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Tributo ad Abbagnano

Primogenito di una famiglia della borghesia intellettuale salernitana, termina gli studi classici a 17 anni ed inizia a frequentare la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Napoli. Il suo maestro è Antonio Aliotta, filosofo sperimentalista, con il quale si laurea nel novembre del 1922 con 110 e lode discutendo una tesi intitolata Le sorgenti irrazionali del pensiero, che verrà pubblicata nel 1923. Tra le numerose recensioni critiche, spicca quella del gentiliano Ugo Spirito che definiva Le sorgenti "Una delle espressioni più significative della critica alla posizione intellettualistica e una delle difese più rigorose e meno ingenue della teoria dell'irrazionale".1 Ma non mancava di chiedere, rivolto all' Abbagnano: "Perché affaticarsi tanto a liberare la vita dalle pastoie dell'intellettualismo per poi buttarla nella trascendenza dell'irrazionalità, e, anziché rivendicare la sua libertà creatrice, distruggere questa libertà nell'incoscienza?".2 Ricordando quel suo primo libro, Abbagnano scrive: "M'ero posto agli antipodi dell'hegelismo dominante. Anche se la parola 'esistenzialismo' venne fuori dopo la pubblicazione del Sein und Zeit di Heidegger, naturaliter appartenevo già a quella corrente che continuava a guardare alla fattualità, all'esistenza, agli individui".3

A ventitrè anni Abbagnano sposa Rosa Del Re, figlia del matematico Alfonso, e si stabilisce a Napoli. Per due anni insegna come supplente al ginnasio superiore Torquato Tasso di Salerno. Poco tempo dopo vince un concorso per l'insegnamento di Filosofia e Storia nei licei. Il suo primo incarico lo porta a Catania, al liceo Spedalieri, ma ben presto ritorna a Napoli per prendere servizio nel liceo storico della borghesia intellettuale napoletana, Umberto I°, dove rimarrà fino al 1935. Nel 1927 inizia l'insegnamento universitario come incaricato di Filosofia, pedagogia e legislazione scolastica nell'Istituto Superiore di Magistero Suor Orsola Benincasa. Nello stesso tempo assume l'incarico di segretario di redazione della rivista filosofica "Logos", diretta dall'Aliotta, per la quale verrà poi chiamato nel 1939 a far parte del comitato di direzione.

In quella Napoli dominata culturalmente dalla presenza di Croce, il suo netto rifiuto dell'idealismo crociano conduce Abbagnano ad un isolamento culturale che rappresenterà, tra l'altro, anche un ostacolo alla sua entrata nel mondo accademico. Nonostante ciò, incoraggiato dall'Aliotta, negli anni che seguono porta avanti un intenso lavoro di studi teorici e storici; in questo è facilitato dalla conoscenza delle lingue francese, inglese e tedesco, che gli permette di accedere direttamente a fondamentali testi di filosofia non ancora tradotti, oppure ignorati o "traditi" dal neo-idealismo. Pubblica Il problema dell'arte (1926), in cui sono raccolti quattro articoli apparsi su "Logos" negli anni '24-'25; Il nuovo idealismo inglese ed americano (1927), dove "Abbagnano rintraccia sulla scorta della filosofia neoidealistica anglo-americana, la centralità del problema delle 'relazioni' e soprattutto del nesso tra ' l'uno, i molti e la realtà', in vista di un ampliamento dell'italico neoidealismo e di una rimessa in discussione ulteriore dei suoi cardini dialettici fondamentali";4 La filosofia di E. Meyerson e la logica dell'identità (1929), che conduce ad una profonda analisi della filosofia della scienza, della logica e della metafisica del polacco Meyerson.

