L'argomento
che ha destato il maggior interesse di G. W. F. Hegel riguardo
all'Oriente è certamente quello religioso.
Le
principali opere hegeliane che presentano delle riflessioni sulle
religioni orientali sono tutte
postume e presentano diversi problemi di natura filologica e anche di
contenuto, in quanto non costituiscono testi curati dall’Autore, ma
sono il risultato dell’assimilazione
di diverse lezioni per lo più affidate agli appunti di discepoli
uditori dei corsi tenuti da Hegel. Si tratta delle
Lezioni sulla filosofia della religione1
(1832), delle
Lezioni
sulla storia della filosofia2
(1833–1836)
e delle
Lezioni
sulla filosofia della storia3
(1837).
Hegel
acquisisce la maggior parte delle conoscenze sull’Oriente
attraverso lo studio delle fonti più rilevanti del proprio tempo
4,
quali quelle dei tedeschi
Georg Friedrich Kreuzer (1771-1858)
5,
Friedrich Schlegel (1772-1829)
6,
Franz Bopp (1791-1867)
7,
dei francesi Joseph de Mailla (1669–1748)
8,
Abraham-Hyacinthe Anquetil-Duperron (1731-1805)
9,
Jean–Pierre Abel Rémusat (1788-1832)
10,
Jean–François Champollion (1790-1832)
11,
degli inglesi William Jones (1746-1794)
12,
Charles Wilkins (1749-1836)
13,
William Carey
(1761-1834)14,
Henry Thomas Coolebrooke (1765-1837)
15,
Claudius Buchanan (1766–1815)
16,
dell'italiano Giovanni Battista Belzoni (1778-1823)
17
e del danese Ferdinand Eckstein (1790–1861)
18.
Secondo
Hegel, le dottrine orientali sono
religioni
della natura
elaborate
dall’immaginazione umana
secondo l’«unità del naturale e dello spirituale», in base alla
«fede ingenua, dell’unità originaria con il divino, senza libertà
e personalità propria»
19:
in esse il «divino» è concepito come una «sostanza universale»
avente «la forma di una esistenza naturale» o di «una potenza
indeterminata in genere», che può essere «riempita dalla fantasia,
dall’accrescimento delle rappresentazioni dello spirito»
20.
I popoli orientali riconoscono maggior valore al «mondo naturale»
21
rispetto alla dimensione «spirituale», rappresentata con «un
contenuto che ha una rigida particolarità»
22,
in cui ogni elemento singolare «sparisce» acquisendo «un
significato infinito, sotto il quale però esso soccombe e nel quale
si dissolve»
23.
Ricevendo il proprio fondamento ontologico dal suo essere «immerso
nella sostanza» divina, lo spirito umano «non ha né può
acquistare alcun valore in sé e per sè», se non a patto «di identificarsi con questa sostanza» per mezzo del «sommergersi nella
meditazione» dell’illimitato
24.
Le religioni dell’Oriente generano così «la più grande
depressione dello spirito, proprio una bassezza, un guardare
l’assoluto in modo estremamente finito», producendo
l’«allargamento» e l’annientamento della «coscienza
individuale» nella «sostanza
celeste, Dio». L'essenza divina si manifesta «in tutte le cose,
senza distinzione», ed è identica a «tutte le cose» quali «cielo,
costellazioni, terra, piante, animali, uomo», sotto forma di una
«coscienza indeterminata di un’essenza potente» o di «uno
spirito potente e benigno che riempie «l’animo di paura, di
presentimenti, di desiderio». Tutta la realtà è concepita come «un
regno dei cieli, una vita divina», caratterizzata da un’«oscura
rappresentazione» di «collegamenti oscuri e arbitrari»: Dio non è
mai completamente separato dalla dimensione terrena o temporale e non
è, quindi, neppure «propriamente creatore e signore» di essa.
