La “Teoria dell'Informazione” di Claude Shannon - una formulazione matematica che definisce scientificamente le condizioni e la dinamica di ogni comunicazione, fisica, biologica e umana - può confermare anche a livello filosofico quanto suggerito dall'epoca attuale, ovvero che ogni cosa che esiste si dimostra in qualche maniera "comunicazione": anzi, non potrebbe esistere senza comunicare, ovvero senza condizionare in qualche modo quanto gli è intorno, anche senza volerlo. Tutto quanto si deduce da questa premessa ontologica - ovvero l'Essere = Comunicazione - può gettare piena luce sia sul comportamento umano individuale e di gruppo, sia sugli altri tradizionali problemi filosofici, quali ad es. l'Etica, l'Estetica, ecc. Anche la Filosofia della Storia, infine, può essere considerata sotto un'ottica diversa, come suggerito ad es. da Pier Luigi Fagan e dalla recente scoperta in Turchia di uno dei più antichi monumenti costruiti dall'uomo, risalente al 10.000 a. C.
Sulla base della “Teoria dell'Informazione” formulata da Claude Shannon
nel 1948 (“Mathematical Theory of Communication”), la scienza
contemporanea a partire dalla seconda metà del XX secolo ha sempre più
interpretato il mondo fisico e l'intero universo conosciuto come un
modello di interrelazioni dinamiche tra enti e sistemi, microscopici o
macroscopici, connessi tra loro attraverso flussi di “energia”
variamente “trasformati”. Ad esempio l'energia riversata dal sole sulla
terra viene utilizzata dalle piante tramite la fotosintesi per produrre
carboidrati di cui si alimentano gli erbivori, che a loro volta
costituiscono cibo per i carnivori.
Ogni stato di materia ed energia – dalla forma più “caotica”, e
disorganizzata come quella termonucleare del sole, fino alle forme più
“organizzate” in strutture e sistemi, fisici, chimici e biologici, come
la flora e la fauna – può dunque essere considerato come
“comunicazione”, “informazione” e “messaggio” all'interno di sistemi e
sottosistemi, in costante trasformazione, concatenazione, aggregazione e
disgregazione.
La vita, così ad esempio, nelle sue forme vegetali ed animali, risulta
la condizione di organizzazione più complessa e sistematica volta alla
comunicazione e relazione con l'ambiente esterno ai fini di un più
efficace adattamento. Secondo i biologi infatti la proprietà
caratteristica che definisce la vita e la differenzia da ogni altro tipo
di materia non è la sua capacità di riprodursi (anche i cristalli
minerali in un certo qual senso “si replicano”) bensì appunto la sua
costante comunicazione-risposta-adattamento con il proprio ambiente ai
fini della sopravvivenza. Dai microrganismi più semplici fino agli
animali superiori (esseri umani compresi) la comunicazione e
l'adattamento con il proprio ambiente esterno tramite le sensazioni, la
memoria e l'elaborazione delle risposte comportamentali, assumono
aspetti sempre più complessi, sofisticati ed efficaci man mano che si
sale nella scala evolutiva.
La comunicazione dunque si esplica sia tra i sottosistemi (ad es.
cardiocircolatorio, digestivo, nervoso, ecc.) che compongono un sistema
(nel nostro esempio un organismo animale), sia tra il singolo
sistema-animale e l'ambiente, ma anche tra individui, ad es. in un
branco, uno stormo, ecc. In quest'ultimo caso allora il gruppo si
mantiene tale sulla base di un continuo interscambio di messaggi, non
verbali nel caso degli animali, anche verbali nel caso della specie
umana, che ne garantiscono la coesione. Sotto questo aspetto allora la
comunicazione (ovvero qualsiasi tipo di rapporto tra una fonte-output ed
un destinatario-input) assume la forma di una costante ed ininterrotta
relazione tra elementi, sottosistemi e sistemi o gruppi, tramite
interscambio di innumerevoli forme e tipologie di messaggi (forze
fisico-chimiche all'interno di sistemi minerali; proteine, enzimi,
ormoni, ecc. tra sottosistemi biologici all'interno di un organismo;
messaggi olfattivi, gestuali, o tramite versi all'interno di un gruppo
animale: ecc. ).