La partecipazione ad un concorso a cattedra per Filosofia e Storia della filosofia, nel 1927, per il quale egli risulta vincitore al secondo posto, segna l'inizio ufficiale del suo impegno universitario. Abbagnano presenta domanda per la cattedra di Storia della Filosofia dell'Università di Genova, ma ad essa non segue alcuna chiamata: è un segnale concreto di come la sua posizione critica verso l'idealismo imperante, possa rappresentare per lui un ostacolo. Nel frattempo la sua produzione si accresce: pur continuando l'attività di docente al Suor Orsola Benincasa e al Liceo Umberto I°, si dedica allo studio e alla raccolta di materiali per la ponderosa monografia su Guglielmo di Ockham (1931), e per il libro su La nozione del tempo secondo Aristotele (1933).
Allo stesso periodo risale La fisica nuova. Fondamenti di una nuova teoria della scienza (1934), in essa egli fissa "i tratti salienti della nuova fisica unicamente in vista di poter enucleare il loro significato gnoseologico" per "dare un saggio di una gnoseologia che rendesse possibile la validità della nuova fisica",5 e scrive: "Ogni sapere, scienza o conoscenza, presuppone il principio metafisico, senza del quale l'atto della sua costituzione non sarebbe possibile. E' questo il motivo ultimo, nel quale la validità di un sapere qualunque può essere in ultima analisi garantita solo da una ricerca che ponga in luce il fondamento metafisico di esso. Ed è altresì chiaro, da ciò, che il problema della validità intrinseca di un sapere e quello della sua validità assoluta, rispetto a tutto il sistema del conoscere, sono insieme connessi, anzi costituiscono un problema unico: che è quello del fondamento metafisico che è implicito nella stessa costituzione di ogni conoscere e garantisce ogni aspetto della sua validità".6
A distanza di due anni con Il principio della metafisica (1936) Abbagnano riprende i temi già enunciati nell'opera La fisica nuova, ampliando e giustificando considerazioni gnoseologiche scaturenti dall'esame della fisica relativistica e della meccanica quàntica.

Nel 1934 è primo vincitore del concorso di Filosofia e Storia della Filosofia nell'Istituto Superiore di Magistero di Torino, ma il concorso viene annullato dal ministro dell'Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi conte di Valcismon. L'anno seguente risulta vincitore, sempre al primo posto ma con unanimità di giudizio, del concorso di Filosofia teoretica, e viene finalmente chiamato nella Facoltà di Magistero dell'Università di Torino, dove rimarrà un triennio. Abbagnano rappresenta una voce nuova per il mondo culturale torinese, e non solo torinese, nel momento in cui l'esistenzialismo comincia ad affacciarsi sulla scena filosofica italiana.
Nel 1937 getta le basi di quella che sarebbe diventata, un decennio dopo, la grande Storia della filosofia, pubblicando a Napoli un Sommario di filosofia per i licei e un Sommario di filosofia e pedagogia per gli istituti magistrali.

La struttura dell'esistenza vede la luce nel 1939. E' il primo libro di ispirazione esistenzialistica in Italia. Abbagnano scrive nella prefazione : "Si può definire il carattere dominante della vita contemporanea con le parole di Karl Jaspers: wir haben die Naivität verloren (noi siamo l'ingenuità perduta). L'ingenuità filosofica consisterebbe oggi nel credere che il filosofare sia senza alcun effetto su ciò intorno a cui si filosofa; che l'oggetto della filosofia se ne rimanga indifferente per suo conto, mentre essa se ne va vagando di qua e di là, per ricercarlo e per osservarlo dopo averlo trovato". "Ponendosi come forma dell'essere, la filosofia, in quell'atto stesso, si distingue dall'essere come problema dell'essere: come dubbio, interrogazione e ricerca. E si istituisce in quell'atto, un rapporto intimo ed essenziale tra l'essere e la domanda intorno all'essere, rapporto che è la natura vera dell'esistenza umana. Così la filosofia si sottrae all'ingenuità della sua prima fase di vita e si pone come l'attuazione e la rivelazione dell'esistenza umana nella sua natura. Essa diventa, allora, metafisica esistenziale. Ad un tal genere di metafisica intendono portare un contributo le pagine che seguono. E' realizzato, in esse, il significato dell'esistenza come struttura. Il movimento che va dalla problematicità costitutiva della vita al fondamento di questa problematicità, dalla possibilità in possesso dell'uomo alla possibilità trascendentale costitutiva del possesso, è riconosciuto come il movimento che pone l'uomo nella sua finitudine e di questa libertà si rivela allora condizione suprema la morte: nella fedeltà alla morte come accettazione e riconoscimento del rischio fondamentale dell'esistenza, è il vero destino dell'uomo, la possibilità della sua costituzione autentica nella storia".7
In quel libro, attraverso il richiamo a Heidegger e a Jaspers, Abbagnano proponeva un'alternativa alla filosofia idealistica. Norberto Bobbio, in un passo del discorso su Abbagnano, tenuto a Salerno nel 1965, in occasione di una cerimonia voluta dall'amministrazione comunale in onore dell'illustre concittadino, scrive: "..La struttura dell'esistenza di Nicola Abbagnano, tra le opere di rottura è certamente la più sconvolgente. Non assomigliava a nessuna delle opere filosofiche che si erano andate scrivendo in quegli anni, anche nella forma, che era scabra, lineare, senza i soliti impeti oratori e le solite virtuosità dialettiche. Pur le opere impegnate nella polemica idealistica serbavano la consueta aria di famiglia: la filosofia italiana non aveva l'abitudine alla sobrietà. Il libro di Abbagnano era tanto poco vestito da lasciar apparire chiaramente lo scheletro ed era uno scheletro ben fatto, completo, armonico dove ogni cosa era al suo posto".8
Abbagnano nel 1939 viene chiamato dalla Facoltà di Lettere dell'Università di Torino sulla cattedra di Storia della Filosofia, lasciata da Adolfo Faggi. In quella Facoltà dà vita al Seminario di Storia della Filosofia, ed avrà accanto a sé, prima come studenti e poi come assistenti e fedeli discepoli Pietro Chiodi, Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano. Tra i suoi studenti Giovanni Cairola, Giuseppe Cambiano, Umberto Eco, Franco Ferrarotti, Massimo Mori, Fernanda Pivano.