Hegel
ritiene che tutte le dottrine orientali facciano parte della
«religione dello spirituale» ma solo «nella sua esteriorità,
naturalità, immediatezza», in quanto colgono la nozione che «Dio è
spirito» nella «particolarizzazione» e «finitizzazione assoluta»
di «esseri determinati»
25.
Tali sistemi dottrinali mancano di un principio speculativo capace di
armonizzare in modo razionale le molteplici realtà del mondo con
l’unità divina cosicché nello spirito orientale «la coscienza
giunge mediante il pensiero a distinguere e determinare principi»
senza che «siffatte categorie e rappresentazioni determinate»
possano mai trovarsi «congiunte col sostanziale»
26.
Questo tipo di religiosità orientale è una forma di “panteismo
assoluto” che attribuisce esclusivamente allo spirito divino «la
attiva sostanzialità, la creazione e il mantenimento del mondo»
27,
secondo una duplice modalità che, da una parte segue «una folla
immensa di cerimonie e d’atti religiosi», mentre «dal lato
opposto» venera «la sublimità dell’illimitato, in cui tutto si
dissolve»
28:
in entrambi i casi, comunque, le realtà del mondo sono ridotte ad
essere «solo ombre e fantasmi» della divinità, alle quali «non è
da attribuire alcuna verità, realtà, alcun essere». Come nel
sistema spinoziano, il difetto di queste concezioni orientali sta
«nella categoria del nascere e del perire», per cui la sostanza
divina è «priva di contenuto» e in essa non vi è niente di
determinato, ma solo «una potenza delirante, priva di finalità in
sé»
29.
L’autocoscienza umana è confinata allo stadio più immediato del
proprio essere, quello dell’appetizione sensibile, subordinata alle
forze della natura e incapace di accedere all’universalità del
pensare e del volere: il carattere degli Orientali non ha ancora
compreso se stesso come universale e la vera libertà spirituale, che
«consiste nel non essere nel finito», non è mai stata realmente
posseduta da esso
30.
Hegel suddivide le
dottrine dell’Oriente in tre gruppi corrispondenti ai tre gradi
delle “religioni naturali”: quelli della magia, della
sostanzialità spirituale e della soggettività astratta.
Nel
primo grado della magia, Hegel pone le tre principali religioni
cinesi: il “confucianesimo”,
rivolto a una divinità assoluta, “Tien” («il Cielo»),
concepita come «semplice regola astratta della rettitudine, la
giustizia eterna»
31;
la dottrina dell’
Yi-king
(«libro
dei principi»),
basata sui due principi divini dello “yang” e dello “yin”,
dalla cui unione si genera il mondo secondo un processo teo-cosmico;
il taoismo,
riferito al
principio divino del
Tao,
ovvero il nulla assoluto «eterna pace, senza virtù, senza potenza,
senza intelligenza»
32,
che si incarna in alcuni individui, gli
Schen,
venerati secondo una serie di pratiche superstiziose
33.
In
questi sistemi dottrinali si crede che i fenomeni naturali siano
determinabili dai comportamenti umani in base a dei rituali magici e
superstiziosi che hanno la funzione di assicurare all’uomo la
protezione divina, nella convinzione che esista una connessione
morale tra le azioni degli uomini e la natura. Ciò che per la
mentalità occidentale è casuale o una connessione naturale, «i
Cinesi cercano di derivarlo o di raggiungerlo mediante la magia, e
anche così si esprime la loro mancanza di spirito»
34:
in questo modo, per Hegel, «si va nelle nuvole» e non si può
trovare «alcun elemento di filosofia speculativa» ma solo «una
morale popolare, esposta con buone e vigorose massime che noi del
resto troviamo dovunque, presso tutti i popoli, anche in forma più
profonda»
35.