Sotto il punto di vista filosofico, anche l'Essere sembra dunque
rivelarsi come “comunicazione”, tanto negli stati della materia
fisico-chimica, come a livello biologico. Nelle specie animali più
evolute l'essere-comunicazione si esprime tramite il linguaggio
corporeo, non verbale. Nella specie umana - e forse in pochi altri
animali, come fra i cetacei - assume anche la forma di linguaggio
verbale, simbolico.
Questa constatazione, che potrebbe apparire una sorta di “scoperta
dell'acqua calda”, a quanto risulta non è stata finora presa in
considerazione da nessun filosofo contemporaneo, tanto meno dai tanti
che si sono impegnati nella filosofia del linguaggio (nonché
nell'analisi del linguaggio filosofico), da Wittgenstein fino ai più
coevi Gadamer e Derrida, solo per citarne alcuni. Ciò è stata anche
conseguenza della svalutazione del problema metafisico (e di ogni
pensiero totalizzante) a partire dal grande mutamento avvenuto nella
seconda metà del XIX secolo, con la frammentazione delle discipline
antropologiche (e la nascita ad es. della sociologia, la psicologia,
l'antropologia culturale), il successo crescente del positivismo e
pragmatismo anglosassone, nonché con l'avvento del criticismo
scettico-nichilista di Nietzsche. E' doveroso riportare comunque che nel
secolo scorso sono stati numerosi i filosofi che hanno ben approfondito
lo stretto rapporto tra linguaggio e metafisica, non solo i già citati
Hans Georg Gadamer (1900 – 2002) e Jacques Derrida (1930 – 2004), ma anche ad es. Karl Otto Apel (1922) e Jurgen Habermas (1929).
Tuttavia, anche limitando il campo alla sfera umana, intuitivamente
oltre che scientificamente, si dimostra innegabile quanto affermato da
Watzlawick, Beavin e Jackson, autori dell'ormai classico Pragmatica della comunicazione umana
(Ed. Astrolabio), ovvero che qualunque essere umano non può evitare di
comunicare, se non altro con la sua semplice presenza, anche in quei
momenti in cui decide di starsene per i fatti propri: « ...L'uomo
che guarda fisso davanti a sé mentre fa colazione in una tavola calda
affollata, o il passeggero d'aereo che siede con gli occhi chiusi,
stanno entrambi comunicando che non vogliono parlare con nessuno né
vogliono che si rivolga loro la parola, e i vicini di solito 'afferrano
il messaggio' e rispondono in modo adeguato lasciandoli in pace. Questo,
ovviamente, è proprio uno scambio di comunicazione nella stessa misura
in cui lo è una discussione animata... » (pag. 42).
La necessità della vita di gruppo ereditata dall'evoluzione biologica,
ha esaltato nella specie homo sapiens tutte quelle risorse e capacità
volte alla comunicazione con gli altri propri simili, dai segnali
corporei (il riso, il pianto, tutte le numerose espressioni facciali e
gestuali, ad es. con le mani) fino al vero e proprio linguaggio
verbale, simbolico e formale. Anche i gruppi umani più semplici e
primitivi si affidano dunque ad un codice di linguaggi, convenzioni,
consuetudini e tradizioni sia per comunicare ma anche e soprattutto per
mantenere unito il proprio gruppo, la cui coesione spesso, come nel caso
di condizioni ambientali estreme, diviene garanzia di sopravvivenza per
ogni individuo.
Sia da solo oppure in un gruppo sociale, ogni essere umano avverte il
bisogno di comunicare – fisicamente o idealmente - sia in senso spaziale
con gli altri propri simili, sia in senso temporale con le altre
generazioni, presenti e future. Quella necessità per ogni essere umano
di “lasciar tracce” evidenziata da Derrida, risponde in definitiva al
bisogno di ognuno di venir riconosciuto come “sorgente” di comunicazione
dagli altri potenziali destinatari: in altre parole, di essere
ascoltato dagli altri propri simili - destinatari dei più svariati
messaggi, e modalità di messaggi - sia presenti e vicini, come anche
lontani nello spazio e nel tempo. Tanto i faraonici monumenti delle
civiltà antiche, quanto i capolavori dell'arte, della musica, della
letteratura, svolgono allora il ruolo sia di messaggi comunicativi, nel
loro specifico linguaggio, sia di mezzi simbolici e psicologici che
soddisfano il bisogno del loro autore di comunicare – nella propria
mente – con i suoi potenziali ammiratori o lettori: ogni scrittore,
compositore o artista in fondo ha sempre la mente rivolta al suo
pubblico.