Riprendendo i temi già esposti ne La struttura dell'esistenza, Abbagnano, in Introduzione all'esistenzialismo (1942), pubblicato nella collana "Idee Nuove" della Bompiani, espone il concetto chiave per comprendere il significato e l'esito della conversione dell'esistenzialismo in una filosofia positiva, ed approfondisce la propria posizione teorica che difenderà nell'ambito di un dibattito apparso sul quindicinale romano "Primato" tra il 1° gennaio e il 15 marzo 1943, aperto con la pubblicazione di due articoli di Abbagnano ed Enzo Paci sull'esistenzialismo italiano e il suo sviluppo in Italia e in Europa. A quel dibattito presero parte oltre all'Abbagnano e Paci, Armando Carlini, Ugo Spirito, Francesco Olgiati, Augusto Guzzo, Pantaleo Carabellese, Camillo Pellizzi, Galvano Della Volpe, Cesare Luporini, Antonio Banfi, Giovanni Gentile, e i due direttori di "Primato" Giuseppe Bottai e Giorgio Vecchietti. (I testi integrali del dibattito sono pubblicati nel libro di Bruno Maiorca, L'esistenzialismo in Italia, Paravia, 1993). Nel suo intervento Abbagnano chiarisce che "l'esistenzialismo non è una scuola e ripudia il proselitismo. Non essendo pura dottrina ma richiedendo, a fondamento della dottrina, un atteggiamento esistenziale, cioè dell'uomo totale, esso può costituire per l'uomo un richiamo o un aiuto, ma non sostituirsi alla sua decisione e al suo impegno. Esso costruisce una via, non impone una formula. In fondo a questa via, c'è la possibilità per ognuno di riconoscersi nella sua vera natura e per tutti di comprendersi e di realizzarsi in una comunità solidale. Perciò ognuno sente o deve sentire il bisogno di definire la sua posizione nei confronti di esso. Dal suo canto, è pronto alla collaborazione e alla lotta".9 E nella sua replica ai contraddittori, dove parla anche a nome dell'amico Enzo Paci partito per il fronte, osserva che le molte e disparate critiche avrebbero dovuto tener presente "...che l'esistenzialismo richiama l'uomo all'impegno verso la propria natura finita lucidamente riconosciuta ed accertata. Il filosofare che esso tende a fondare è l'autentico esistere, l'esistere che è giunto alla chiarezza e alla sincerità con se stesso. Non è possibile filosofare veramente rimanendo sul piano della constatazione obiettiva, della razionalità, del discorso, del mito. Occorre impegnarsi. E per impegnarsi occorre ritrovarsi e limitarsi in un compito unico e a quello appassionarsi e dedicarsi con tutte le forze".10