Il
secondo grado delle religioni naturali, quello della
sostanzialità spirituale «che si raccoglie in sé, rientra in sé,
cosicché ciò che domina è questa interiorità essenziale, più
alta e potente»
36,
comprende due dottrine religiose: il buddhismo, basato sul “nulla
divino” raggiungibile
dall’uomo per mezzo di una vita ascetica che annulla ogni realtà
particolare nella beatitudine del Nirvana
37;
e la religione indiana, basata
sui testi sacri dei
Veda38
e
rivolta ad
«un’unica
sostanza universale», chiamata Brahm o Brahman, che può essere
conosciuta sia «in filosofia applicandosi al pensiero puro» sia «in
religione mediante devozioni, sacrifici e rigorose penitenze»
39.
In queste concezioni, secondo Hegel, «non c’è alcun intelletto»
quanto piuttosto «la completa assenza di connessioni», limitandosi
a pensare la dimensione spirituale solamente come una forma di
“idealismo dell’esistenza”,
incapace di
connettere in modo armonico l’unità divina con la molteplicità
dei fenomeni. Il principio divino è considerato essere l’unico
ente reale oltre il quale non è riconosciuto alcun altro tipo di
esistenza, cosicché gli elementi del mondo sono delle semplici
manifestazioni fenomeniche della divinità, degne di essere adorate
per mezzo dei rituali superstiziosi del «politeismo fantastico»
indiano
40.
Se nel buddhismo
il “nulla divino” si incarna in uomini particolari (il Tao-Budda
e il Dalai Lama) e in alcuni animali (i «quadrupedi, rettili,
uccelli, in una parola le più basse figure animali»)
41,
nella religione indiana, il principio divino supremo Brahm si rivela
nel mondo per mezzo di molti esseri particolari e «ogni cosa, sole,
luna, stelle, Gange, Indo, animali, fiori, tutto è un dio». Il
risultato è una grave contraddizione tra l’ammissione che «in
tale divinità le cose finite perdono la loro consistenza e
solidità», e la condizione contraria per cui «il divino è
contaminato fino in fondo» dagli elementi naturali. A differenza del
buddhismo che valorizza la spiritualità umana cercando di renderla
immortale attraverso l’estinzione del ciclo delle reincarnazioni
nella beatitudine del Nirvana, la religione indiana rimane invece
radicalmente legata al mondo naturale, in una commistione di
immaginazione e ragione fortemente confusa e approssimativa
42.
Anche le tre “scuole filosofiche” della
Sânkhya,
Nyâya
e
Vaisheshika
che
fanno parte della cultura religiosa indiana,
presentano numerose contraddizioni dottrinali, dovute ad una errata
commistione di concezioni filosofiche e mitologiche, che le rendono
confuse e illogiche.
Lo
spirito religioso dell’India è dunque rimasto erroneamente
oscillante fra posizioni concettuali opposte, delle quali «uno degli
estremi è la fuga nell’astrazione» del pensiero, mentre «l’altro
estremo è la sfrenatezza arbitraria» che porta alla «più triste
depravazione»
43.
Testimonianze di
tale situazione sono, per Hegel, le numerose concezioni irrazionali
adottate dagli Indù, per i quali «la vita umana è qualche cosa che
si ha in disprezzo, è poco valutata, non vale più di un sorso
d’acqua»: l'uomo «qui non può darsi un valore affermativo, ma
solo negativo» e «la vita acquista valore solo dalla negazione di
se stessa»
44.
Ciò che più importa per la spiritualità indiana è «il
raccogliersi dell’anima in se stessa, il suo elevarsi alla
libertà», verso il raggiungimento della beatitudine di Brahm che
richiede la negazione della soggettività spirituale con una «fuga
nel vuoto e nell’indeterminato, dove tutto si perde»
45.
Al
terzo grado delle religioni naturali Hegel pone le religioni persiana
ed egizia
46.
