queste parole Voltaire descriveva il sistema delle leggi francesi prima della Rivoluzione: una costruzione variegata che ospitava nei suoi anfratti i privilegi dei nobili e del clero. Questa situazione è cambiata con la Rivoluzione francese ed il passaggio a leggi unificate di tipo astratto e universale, che ancor oggi costituiscono la spina dorsale delle organizzazioni statali.
Un pensiero astratto è privo di colori e di odori, di volti luoghi e date; la forma astratta e universale della legge non consente di privilegiare certi individui al posto di altri, poiché non li può nominare (infatti se li nominasse avremmo un’espressione non più astratta, ma provvista di riferimenti concreti). Essendo slegata da situazioni precise essa è portabile nei diversi luoghi del nostro universo sociale di oggi e di domani.
Proviamo a dare un’occhiata all’articolo 575 del codice penale italiano, quello relativo all’omicidio: Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Il testo, per mezzo della parola “chiunque”, si riferisce chiaramente ad ogni uomo, non solo a quelli appartenenti a certe classi sociali. Non si parla dell’omicidio commesso dai poveri ai danni dei ricchi o di reclusioni più lunghe per gli uomini piuttosto che per le donne.
Max Weber parla di razionalità del diritto riferendosi alla forma astratta e universale delle leggi oltre che ad altre caratteristiche collegate, quali l’ordinamento delle leggi in un sistema di frasi coerenti fra di loro; l’assenza di destinatari specifici della legge; un’applicazione il più possibile meccanica, mirata a minimizzare i casi in cui è necessario un giudizio di carattere soggettivo; chiarezza e semplicità per generare nella cittadinanza delle aspettative certe a riguardo di ciò che è lecito, le quali costituiscono un presupposto importante per i progetti sociali ed economici.
In questa concezione di razionalità non ci si riferisce direttamente a cosa viene detto, ma a come viene detto. Non si danno indicazioni rispetto al contenuto, ma alla forma in cui questo è scritto. Si parla perciò di proprietà formali della legge.
Se ci immaginiamo di fotografare la legge otterremo una fotografia in
cui sarà possibile individuare la razionalità così come la intende
Weber, che nel suo discorso si riferisce alla struttura della legge e
non ai processi con cui essa si forma o a quelli con cui viene
applicata, per catturare i quali sarebbe necessario un filmato.
Secondo Weber la razionalità della legge è la proprietà fondamentale che le consente di giustificare il potere, di legittimarlo agli occhi del popolo. I governi infatti non si limitano ad imporre con la forza una serie di norme fatte a loro piacimento senza il rispetto di nessun principio: hanno bisogno di operare con delle frasi che riscuotano nella popolazione un qualche grado di accettazione. L’alternativa, indesiderabile, è un potere completamente autoritario operante senza il consenso, esclusivamente per mezzo della forza.
Storicamente la legge centralizzata di forma astratta e universale funziona per contrastare i privilegi della nobiltà e del clero favorendo quindi la posizione di coloro che ottengono ricchezza con il proprio lavoro anziché per nascita, rendita o tradizione. Grazie alla protezione della proprietà individuale molti cittadini possono accumulare e conservare il frutto di tale lavoro. Si creano i presupposti per un’accresciuta importanza dei mercati in cui gli individui si confrontano cercando vantaggio per mezzo dello scambio di beni materiali e di servizi, senza violenza, all’ombra di una regolamentazione garantita da uno stato che detiene il monopolio dell’uso della forza.
Tale cambiamento storico si risolve in un progresso nel momento in cui consente ai cittadini di porre in essere il proprio progetto di vita, ma non è privo di aspetti negativi. In particolare non impedisce la formazione di un ampio strato di popolazione al di sotto del livello minimo di reddito necessario per una vita dignitosa. Se tale fascia di malessere assume una natura sistemica, nasce il bisogno di una sua gestione sistematica da parte dello stato, per mezzo di apposite normative. Esempi in questo senso sono le pensioni di vecchiaia e invalidità, l’assistenza sanitaria, la stesura di contratti collettivi di lavoro specifici per ogni settore.
Dov’è il problema, per chi desidera mantenere la razionalità della legge? Il punto è che le leggi necessarie per migliorare lo status dei disagiati non parleranno degli uomini in generale, come richiedevano l’astrattezza e l’universalità delle leggi: parleranno degli uomini poveri. La tutela dei deboli si risolve in un aumento di complessità della legge e nell’allontanamento dai criteri di razionalità formale della legge, per via della necessità di definire le situazioni particolari in cui l’intervento assistenziale è necessario.