Il significato dell'esistenzialismo "positivo" e la sua distanza dall'esistenzialismo "negativo", sono precisati nello scritto Esistenzialismo positivo (1948). In esso l'Abbagnano si oppone alle forme "negative" dell'esistenzialismo, affermando che la vita, pur muovendosi nell'àmbito della possibilità, e quindi del dubbio, si chiarisce però agli individui in forma intrinsecamente "normativa", come dover-essere, consentendo a ognuno di mantenere la propria dignità, la funzione critica, la libertà. Egli chiarisce inoltre la fondamentale differenza fra l'esistenzialismo italiano - positivo, chiaro e costruttivo - e quello francese e tedesco che si smarriscono nell'angoscia del nulla.
"L'insegnamento che scaturisce dal quadro di questi indirizzi dell'esistenzialismo contemporaneo è che l'equivalenza delle possibilità costitutive dell'esistenza, che è il loro comune presupposto, conduce alla negazione dell'esistenza stessa come possibilità. Se tutte le possibilità che costituiscono l'esistenza sono, per un motivo o per l'altro, equivalenti, l'esistenza è impossibile. Questo riconoscimento fa vedere quanta importanza la considerazione del valore e della normatività abbia per l'esistenzialismo, che tuttavia negli indirizzi accennati l'ha trascurata completamente. Senza una soluzione positiva dell'esigenza valutativa, la problematicità dell'esistenza si trasforma in necessità, la possibilità in impossibilità, l'esistenza si nega nell'atto stesso che si riconosce. Nei confronti di questo esistenzialismo, che si può chiamare 'negativo', non perché neghi credenze, valori o realtà che sono fuori del suo raggio, ma perché nega lo stesso principio da cui muove, l'esistenza, io propongo un indirizzo positivo che giustifichi il riconoscersi e il mantenersi dell'esistenza nella sua fondamentale problematicità, e lasci aperte le possibilità in cui essa si costituisce. Ad un esistenzialismo che vive sotto l'esclusivo segno di Kierkegaard, il filosofo della possibilità impossibile, bisogna contrapporre un esistenzialismo che riporti Kierkegaard a Kant, e a quanti altri filosofi hanno lavorato per garantire all'uomo il legittimo possesso dei suoi stessi limiti".11
Dell' Abbagnano esistenzialista Bobbio scrive: "L'unica cosa che si può dire con certezza è che l'esistenzialismo fu per Abbagnano, giunto agli anni della maturità e della compiuta maturazione, attraverso un tirocinio esemplare per ricchezza di esperienze e vastità di documentazione, un incontro congeniale che servì a sciogliere i nodi che il dibattito filosofico postidealistico aveva aggrovigliato, e a fargli trovare una strada, in un momento in cui alla filosofia si chiedeva, oltre che una teoria dei primi principi, un messaggio umano".12
Negli anni successivi alla guerra Abbagnano prende parte a numerosi congressi nazionali ed internazionali di filosofia. I suoi i interessi filosofici si orientano verso nuove direzioni. Egli diventa uno dei poli di quella cultura neo-illuministica che si proponeva di indicare nuove vie di riflessione e d'indagine, cercando nuove forme di collegamento con la scienza e anche con la vita politica.
La sua esperienza, la vastità di documentazione acquisita, non solo nel campo strettamente filosofico, e soprattutto la frequentazione di menti intellettualmente fervide, conducono Abbagnano a partecipare ad una serie di incontri informali, il primo dei quali nell'estate del 1945 con Eugenio Frola, Ludovico Geymonat, Prospero Nuvoli, Enrico Persico, ed in seguito con Piero Buzano ed altri studiosi, per scambiare idee su questioni generali e particolari di metodo, riguardanti le scienze e le discipline che ognuno di essi coltivava, dall'analisi matematica alla storia della filosofia, alla logica matematica ed alla fisica teorica. Quegli incontri ancora oggi vengono ricordati come l'origine del Centro di Studi Metodologici costituito ufficialmente nell'autunno del 1947 con lo scopo di condurre ricerche sui rapporti fra logica, scienza, tecnica e linguaggio, e che diventa in breve tempo il principale centro di diffusione dell'epistemologia più recente, in particolare del neopositivismo. Quando a Torino nel dicembre del 1952 si tiene il primo Congresso di Studi Metodologici, Abbagnano inizia il suo intervento dicendo: "Se si domanda qual è l'origine dell'esigenza che gli studi metodologici cercano di soddisfare, si può rispondere che essa va riconosciuta nel principio della verificabilità concettuale. Si ammette cioè che, in qualsiasi campo di ricerche, un principio può essere riconosciuto come valido solo se e nella misura in cui provoca, orienta e guida passo per passo la ricerca, conducendo a risultati che possono essere sottoposti a controllo". "A tale esigenza non si sottraggono pertanto le scienze sociali, e, in primo luogo, la sociologia. Lo scopo di questa comunicazione è di chiarire alcuni aspetti dell'osservazione, in sociologia".13
Quella svolta dell'Abbagnano, viene così ricordata da Bobbio: "La sfera dei problemi e degli interessi si è venuta allargando, soprattutto in due direzioni: le scienze e la società. Per quel che riguarda il problema della scienza, è stata particolarmente feconda la partecipazione di Abbagnano al "Centro di studi metodologici". Le questioni di metodo, e in genere di filosofia delle scienze, non cessarono più dal costituire uno dei poli del suo interesse per i problemi del mondo contemporaneo. Il suo atteggiamento verso la scienza è sempre stato alieno tanto dalla esaltazione incondizionata del positivismo acritico quanto dalle recriminazioni degli spiritualisti: egli si pone di fronte alla scienza in atteggiamento di ragionevole fiducia".14