Esse si basano sul «dualismo orientale» dei due principi, il Bene e
il Male, senza trovare soluzione in una sintesi armonica perché i
due principi divini opposti rimangono inconciliabili in quanto
incapaci di «contenere in sé e sopportare l’opposizione, il
contrasto». In queste dottrine il valore più importante è «la
connessione del bene con il mondo concreto»
47,
con il conseguente tentativo di eliminare completamente da ogni forma
di essere l’«ostilità del male»
48:
se «fra i persiani è sorta la coscienza di che cosa siano la
purezza e il suo contrario, l’impurità»
49,
nella religione egiziana, invece, non vi è neppure «ancora la
profondità dell’universalità dell’opposizione» e la
soggettività è isolata dalla realtà nella «rappresentazione»
contingente, superficiale ed esteriore
50.
Sia l’opposizione
di Ahriman e Ormuzd
51,
sia la «lotta» di Osiride con Tifone
52,
sono prodotti di una forma di spiritualità «immatura»
53,
per la quale «i fini determinati dell’azione sono limitati» e non
raggiungono mai la «giustizia infinita». Nelle religioni persiana
ed egizia è presente la soggettività umana nella sua realtà ma non
nella «nella libertà vera e reale»
54:
il significato di tutto ciò è «l’interiore che si spinge a farsi
esteriore, ma che non è ancora giunto alla pienezza della sua
rappresentazione nell’esteriorità»
55.
Queste
forme di dualismo dottrinale sono giudicate negativamente da Hegel
perché irrigidiscono e radicalizzano «le antitesi, quasi fossero
assolute» e «l’unità dell’opposizione non viene saputa nella
sua figura completa»
56:
il risultato è che «neppure siffatti miti concernono la filosofia»
e che in essi «non vi predomina la forma del pensiero» razionale ma
solo un'«oscillazione tra immagine e pensiero» da considerarsi
«ancora al di qua della filosofia»
57.
Il
giudizio complessivo che Hegel esprime sulle religioni orientali è
dunque negativo. Se messe a confronto con l'«importante periodo dei
primi secoli del Cristianesimo», quando l’«intuizione universale
dell’Oriente venne a contatto con l’Occidente (…) attraverso
l’Italia», le carenze teoretiche e pratiche dell’Oriente
emergono con ancora più forza: da quel momento, infatti, i popoli
orientali hanno avvertito la superiorità dell'Occidente, al punto da
cercare in esso, per tutti i periodi storici successivi, «la
regione del limite, della misura, dove prevale lo spirito della
soggettività»
58.
La tradizione culturale dell'Oriente può essere considerata «l’età
infantile della storia» in cui «già esistono tutte le
determinazioni razionali» ma non trovano sviluppo, rimanendo solo
allo stato embrionale
59:
essa «è andata sempre più perdendo di valore man mano che si è
meglio conosciuta», senza riuscire a immaginarne una qualche forma
di rinascita
60.
In
questa prospettiva si delinea anche la netta superiorità della
spiritualità occidentale su quella orientale. Secondo Hegel, la
religione cristiana è, infatti, «in assoluta opposizione con
l’orientalismo»
61
per il fatto di essere riuscita laddove esso ha fallito ovvero nel
tentativo di attuare la «riconciliazione del mondo con Dio» e
«l’accoglimento del finito nell’eterno»
62.
Il cristianesimo è la
religione
assoluta
che ha superato i limiti speculativi e morali dell'Oriente portando a
compimento il processo di sempre maggiore unità tra lo Spirito
divino e lo spirito umano, il cui vertice è stato raggiunto da
Cristo, capace di attuare «la riconciliazione con sé dell’elemento
estraneo, particolare, separato» del mondo naturale
63.
A differenza delle innumerevoli e fatue teofanie dell’Oriente,
l'incarnazione di Cristo ha permesso all’uomo di divenire
«cosciente dell’unità della natura divina e umana»
64,
elevandolo al di sopra di «ogni località, nazionalità, stato,
condizione della vita», verso «il più alto grado dell’essere
spirituale»
65.
Con la morte e la resurrezione dell'Uomo-Dio è stata superata una
volta per tutte «la finitezza dell’uomo», riuscendo ad annullare
e conciliare ogni forma di male nell'unità divina
66.