Se tuttavia è vero che la necessità di comunicazione è universale anche
dal punto di vista metafisico, i contenuti e le forme sono estremamente
differenti nello spazio e nel tempo. Ciò che li differenzia è il codice
di comunicazione, o linguaggio specifico, a sua volta funzione di un
livello culturale più o meno ricco e complesso, sia a livello
collettivo, che individuale. Se i raffinati linguaggi dell'arte, della
musica, della letteratura, ecc. vengono compresi e curati solo da una
minoranza anche in questa nostra epoca così ricca di informazioni, al
contrario una larga maggioranza continua a preferire un tipo di
comunicazione molto meno raffinata, basata su linguaggi più semplici ed
immediati - quindi più comprensibili per le persone meno colte - più
corporei ed estetici che verbali, tutti accomunati però dalla continua
ricerca dell'attenzione da parte di quanti più uditori o "sorgenti di
comunicazione" umani. Il carisma, il lusso, il denaro, ecc. sono tutti
strumenti che attirano attenzione, considerazione, consenso e dunque in
definitiva la comunicazione degli altri, e dai quali si riceve
autostima, autoconsapevolezza del proprio valore, garanzia di sicurezza
di venir accettati e tutelati all'interno del proprio gruppo sociale,
che sia piccolo come un villaggio o grande come una nazione. Così ad
esempio il denaro non rappresenta solo un semplice mezzo per l'acquisto
di beni e servizi più o meno essenziali, ma anche lo strumento
privilegiato per instaurare una qualsiasi relazione anche occasionale
con qualunque altra persona, sia esso un fornaio, un barbiere, o uno
psicologo che offre un'ora di ascolto e di terapia ad un paziente
depresso.
Una metafisica della comunicazione basata sulla teoria
dell'informazione, può spiegare anche il “rovescio della medaglia”
correlato a tutto quanto detto sin qui. Qualunque corretta comunicazione
si deve fondare su linguaggi e messaggi quanto più chiari possibili.
Le informazioni trasmesse in modo difettoso o dal significato ambiguo
(quando non palesemente false, contraddittorie ed incoerenti), che in
termine tecnico assumono la qualifica di “rumore”, disturbano il
contatto tra mittente e destinatario, portando anche alla fine della
comunicazione.
Visto sotto questa luce allora anche i problemi filosofici dell'etica e
dell'estetica si rivelano interamente caratterizzati dalla logica della
comunicazione, sovvertendo ad es. le conclusioni di Kant che escludeva
qualsiasi finalità pratica in entrambi. Pur con tutte le innumerevoli
varianti locali di usi e costumi, la qualità universale che caratterizza
l'etica – sempre in base all'analogia con la teoria dell'informazione –
è allora il riconoscimento di ogni essere umano (o anche se si vuole di
ogni forma vivente) come sorgente e destinatario privilegiato di
comunicazione, e proprio per tale motivo degno del massimo rispetto e
aiuto, a prescindere dal contenuto specifico dei messaggi interscambiati
(che possono essere i più disparati). Più la comunicazione tra il
soggetto ed i propri simili è rispettosa, vera, sincera e comprensibile
(sulla base dei principi formulati da Apel e Habermas nella loro “Etica
del discorso”), più l'essere umano trova la propria realizzazione e
soddisfazione, poiché è la realizzazione dello stesso Essere in quanto
comunicazione, di cui l'essere umano è – scientificamente parlando – la
più complessa forma evolutiva. E più queste condizioni sono realizzate,
più si può parlare di libertà concessa all'essere umano di uscire dalla
solitudine della propria dimensione individuale per aprirsi alla
collaborazione, solidarietà, partecipazione (come intuito dal grande
Gaber in una sua celebre canzone), tutti attributi della comunicazione.