Nel 1948 Abbagnano riprende a collaborare alla "Rivista di filosofia" (creata nel 1870 da Terenzio Mamiani, in Firenze, come "Filosofia delle scuole italiane"). Sin dal 1945 la rivista era curata da Norberto Bobbio, che aveva proseguito il lavoro direzionale svolto negli anni '40, dopo varie vicissitudini, da Piero Martinetti ed in seguito da Gioele Solari. Quando nel 1952 la "Rivista di filosofia" dalle Edizioni di Comunità, passa alla Casa Editrice Taylor (fondata dalla moglie americana Marian, sposata a Torino nel 1946, dopo la prima vedovanza) Abbagnano ne prende la direzione a fianco di Norberto Bobbio. Da quel momento la rivista accoglie alcuni saggi fondamentali della nuova fase del pensiero di Abbagnano, contrassegnata dal passaggio dall'esistenzialismo "positivo" al "nuovo illuminismo". Quel "nuovo illuminismo" di cui Abbagnano parla nel 1951, in un dibattito al quale prendono parte Antonio Banfi e Norberto Bobbio, nell'ambito di un ciclo di conversazioni radiofoniche del Terzo Programma sul tema "I compiti della filosofia":

"Filosofia unica, nessuna filosofia» – così si potrebbe esprimere l’esigenza fondamentale della filosofia. Si riduce con ciò la filosofia ad un insieme di punti vista disparati? Niente affatto. Un punto di vista è per la persona singola ciò che un’ideologia è per un gruppo di persone: l’atteggiamento che si assume per abitudine e per tradizione, per capriccio o per interesse, ma che non si giustifica come la soluzione di un problema vitale e perciò non provoca una ricerca e non è capace di fondare la disciplina e la tecnica di questa ricerca. Un punto di vista è sempre privato, incomunicabile: non ha la capacità di inserirsi nel dialogo filosofico. E’ evidente che quanto più una filosofia è dogmatica, quanto meno fa posto alla possibilità del dialogo, tanto più rischia di decadere a un punto di vista. Perciò il primo compito di ogni filosofia è quello di giustificare la possibilità stessa del dialogo filosofico, quindi di riconoscere l'orizzonte dei problemi che possono essere dibattuti insieme, e i rischi connessi a tutte le loro possibili soluzioni. Oggi come oggi, una filosofia che non voglia ridursi a punto di vista unilaterale e dogmatico o a uno strumento ideologico, deve riconoscere chiaramente i problemi che si presentano all'uomo, istituire per ognuno di essi ricerche appropriate, trovare la disciplina logica che tali ricerche esigono, determinare le tecniche di soluzione dei vari problemi e stabilire le differenze e le somiglianze di queste tecniche. Una filosofia che assolvesse questi compiti contribuirebbe veramente a orientare l'uomo nel mondo e a rendere il mondo stesso più umano. Una tale filosofia potrebbe essere perciò salutata come un nuovo illuminismo".15

Abbagnano sviluppa intanto un sempre più profondo interesse per la sociologia. Reduce dal XIV Congresso Internazionale di Sociologia tenutosi a Roma nel settembre del 1950, nell'estate del 1951, insieme al suo giovane allievo Franco Ferrarotti, Abbagnano fonda i "Quaderni di Sociologia", la prima rivista di sociologia in Italia. In seguito l'Università di Roma creerà nel 1961 una cattedra di Sociologia nella Facoltà di Magistero che verrà affidata allo stesso Ferrarotti, e a Torino nel 1965 verrà attivato l'insegnamento di Scienze sociali nella Facoltà di Lettere, per il quale sarà chiamato Luciano Gallino.
Dell'impegno di Abbagnano in campo sociologico, Bobbio scrive: "In questo campo l'opera di Abbagnano è stata quella di promotore e insieme di guida. E' inutile rinnovare le lamentele sullo stato di abbandono in cui si era venuta a trovare la sociologia in Italia dopo la guerra. Per rimetterla in onore occorreva fare un lavoro di intelligente documentazione, di netta separazione tra le scorie e i germi fecondi, di chiarimento concettuale e di delimitazione dei compiti. A quest'opera Abbagnano si accinse nel quinquennio 1950-55, negli anni in cui cominciò a rifiorire in Italia, tra contrasti, dissensi, e le prime ingenue infatuazioni, il gusto per la ricerca sociologica".16