Se il
cristianesimo costituisce l’inveramento e il superamento delle
dottrine orientali così come l’Occidente è il
destino
geo–storico
dell’Oriente, allo stesso modo, per Hegel, il sapere filosofico è
la
verità
piena e
il
destino
ultimo
della religione cristiana. Ogni «concetto» della filosofia è,
infatti, da considerarsi «superiore alla rappresentazione»
religiosa, in quanto esso «riconosce Dio essenzialmente come
universalità concreta, spirituale e reale»
67,
secondo «la forma più alta dell’interiorità» raggiunta dal
«libero
pensiero
che va
riconosciuto come questa forma purissima del sapere». Il sapere
religioso, «in cui Dio è dapprima per la coscienza un oggetto
esterno» e «si riversa poi nell’elemento dell’interno» grazie
al sentimento della «devozione», deve «rifugiarsi nella filosofia»
che costituisce «il culto al massimo spirituale», permettendo «di
appropriarsi e di sapere concettualmente mediante il pensiero ciò
che altrimenti è soltanto contenuto di sentimento o rappresentazioni
soggettivi»
68.
L’atteggiamento
ermeneutico adottato da Hegel riguardo alle dottrine orientali è,
quindi, basato sulla pregiudiziale superiorità del pensiero
filosofico occidentale rispetto alla religiosità dell’Oriente, il
cui valore «scema di molto allorchè cominciamo a conoscerla
meglio»
69.
Per lo
spirito religioso dell’Oriente non c'è alcuna speranza: esso «va
escluso dalla storia della filosofia» in quanto la vera speculazione
filosofica «presuppone la cognizione della sostanza, dell’assoluto
universale» che «resta come oggetto per sé di fronte a me». La
mentalità occidentale, di cui Hegel si fa difensore e sostenitore,
non può «concepire lo spirituale» alla maniera orientale poiché
«noi siamo abituati alla distinzione dello spirituale dal naturale»
in base a delle determinazioni filosofico–teologiche che «non
valgono» per i popoli orientali
70.
Solo grazie al «duro intelletto europeo», per il quale il pensiero
filosofico «costituisce di per sé la base della verità», lo
spirito orientale «può radicarsi in sé» e
«diventar saldo»
71,
cercando in Occidente l'unica "via di salvezza" che
permetta all'uomo di ritornare «in sé nella sua soggettività»
72.
Con questa immagine conclusiva, Hegel compendia l'intero corso della
storia mondiale, inevitabilmente dominata, secondo uno dei più forti
convincimenti del filosofo tedesco, dalla superiorità spirituale e
culturale dell'Occidente sull'Oriente
73.
1
Le Lezioni sulla filosofia della religione (Vorlesungen über die
Philosophie der Religion) sono state tenute da Hegel alla
Friedrich-Wilhelms Universität di Berlino nel corso dei
semestri estivi e invernali degli anni 1821, 1824, 1827 e 1831. E.
OBERTI,
Introduzione
a G. W. F. HEGEL, Lezioni
sulla Filosofia della Religione,
a cura di E. Oberti e G. Borruso, Zanichelli, Bologna 1973, 2 voll.
(abbr. HLR),
vol. I, pp. 19-24.
2
Secondo Karl Ludwig Michelet, le Lezioni sulla storia della
filosofia (Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie) di
Hegel sono il risultato di una serie di lezioni tenute dal filosofo
tedesco «in tutto nove volte, nelle diverse Università in cui
insegnò: la prima volta a Jena nell’inverno 1805-1806; poi a
Heidelberg nei semestri invernali 1816-17 e 1817-18; infine in
questa Università [Berlino] nell’estate del 1819 e nei semestri
invernali 1820-21, 1823-24, 1825-26, 1827-28, 1828-29». Riguardo
all’«esposizione della filosofia orientale» all’interno di
queste Lezioni, Michelet ritiene che sia «desunta da appunti
di uditori» relativi a «una copiosa raccolta d’estratti di
opere francesi e inglesi sull’Oriente in generale, dei quali Hegel
recava alla cattedra quelli riferentesi all’argomento di quella
data lezione, provveduti di note
marginali, e ne faceva poi oggetto di libera lezione, in parte
traducendoli direttamente a voce, in parte intercalando le sue
osservazioni e i suoi giudizi». K.