Riassumendo: semplicità ed astrazione sono applicate all’inizio
dell’Ottocento per risolvere dei garbugli inefficienti di leggi nei
quali si annidavano molti privilegi. Allontanandosi dal punto zero in
cui è avvenuto il cambiamento gli effetti negativi delle nuove leggi si
accumulano e si evidenziano in zone grigie
che hanno bisogno di essere gestite con altre leggi, le quali sono più
specifiche e dettagliate perché devono adattarsi alla molteplicità di
aspetti del sistema in essere, senza poterla annullare con una nuova
improbabile rivoluzione.
Tale sviluppo equivale ad un allontanamento del diritto dalla
razionalità formale della legge così come l’abbiamo descritta sopra, e
può dunque essere indicato con l’espressione deformalizzazione del diritto.
La deformalizzazione dipende sia dall’accumulo di continuità storica
che non viene ripudiata da un momento di discontinuità, sia
dall’aumento di complessità del sociale a cui si applica la legge.
Negli antichi imperi la legge è basata su di un’origine sacra, sulla
consuetudine e sull’operato della burocrazia. Il sovrano non può fare
della legge ciò che vuole, perché questo significherebbe andare contro
la tradizione e contro l’autorità divina da cui la legge proviene. Il
fatto che i vertici del potere politico non possano disporre a proprio
piacimento della legge viene indicato parlando di un momento di indisponibilità della legge.
Nel momento in cui la consuetudine e il divino smettono di essere fonti
della legge, come unico riferimento rimangono le raccolte di norme
create dall’uomo, che come le ha create le può anche modificare;
si presenta quindi il rischio che la legge venga manipolata ai propri
fini dalla dimensione politica, e si sente il bisogno di ancorare la
legge ad un riferimento che la protegga dai capricci del potere; una
possibilità è stabilire che la legge debba essere l’espressione della
volontà collettiva del popolo la cui autorità viene posta al di sopra
di ogni altro organo dello stato.
Se qualcuno mi dovesse chiedere cosa sto facendo in questo momento,
non risponderei analizzando l’interno della mia psiche e cercando di
individuare le parti del pensiero coinvolte nell’attività di scrittura
e quelle che invece rimangono a riposo, ma gli direi:“Io sto scrivendo un articolo su un libro di Jürgen Habermas”.
Adesso fate un esperimento mentale: provate a immaginarvi un popolo
dotato di una volontà collettiva e chiedetegli cosa è giusto e cosa è
sbagliato. Non so cosa vi risponderà, ma se ragiona come ho fatto io
nel darvi la risposta di cui sopra, allora parlerà senza fare
riferimento alle proprie suddivisioni interne: senza fare il nome dei
singoli cittadini e senza riferirsi a situazioni sociali specifiche.
Parlerà dunque in modo astratto.
È questo il senso in cui si può pensare che la volontà collettiva dei
cittadini si esprima solo con leggi astratte ed universali tramite le
quali riesca a preservare l’autonomia del diritto nei confronti della
politica, opponendo ai desideri inopportuni del governo di turno la
necessità di esprimersi in una determinata forma che si presume essere
in grado di garantire la giustizia, impedendo l’esplicita assegnazione
di privilegi a particolari classi sociali.
Habermas ritiene scorretto considerare l’universalità e l’astrattezza del linguaggio come la garanzia che siano rispettati gli intenti di una volontà collettiva monolitica. L’universalità e l’astrazione delle leggi rimangono dei punti di riferimento, ma è necessario approfondire il modo in cui si formano le decisioni rompendo la scatola nera della volontà collettiva del popolo così come l’aveva pensata Rousseau. Questo approfondimento non è stato compiuto dai socialisti, mentre ha avuto luogo nelle teorie liberali.
Il carattere astratto e universale non consente di formulare leggi che attribuiscano direttamente i privilegi a persone precise con un nome e un cognome, ma non impedisce che le leggi proiettino vantaggi e svantaggi sulle fronde della società creando zone chiare e zone scure. Per evitare una manipolazione delle regioni ombrose generate dalle leggi bisogna regolare il processo con cui dalla volontà di tutti si passa alle decisioni del vertice, e non solo definire la forma in cui tali decisioni devono essere formulate.
Rispetto alla razionalità formale così come l’aveva intesa Weber ci troviamo con un concetto di razionalità procedurale più ampio e robusto, che può rimanere valido anche nella complessità della situazione contemporanea in cui è difficile mantenere intatto il carattere astratto e universale della legge.