Sia la presenza, il livello e la qualità della comunicazione (più o meno
comprensibile, più o meno coerente, più o meno sincera) sono dunque
elementi essenziali di qualunque gruppo umano più o meno grande.
Psicologi e assistenti sociali spiegano su tali basi le motivazioni di
fondo di ogni crisi familiare o coniugale, mentre diversi storici ed
esperti di politica, interna e internazionale, vedono in una
comunicazione assente o poco chiara l'origine di conflitti del passato e
del presente. Ogni rivolta o sommossa del passato, anche remoto, a ben
vedere, trova la sua ragione di fondo in una crisi di dialogo tra
governanti e governati, i quali ultimi finiscono per sentirsi
inascoltati o presi in giro.
Ciò che può disturbare una buona comunicazione tuttavia è anche
l'accavallamento di più sorgenti di informazioni, che finiscono per
annullarsi reciprocamente e rendere difficoltosa ed impossibile la
chiara ricezione da parte dei destinatari. Questo è il caso non solo di
un ambiente chiassoso, disordinato e caotico che potrebbe sfociare anche
nel panico generale, ma anche della semplice presenza di persone
sconosciute (il cui raduno non si dà per scontato che sia assolutamente
pacifico come sarebbe il caso ad es. di un incontro religioso o
culturale) che anche senza volerlo “comunicano” agli altri poche
informazioni sul proprio conto e poca disponibilità nei loro confronti,
proprio evitando di comunicare. Soggetti immersi in una folla anonima,
dove si fa di tutto per rimanere indifferenti e distaccati come nelle
alienanti megalopoli contemporanee – ma anche ad es. del mondo antico,
come la Roma imperiale di quasi un milione di abitanti – possono
incorrere nell'ansia e nell'inquietudine, in assenza perlomeno di
“segnali distensivi” non verbali quali possono essere un atteggiamento
sorridente e cordiale o un abbigliamento decoroso e curato, e via
dicendo.
Il “classismo”, fenomeno tipico specie dei centri urbani più grandi, ha
proprio la finalità di rimediare a tale problema, con la creazione di
gruppi relativamente piccoli ed esclusivi, che proprio per questo
consentano di instaurare relazioni stabili fra persone che adottino
atteggiamenti, codici di valori, in altre parole “linguaggi” comuni e
condivisi, tramite cui mantenere un legame di fiducia ed anche di
solidarietà: in altre parole, una stabile “struttura comunicativa”.
I gruppi tuttavia hanno la tendenza a comportarsi come i singoli
individui, a diffidare degli altri gruppi e non di rado ad entrare in
competizione fra loro, forti anche del numero dei propri membri, per il
controllo di territorio e risorse: in altre parole anche tra i gruppi si
instaurano relazioni e interscambio di messaggi più o meno frequenti e
più o meno chiari, dove anche la violenza – così come nel comportamento
dei singoli – rappresenta una forma di comunicazione e “linguaggio”
anche se estremo e distruttivo, provocato dal mancato riconoscimento di
una delle parti come interlocutore di “pari dignità” (il pensiero
ovviamente corre ai classici esempi dello scoppio dei due conflitti
mondiali nel XX secolo, all'Austria che si ostinò ad attaccare la
Serbia nel 1914 incurante della buona volontà di quest'ultima ad
arrestare gli assassini di Sarajevo, ed alla volontà di rivincita della
Germania nazista, economicamente e politicamente umiliata dal Trattato
di Versailles del 1919).
La variabile demografica dunque condiziona la dinamica di qualunque
società, per il semplice fatto che ogni volta che nasce un essere umano
si aggiunge contemporaneamente alla comunicazione collettiva una
sorgente ed un destinatario in più (anche nel caso che cresca
sordomuto), che interagisce in maniera più o meno stretta con le altre
centinaia, o migliaia o milioni di individui, nel caso di sistemi
socio-economici ben organizzati sotto il punto di vista di trasporti e
comunicazioni (o tele-comunicazioni, come nel nostro mondo). Allora è
verosimile che ogni volta che nella storia si verifica un forte
incremento della popolazione, grazie ad un clima più favorevole e ad una
maggiore disponibilità di risorse alimentari, gli individui siano
spinti dunque a trovare – tramite la comunicazione ed il linguaggio –
soluzioni culturali di tipo giuridico, politico, economico, tecnologico,
ecc. che rispondano ai problemi pratici di convivenza e
produzione/gestione delle risorse. Più è grande la densità di
popolazione, più le soluzioni devono dimostrarsi sofisticate ed
esaurienti.