Presentando una raccolta di propri articoli pubblicati nei "Quaderni di sociologia" tra gli anni 1951-1959, Abbagnano chiarisce che il suo intento è stato quello di semplificare e ordinare il linguaggio sociologico, determinare con sufficiente approssimazione la natura e la portata degli strumenti concettuali e metodologici di cui la sociologia può disporre e, infine, precisare i rapporti tra la sociologia da un lato, la filosofia, le discipline storiche e le discipline naturali dall'altro. "La storia mira a cogliere e a ricostruire quegli eventi che, sotto un qualsiasi aspetto, sono significativi per la vita umana, cioè costituiscono la possibilità di nuovi indirizzi, orientamenti o sviluppi della vita stessa. La sociologia mira a cogliere gli aspetti della vita umana per cui essa si presenta, nel suo complesso, come un insieme di uniformità relative, quindi di ripetizioni possibili, che sono importanti nel loro complesso e non una per una; e tende anzi a risolvere l'evento individuale e propriamente storico nella trama dei rapporti minuti che si ripetono quotidianamente. Il sacrificio di uno di questi indirizzi di ricerca a vantaggio dell'altro non è quindi che un impoverimento della cultura e l'accentuazione di un aspetto parziale della storicità umana. Entrambi vanno coltivati e sviluppati, senza antagonismi o polemiche inutili. E la delineazione esatta della loro sfera rispettiva è, a questo scopo, indispensabile. Questa delineazione vale indubbiamente anche come determinazione critica della possibilità della sociologia. E per essa, la sociologia stessa si presenta come disciplina più adatta a gettar un ponte fra le discipline umanistiche e le scienze naturali e quindi a eliminare un fittizio ma doloroso contrasto del mondo contemporaneo".17
Un grande apporto di Abbagnano alla storiografia filosofica è rappresentato dalla Storia della filosofia in tre volumi, pubblicata tra il 1946 ed il 1950 a coronamento di un lungo periodo di intenso lavoro. "Un'opera che, legando strettamente le dottrine alla personalità dei filosofi, e quindi sottolineando il loro significato esistenziale, rappresentava una netta rottura rispetto alla storiografia filosofica d'impianto idealistico, quella praticata da Gentile e dalla scuola gentiliana, fino a De Ruggiero. Abbagnano si era preparato a lungo per scriverla, prima con le vaste letture e gli studi specifici del periodo napoletano, poi con un Sommario per i licei apparso presso Morano nel '37 e con una Antologia del pensiero filosofico pubblicata da Paravia nel '40, poi ancora con il fortunato Compendio pubblicato anch'esso da Paravia nel 1945-47, infine con una serie di corsi universitari. Su di essa si sono formate generazioni di studenti e di studiosi" (...) "Essa rimane - a distanza di quarant'anni, e son molti - la migliore esposizione complessiva dello sviluppo del pensiero filosofico che sia disponibile nel nostro paese (e una delle migliori, a detta di Quine, nella letteratura internazionale)".18
Nella raccolta di saggi, pubblicata sotto il titolo Possibilità e libertà (1956), Abbagnano riprende e continua quelle analisi che da anni era venuto istituendo, a partire da La struttura dell'esistenza (1939). Quel libro non è una discussione del vecchio problema se l'uomo sia libero o meno, ma un insieme di analisi sulla funzione che la categoria della possibilità ha nella scienza, nella filosofia e nell'arte contemporanea, e sui gradi di libertà che essa consente di scorgere nelle varie attività umane. Abbagnano conclude la prefazione dicendo: "Se le pagine che seguono potranno invogliare qualcuno a ricerche precise e caute, fondate su dati controllabili e dirette a risolvere problemi connessi più o meno direttamente con la condotta quotidiana degli uomini, esse avranno assolto il loro còmpito principale".19

Su invito del governo americano nel 1955 Abbagnano si reca negli Stati Uniti per l’Award for leaders and specialists. Per circa tre mesi tiene conferenze e partecipa a seminari di studio presso i Dipartimenti di filosofia delle università della Louisiana, Texas, California, South California, Massachusetts, New Jersey, New York, Carolina, Utah, Colorado, Illinois e Missouri, avendo così modo di incontrare i maggiori esponenti del pensiero filosofico d'oltre oceano, ed anche alcuni europei tra i quali il filosofo tedesco Rudolph Carnap che a quel tempo insegnava a Los Angeles.