Mentre la razionalità formale secondo Weber aveva un carattere istantaneo (nel senso che si trattava di proprietà presenti nella legge in ciascun singolo istante) l’aspetto procedurale ci porta a prendere in considerazione degli eventi estesi nel tempo. Si passa quindi da una dimensione sincronica a una diacronica. Con un paragone musicale potremmo dire che mentre Weber si era concentrato sull’armonia dei suoni sovrapposti, Habermas richiama la nostra attenzione sulla melodia e sulla successione degli accordi.
Nella nostra società ci possono essere diversi tipi di morale; ad esempio ce ne può essere una basata sulla massimizzazione della felicità totale dei singoli oppure una basata sulla pratica di certe virtù personali. Ce ne può essere una basata sull’amore verso il prossimo, oppure ancora un’altra che accetta solo quei comportamenti che potrebbero essere messi in atto da tutti gli uomini senza per questo danneggiare la società. Dunque ci troviamo nella situazione in cui una sola legge deve poter mediare fra morali diverse.
Oltre a ciò notiamo che la natura della morale è intrinsecamente
diversa da quella della legge. La morale è più propositiva e disegnando
degli esempi può ispirare l’azione, mentre la legge è un sistema di
divieti. La morale può parlare anche degli invisibili pensieri, mentre
quest’ambito rimane inaccessibile alle leggi: il processo alle
intenzioni non si può fare. La legge maneggia oggetti concreti e
identificabili, mentre la morale è (o può essere) sede di ispirazioni
più ardite e difficilmente incasellabili in un reticolo sistematico. La
morale può descrivere un modello di comportamento che costituisce un
equilibrio delicato raggiungibile solo raramente nella pratica; la
morale può anche indicare col dito la Luna, e non è detto che i suoi
discorsi giungano sempre a conclusioni precise. Al contrario il diritto
deve essere una regola facilmente applicabile nei contesti di tutti i
giorni, il diritto deve risolvere i conflitti sulle strade del mondo e
deve indicarci il prossimo passo da compiere; il diritto deve (o
dovrebbe) dare luogo a decisioni materiali rapide ed oggettive, che
bisognano di ragionamenti il più possibile meccanici e semplici.
Se pensiamo alle rispettive funzioni sociali, possiamo considerare la
legge come una sorta di completamento della morale, in quanto la legge
costituisce l’apparato meccanico tramite il quale si plasma il magma
delle conflittualità umane tentando di indirizzarlo nella direzione
suggerita dalla morale.
Habermas desidera individuare i criteri che permettano di elaborare una legge giusta e funzionale per il contesto contemporaneo, europeo in particolare. Per fare questo prende le mosse dal concetto di razionalità della legge formulato da Max Weber e si propone di darne una versione migliorativa, più resistente al problema della deformalizzazione della legge, nonché capace di regolare il modo in cui la legge assorbe gli argomenti morali e di proteggere la legge stessa dai tentativi di manipolazione da parte del potere politico.
L’indagine di Habermas è molto ampia e prende in considerazione temi differenti, che vanno dalle origini del diritto nelle società preistoriche alle tendenze più significative del pensiero sulla legge in Germania e in America, alle problematiche connesse con la formazione dell’Europa unita, al pensiero di Luhmann e Fröbel. Un’attenzione particolare è riservata a una serie di riflessioni sulla Rivoluzione francese e sul pensiero illuminista di Kant e Rousseau.
La soluzione individuata da Habermas è quella di una razionalità della legge intesa anche e soprattutto in senso procedurale: i processi di formazione della volontà politico-legislativa devono essere tali da accogliere in sé il contenuto morale presente nei discorsi pubblici condotti all’esterno delle strutture politiche e giuridiche istituzionali. Seguendo Habermas vediamo che la democrazia dipende dal modo in cui noi cittadini discutiamo gli argomenti, dalla qualità dei nostri discorsi.
Il progetto di Habermas è una costruzione politica unica capace di ospitare al suo interno differenti forme di vita culturali. Contro questo progetto di democrazia liberale basato sulla consapevolezza dei cittadini lavora quella parte consistente del potere che desidera l’assopimento del pensiero. A favore ci siamo noi. Se le anime restano sedute in poltrona a guardare la TV, non c’è molto di che sperare. Ma ogni volta che qualcuno si alza dalla comodità per volere davvero qualcosa, allora il progetto riprende forza e torna possibile un’Europa unita e indipendente, all’altezza del suo posto nella storia e nel mondo.
Aggiunto il 02/04/2012 23:08 da Manuel Cappello
Argomento: Filosofia del diritto
Autore: Manuel Cappello
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