L. MICHELET,
Prefazione
alla prima edizione tedesca,
in G. W. F. HEGEL, Lezioni
sulla Storia della Filosofia,
trad. it. di E. Codignola e G. Sanna, «La Nuova Italia» Editrice,
Firenze 1964, 3 voll. (abbr. HSF),
vol. I, pp. VII-X.
3
Le Lezioni sulla filosofia della storia (Vorlesungen über die
Philosophie der Geschichte) sono state pubblicate dopo la
morte di Hegel (1831) nel corpo dei Werke hegeliani presso
l’editore berlinese Duncker und Humblot, una prima volta nel 1837
per mano di Eduard Gans, una seconda volta nel 1840 per mano di Karl
Hegel, figlio maggiore del filosofo. Secondo Giovanni Bonacina e
Livio Sichirollo, «quei due primi curatori, Gans e Karl Hegel,
mirarono a creare un’opera il più possibile vicina al libro che
forse un giorno il filosofo avrebbe dato alle stampe; perciò fusero
i materiali a loro disposizione nel tentativo di ottenere il massimo
di omogeneità e di coerenza, senza troppo preoccuparsi di mescolare
manoscritti di Hegel e quaderni degli uditori risalenti ad anni
differenti. Nel corso del Novecento si fece sentire il bisogno di
rivederne il
lavoro, di accrescere il materiale a disposizione dei lettori e
distinguere con cura le fonti, nonostante la perdita di parte dei
manoscritti utilizzati dai primi editori». G.
BONACINA-L. SCHIROLLO,
Nota
alla traduzione,
in G. W. F. HEGEL, Lezioni
sulla Filosofia della Storia,
a cura di G. Bonacina e L. Sichirollo, Editori Laterza, Roma-Bari
2003
(abbr. HFS), pp. XXXIX-XL.
4
Riguardo alle fonti utilizzate da Hegel sull’Oriente, si è tenuto
conto del catalogo dei libri posseduti dal filosofo tedesco e messi
all’asta dopo la sua morte: Verzeichniß
der von dem Professor Herrn Dr. Hegel und dem Dr. Herr Seebeck,
hinterlassenen Bücher–Sammlungen; aus philosophischen,
philologischen, belletristischen, geschichtlichen, mathematischen,
physikalischen, astronomischen, chemischen, technologischen,
numismatischen, naturgeschichtlichen, anatomischen, medizinischen,
literaturgeschichtlichen, geographischen, juristischen und
verschiedenen andern Werken bestehend; welche nebst Musikalien,
Landkarten und einigen Kupferstichen, Donnerstag den 3ten May und
folg. T., Vormittags von 9 bis 1 Uhr, in der Schützen–Straße N°
10. durch den Königl. Auktions–Kommissarius Rauch, gegen gleich
baare Bezahlung in Preuß. Courant meistbietend versteigert werden
sollen, C. F. Müller, Berlin 1832, I,
pp. 1-73.
5
G. F. KREUZER,
Symbolik und Mythologie der alten
Völker
besonders der Griechen, 3. Ausg.
Leipzig-Darmstadt 1837-1843, mit einer Fortsetzung von F. J. Mone,
Geschichte des Heidenthums im
nördlichen Europa, I Abth., 6 bde..
HFS, p. 375, n.
16.
6
F. SCHLEGEL,
Über die Sprache
und Weisheit der Indier.
Ein Beitrag zur
Begründung der Alterhumskunde. Nebst metrischen Übersetzungen
indischer Gedichte,
Mohr und Zimmer, Heidelberg 1808. HFS,
p. 375, n. 16.