Gli anni '50 - '60 costituiscono per Abbagnano il periodo in cui raggiunge una piena e forte maturità intellettuale. Progetta e coordina una imponente Storia delle scienze per la quale scrive il capitolo introduttivo "Problemi di storia delle scienze e fasi della scienza";20 inoltre, terminata da poco tempo la grandiosa Storia della filosofia, già pensa alla stesura di un Dizionario di filosofia. Il suo metodo di lavoro non dà spazio ad improvvisazioni e una rigorosa autodisciplina lo porta ad impegnarsi a fondo per circa dieci anni.

Nel 1961 il Dizionario di filosofia vede la luce per i tipi della UTET, che lo presenta come "Una vera e propria summa concettuale, una specie di sistema filosofico esposto per grandi 'voci', che segna il culmine di quello sforzo di chiarificazione teorica in cui l'Abbagnano fu maestro". Antonio Santucci di quel Dizionario scrive: "Una messa a punto metodologica in cui si versavano e ordinavano i risultati di innumerevoli letture. Credo, e non sono il solo, che si tratti dell'opera maggiore dell'Abbagnano neoilluminista. Egli faceva luce sui significati assunti dai concetti nelle varie scuole e nei loro sviluppi interni, sulle convergenze e divergenze delle dottrine, sugli intrecci problematici e le alternative di fondo, secondo un intento analitico che si giustificava col protrettico platonico dell'Eutidemo".21
Qualche anno dopo aver concluso questa seconda grande opera, Abbagnano viene chiamato a scrivere per la terza pagina de "La Stampa" da Giulio De Benedetti, direttore del quotidiano torinese. Il filosofo ha ora la possibilità di mettere al servizio di un pubblico più vasto le doti di chiarezza e di rigore che caratterizzano il suo pensiero. La collaborazione dura quasi un decennio. In seguito molti di quegli articoli vengono raccolti nei due volumi Per o contro l'uomo e Fra il tutto e il nulla. Affianca con successo l'attività di pubblicista all'insegnamento universitario e alla partecipazione a numerosi convegni.

In particolare, nell'aprile del 1968 partecipa insieme ad altri ventidue studiosi, tra i quali Diego de Castro, Silvio Ceccato, Giacomo Devoto, Bruno de Finetti, Paolo Sylos Labini, Giuseppe Ungaretti ad una tavola rotonda sul futuro, promossa dalla rivista "Civiltà delle macchine", e organizzata a bordo della “Cristoforo Colombo” durante la navigazione da Napoli a Venezia. Un argomento ripreso da Abbagnano nella "Lettera per il futuro" che conclude il suo ultimo libro Ricordi di un filosofo.

L'inizio degli anni '70 porta la sua vita a una svolta dolorosa: nell'estate del 1970 muoiono, a pochi mesi di distanza, la moglie americana Marian che aveva condiviso con lui gli anni difficili del dopoguerra ed un intenso periodo di lavoro intellettuale, e Pietro Chiodi, il più anziano dei suoi allievi, verso il quale egli nutriva affetto fraterno. Abbagnano quasi si isola dal mondo. Soltanto nell'insegnamento e nel suo lavoro di scrittore trova ragione di vita.
Nel 1972, per raggiunti limiti di età, lascia quella cattedra di Storia della Filosofia che andò a ricoprire nel lontano 1939. Lascia però anche scolpito nella mente di tanti suoi discepoli il ricordo del suo pensiero, del suo insegnamento universitario e il rigore di metodo con il quale invitava a lavorare i suoi più stretti collaboratori: rigore di metodo che veniva alimentato dalla voce del suo apprezzamento per il lavoro svolto, apprezzamento che arricchiva la volontà di fare, stimolava a proseguire senza tentennamenti verso la meta prefissata ed aiutava a superare l'oppressione dei momenti di sconforto generati a volte da sfiducia in se stessi.
In quell'anno per Abbagnano si apre inaspettatamente un periodo da lui stesso definito "felice, perché dal giugno del '72 avevo accanto Gigliola, la mia terza moglie". La cerimonia era stata celebrata a Torino dal Cardinale Michele Pellegrino - spirito autenticamente e profondamente religioso - con il quale Abbagnano, benché dichiaratamente laico, aveva da tempo un rapporto di amicizia vero e intenso.
Dopo pochi mesi si trasferisce a Milano, dove inizia un nuovo e lungo periodo di lavoro, seguìto con amorevole impegno dalla moglie. Abbagnano attende alla revisione della sua grande Storia della Filosofia, in previsione di una nuova edizione aggiornata ed ampliata. Intanto pubblica Questa pazza filosofia e L'uomo progetto 2000 (quest'ultimo libro è in corso di pubblicazione negli Stati Uniti, a cura di Nino F. Langiulli).
La sua attività di studioso subisce un forzato rallentamento quando nel 1985, benché egli sia sempre stato lontano dalla politica attiva, accetta di prendervi parte ricoprendo la carica (che lascerà dopo un anno) di Assessore alla cultura per il Comune di Milano. Continua però regolarmente la sua collaborazione a "Il Giornale Nuovo", per il quale era stato chiamato a scrivere da Indro Montanelli e Guido Piovene, e per il settimanale "Gente". Questa serie di articoli, apparsi a partire dal 1974, vengono poi raccolti nei libri La saggezza della vita e La saggezza della filosofia. In lui si fa sempre più vivo l'interesse per i problemi dell'esistenza quotidiana e si accentua uno stile più popolare che trova la propria base teorica in una concezione della filosofia come "saggezza" di chiara ascendenza platonica. Di quegli anni Abbagnano racconta: "Non ho smesso la mia ricerca. L'ho indirizzata (in un periodo dove la libertà individuale va sempre più difesa, come ha scritto il mio amico Bruno Maiorca in un bellissimo saggio che ha voluto dedicarmi) sul versante pratico, ovvero di filosofia pratica. Sono moralmente convinto che la filosofia non può essere una meditazione solitaria, deve aiutarci a vivere, guardando all'autodeterminazione, alla dignità e alla libertà di ognuno, e sempre nel rispetto degli altri".22