Questa proposta teorica è stata recentemente avanzata da Pier Luigi Fagan
riflettendo a proposito di una delle più sconcertanti scoperte
archeologiche degli ultimi anni, ossia dei circoli di monoliti
artisticamente decorati con figure umane e animali, nel sito di Gobekli Tepe,
nel Curdistan turco. L'eccezionalità del monumento consiste nel fatto
che secondo le analisi degli archeologi, esso venne edificato diecimila
anni prima di Cristo, prima ancora dell'invenzione dell'agricoltura e
dell'allevamento, che tra l'altro ebbero luogo nella stessa regione.
Secondo gli studiosi Gobekli Tepe era un luogo religioso e cerimoniale,
dove convenivano le tribù preistoriche di cacciatori/raccoglitori da
tutto il territorio circostante. «Allora non è vero come abbiamo sin
qui creduto, che scoprendo la nuova tecnologia della sussistenza, la
cura intenzionale del ciclo semina – cura – raccolto che chiamiamo
agricoltura, abbiamo dato vita alla Rivoluzione neolitica, alla nascita
delle prime società complesse, stanziali, urbanizzate, sociali, con
produzioni delle élite, la divisione del lavoro e tutto il resto della
nostra consolidata, precedente narrazione. Non è dall’agricoltura che
nascono le società complesse ma è dalle società complesse che deriva
l’agricoltura. […] Ad un certo punto, la densità umana in un dato
territorio raggiunge soglie critiche che danno vita a nuovi fenomeni,
nuovi modi di organizzare l’adattamento umano o visto dagli occhi umani,
di “autorganizzarsi”. Uno dei principali motori della storia umana, non
è il genio o l’invenzione, non è la tecnologia o la scoperta, non è la
lotta tra classi al fine dell’organizzazione della sussistenza, ma tutte
queste cose si mettono in moto quando diventiamo improvvisamente tanti
in un territorio in cui prima eravamo pochi. Cambia la nostra richiesta
adattiva e rispondiamo a questa richiesta inventando nuovi sistemi,
migrando, agitandoci, inventando ciò che ci serve per rispondere a
questa richiesta. Questa richiesta proviene da un problematico rapporto
uomo – natura e l’uomo reagisce innovando la società che è il veicolo
adattivo col quale l’uomo gestisce i suoi rapporti di adattamento con la
natura.» (Pier Luigi Fagan, Siamo alla fine di quale tempo?,
in: www.MegaChip.info)
Secondo tale logica – che in qualche modo sovverte le tradizionali
convinzioni della filosofia della storia – il pensiero, la
comunicazione, i nuovi modelli culturali che possono sorgere in seguito
ad un incremento demografico (ma certamente anche in assenza di questo)
sono allora in grado di trasformare e rivoluzionare anche le stesse
strutture economiche e politiche.
Allora ad esempio anche il miracolo economico e culturale italiano del
Basso Medioevo e del Rinascimento fu certamente figlio dell'esplosione
demografica verificatasi in tutta Europa tra il IX ed il XIII secolo che
costrinse gli intellettuali dell'epoca (ovvero i filosofi e teologi
ecclesiastici) a trovare soluzioni politico-culturali nuove e originali
per favorire la convivenza e la gestione delle magre risorse. E la
soluzione (detto in maniera essenziale) fu completamente diversa da
quella che era stata adottata mille anni prima nel mondo antico, dove
centinaia di migliaia di legionari conquistavano e sottomettevano il
Mediterraneo e l'Europa per procacciare grano e schiavi non solo per sé
ma soprattutto per i ricchi patrizi e per la plebe di Roma, con un peso
fiscale che soffocò (fino a farlo crollare) il sistema
politico-economico antico.