7
F. BOPP, Über
das Conjugationssystem der Sankritssprache in Vergleichung mit jenem
der griechischen, lateinischen, persischen und germanischen Sprache,
herausgegeben und mit Vorerinnerungen begleitet von Dr. K. J.
Windischimann, Andrae, Frankfurt a. M.
1816; ID, Vergleichende
Zergliederung des Sanscrit und der verwandten Sprachen,
Dümmler, Berlin 1824. HFS, p. 403, n. 46.
8
Di Joseph de Mailla, gesuita francese
missionario in Cina, Hegel conosce l’opera fonmdamentale sulla
Cina, la Histoire Générale de la
Chine, ou Annales de cet Empire traduites de Tong–Kien–Kang–Mou
par le feu P. Jos. Anne Marie de Moyriac de Mailla, Jésuite
François, Missionaire à Pékin: Publiées par M. l’Abbé
Grosier, Et dirigées par M. le Roux Des Hauterayes,
Pierres et Clousier, Paris 1777–1785, 13 voll.. HFS,
p. 395, n. 3.
9
ZA. HFS, p. 413, n. 90.
10
J–P. A. RÉMUSAT,
Observations sur quelques points de la
doctrine samanéenne, et en particulier sur le noms de la triade
suprême chez les différents peuples bouddhistes,
Imprimerie Royale, Paris 1831; ID, Mémoire
sur la vie et les opinions de Lao–Tseu, philosophe chinois du VI °
siècle avant notre ère, qui a professé les opinions communemént
attribueés à Pythagore, à Platon et à leurs disciples,
Imprimerie Royale, Paris 1823. HFS, p. 379, n. 37.
11
Égypte sous les Pharaons,
ou Recherches Sur la Géographie,
la Religion,
la Langue,
les Écritures et l’Histoire de l’Égypte avant l’invasion de
Cambuse;
par M. Champollion le june, Paris, de
Bure, 1814, 2 voll.. HFS,
p. 420, n. 126.
12
W. JONES, On
the Gods of Greece, Italy and India,
«Asiatick Researches»,
I, 1799. HFS, p. 407, n. 66.
13
C. WILKINS, The
Bhagavat-Geeta, or Dialogues of Kreeshna and Arjoon, in eighteen
lectures with notes, C. Nourse, London 1785.
HFS, p. 406, n. 59.
14
The Ramayana of Valmeeky, in the
Original Sungskrit. With a prose translation and explanatory notes
by William Carey and Joshua Marshman,
Serampore 1806-1810, 4 voll.. HFS,
p. 409, n. 73.
15
H. T. COLEBROOKE,
Essays on the Philosophy of the Hindus,
«Transactions of the Royal Asiatic Society of Great Britain and
Ireland», I, (1824); ID, On
the Ve’das, or Sacred Writings of the Hindus,
«Asiatic Researches», VIII (1808). HFS, p. 409, n. 72; 74.
16
Di Claudius Buchanan, reverendo missionario in India, Hegel conosce
le Christian Researches in Asia: with
notices of the translation of the Scriptures into the Oriental
Languages. Eleventh Edition, Cadell
and Davies, London 1819. HFS, p. 405, n. 57.
17
Narrative of the Operations and Recent
Discoveries within the Pyramids, Temples, Tombs and Excavations in
Egypt and Nubia; and of a Journey to the Coast of the Red Sea, in
search of the ancient Berenice; and another to the Oasis of Jupiter
Ammon, By
G. Belzoni. Second edtion, Murray,
London 1821. HFS, p. 418, n. 121.
18
Di Ferdinand Eckstein, orientalista
cattolico, membro della Société Asiatique, Hegel ha letto numerosi
articoli comparsi sulla rivista «Le
Catholique», ouvrage
périodique dans lequel on traite de l’universalité des
connaisances humaines sous le point de vue de l’unité de
doctrine; publié sous la direction de M. le Baron d’Eckstein,
Sautelet, Paris 1826-29, 16 voll., di cui Eckstein era direttore e
quasi unico autore. HFS, pp. 379–380, n. 37.