A riconoscimento ufficiale di merito per l'attività di docente e di filosofo, nel corso degli ultimi trent'anni della sua vita è stato insignito di numerosi premi, tra i quali: Medaglia d'oro dalla città di Salerno, Medaglia d'oro dal Presidente della Repubblica per i Benemeriti della scuola e della cultura, Laurea "Honoris causa" a Parigi per la filosofia, Premio internazionale "S. Valentino d'oro", premio "Salernitani illustri", "Penna d'oro" della Presidenza della Repubblica, "Premio Pannunzio", Premio Letterario nazionale "S. Margherita Ligure-Franco Delpino", Premio Branca, premio internazionale "La Madonnina", premio Lions Club Milano, medaglia d'oro "Ambrogino" del Comune di Milano.

Abbagnano, nonostante l'avanzata età, assistito con devozione dalla moglie, mantiene viva la sua attività intellettuale, continuando a scrivere, e leggendo per tenersi aggiornato su quanto avviene nel mondo filosofico, non soltanto italiano. Nel suo ultimo libro, Ricordi di un filosofo, apparso all'inizio del 1990 a cura di Marcello Staglieno, egli raccoglie memorie autobiografiche che rievocano la Napoli della sua giovinezza e la Torino dove giunse nel 1936, ripercorrendo i momenti decisivi di una vita intensamente operosa, ma anche segnata da tragici eventi personali.

Una parte del libro è dedicata a pensatori e amici, e ad alcuni grandi temi d'oggi, ultimo dei quali il destino che il futuro riserverà alle generazioni che vivranno il terzo millennio: "Non è detto che il futuro sia sempre imprevedibile. Quello prossimo, ma anche quello più lontano, erediterà infatti quanto gli abbiamo lasciato: la misura e l'ordine della vita o la distruzione di essa. Prepariamo, dunque, un degno futuro alle generazioni che verranno. Non ci resta molto, tempus fugit".23

Egli in quel libro esprime un ragionato rifiuto al pessimismo, e della morte scrive: " Non la temevo, e continuo a non temerla, perché fa parte dell'esistenza". Ma già molti anni addietro affermava: "Sono troppo filosofo per non accettare la morte come conclusione inevitabile di ogni esistenza individuale".
Abbagnano cessa di vivere in piena lucidità mentale e serenità dopo un breve ed improvviso ricovero in una clinica di Milano, il 9 Settembre 1990. Il cimitero di Santa Margherita Ligure ne accoglie le spoglie. Nel famèdio del cimitero monumentale di Milano una lapide voluta dal Comune lo ricorda tra gli uomini illustri. Le città di Senigallia, Milano, Roma, Caserta, Porto Cesareo (Lecce), hanno inserito nella loro toponomastica il nome del filosofo Nicola Abbagnano.

Fonte: www.abbagnanofilosofo.it




Aggiunto il 03/04/2017 10:50 da Admin

Argomento: Storia della Filosofia

Autore: Rosanna Panelli Marvulli



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