Nel Medioevo i potenti uomini di Chiesa favorirono la suddivisione della
società europea nei tre famosi ordini – militari, ecclesiastici,
lavoratori – impedendo che feudatari, sovrani e imperatori acquisissero
un potere eccessivo, sia politico che economico. In un'epoca in cui
malattie e carestie erano considerate un castigo divino, ma soprattutto
in cui l'arma, anche politica, della scomunica scioglieva i sudditi
dagli obblighi verso il potere laico, monarchi e imperatori si
ritrovavano regolarmente perdenti nei confronti della Chiesa. Il
risultato fu che il boom demografico non andò a infoltire tanto le
schiere degli eserciti dei sovrani (che venivano opportunamente
dirottati in Terrasanta) quanto piuttosto si riversò sui nuovi villaggi
rurali che sorsero nelle foreste trasformati in campi coltivati, e
sulle città vecchie e nuove bisognose di manodopera per la prospera
industria tessile. Seguendo la cultura evangelica e la visione
agostiniana della pacifica Città Divina, i poteri ecclesiastici finirono
per indirizzare le crescenti risorse dell'Europa medievale verso
l'agricoltura, l'industria ed il commercio, dando il via alla nascita
della borghesia e del capitalismo.
Pilastro della dinamica medievale, come di ogni dinamica storica, fu il
controllo della cultura e delle informazioni. Monaci, abati e vescovi
erano quasi i soli a saper leggere e scrivere nell'Europa barbarica, e
la loro supremazia culturale, e quindi anche politica, venne garantita
anche dalla scarsità e dal facile controllo dei materiali scrittori,
ovvero la pergamena e molto più raramente anche il papiro egiziano.
Allorché nel XII secolo l'entrata in scena della molto più economica
carta favorì anche lo sviluppo delle università, la graduale
alfabetizzazione e laicizzazione della cultura erose il monopolio
culturale della Chiesa, messa in crisi anche dalle conseguenze dirette
dell'invenzione della stampa, ovvero l'Umanesimo ed il Protestantesimo.
Le dannose soluzioni messe in campo dal Papato rinascimentale per
riprendere il controllo culturale del mondo latino, ovvero i roghi di
libri ed intellettuali scomodi e la subordinazione alla nuova potenza
spagnola, significarono allora anche il declino commerciale ed
industriale dell'Italia che non seppe rispondere in alcun modo
all'agguerrita concorrenza navale ed industriale dell'Olanda e
dell'Inghilterra, a partire dalla fine del XVI secolo. Nei paesi
cattolici e “barocchi” infatti una società immobile e cristallizzata
finì per dirottare le proprie risorse dal commercio e dall'industria al
finanziamento delle guerre degli Asburgo. Mentre all'opposto l'Europa
del Nord godeva di un clima intellettuale più libero, dove la stampa
faceva circolare ed al contempo alimentava presso le classi mercantili
ed imprenditoriali, rappresentate nei Parlamenti, l'esigenza di un ruolo
politico più importante nella direzione della società e dell'economia.
Come risultato molte meno ricchezze inglesi e olandesi vennero consumate
sui campi di battaglia, e molte di più vennero investite in navi
mercantili, fabbriche e macchine a vapore.
In un mondo sempre più globalizzato e sovraffollato, come quello abitato
oggi da 7 miliardi di persone, si rende quanto più urgente trovare
nuove soluzioni culturali, prima che tecnologiche ed economiche, che
possano migliorare la convivenza e la gestione delle risorse. I nuovi
mezzi di comunicazione di massa offerti dalle nuove tecnologie, con le
enormi potenzialità di contatti che consentono ad ogni utente, si stanno
dimostrando già sin d'ora gli strumenti privilegiati in grado di mutare
mentalità, visione del mondo e filosofia di vita. Grazie alla loro
costante presenza ed attività, probabilmente anche le tradizionali
concezioni esistenziali di conflittualità, antagonismo e selezione
naturale, saranno destinate a lasciare la mano a concetti più adeguati
ai nuovi tempi: cooperazione, solidarietà, condivisione delle risorse, e
così via.
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