19
HLR, vol. I, p. 353.
20
HLR, vol. I, p. 372; pp. 382–383.
21
HLR, vol. I, p. 354.
22
HLR, vol. I, p. 396.
23
HLR, vol. I, pp. 391–393.
24
HSF, vol. I, pp. 134–136.
25
HLR, vol. I, pp. 358–359; 371–372; 389-393.
26
HSF, vol. I, p. 115; pp. 134-136.
27
HLR, vol. I,
pp. 449-454.
28
HSF, vol. I,
p. 115; pp. 134-136.
29
HLR, vol. I, p. 386, n. 1.
30
HSF, vol. I, pp. 112–137.
31
HSF, vol. I,
pp. 137-138.
32
HLR, vol. I, pp. 440-442.
33
HLR, vol. I, pp.
443-448.
34
HFS, pp.
114-115.
35
HSF, vol. I,
pp. 137-138; 443-448.
36
HLR, vol. I, p. 398.
37
HLR, vol. I,
pp. 455-459.
38
Secondo Hegel i Veda (Rigveda, Yajurveda, Samaveda e
Atharvaveda) contengono il sapere teologico dell’India e
alcune parti di quello filosofico, in riferimento soprattutto alle
Upanishad. Oltre a questi testi sacri della religione
indiana, Hegel menziona anche il Râmâyana, il Mahâbhârata,
i Pûrana e il Codice di Manu. HSF, vol. I, p. 144, n.
3.
39
HSF, vol. I, pp. 143-145.
40
HLR.,
vol. I, pp. 494-497.
41
HLR, vol. I, pp.
455-459; HFS,
pp. 144-147.
42
HFS, pp. 120-121.
43
HSF, vol. I, pp. 145-161.
44
HLR., vol. I, p. 496.
45
HSF, vol. I,
pp. 164-166.
46
HLR, vol. I, p. 398.
47
HLR., vol. I, pp. 504-509.
48
HLR, vol. I, p. 400.
49
HFS, p. 152.
50
HLR, vol. I, pp. 536–540.
51
HLR, vol. I, pp.
506-509; HFS, p.
152.
52
HLR, vol. I, pp. 529–530.
53
HLR, vol. I, p. 520.
54
HLR, vol. I, pp. 523-525.
55
HLR, vol. I, p. 543-544.
56
HFS, p. 152.
57
HSF, vol. I, p. 100.
58
HSF, vol. I, pp. 76-77; 133-134.
59
HFS, pp. 91–92.
60
HLR, vol. I, pp. 370–371.
61
HFS, pp. 94–95.
62
HLR, vol. II, p. 249.
63
HLR , vol. II, pp. 244–245.
64
HLR, vol. II, pp. 347-348.
65
HLR, vol. II, pp. 337-338.
66
HLR, vol. II, pp. 374–376.
67
HLR, vol. II, pp. 420–421.
68
HLR, vol. II, p. 427; G. W. F. HEGEL, Estetica, trad.
it. di N. Merker e N. Vaccaro, Einaudi, Torino 1976, pp. 120–122.
69
70
HLR, vol. I, pp. 396–397; HSF, vol. I, pp. 112 - 137.
71
HSF, vol. I, pp. 164-166.
72
HLR, vol. I, p. 451.
73
HFS, pp. 90. «La storia
mondiale procede da oriente a occidente, poiché l’Europa è
senz’altro la fine della storia, l’Asia è il suo inizio. (…)
In oriente sorge il sole fisico, esteriore, che tramonta in
occidente; ma qui sorge il sole interiore della coscienza di sé,
che diffonde uno splendore superiore. La storia mondiale è la
disciplina imposta alla sfrenatezza della volontà naturale,
affinchè divenga volontà universale e libertà soggettiva.
L’Oriente sapeva e sa soltanto che uno solo è libero, il
mondo greco e romano sapeva che alcuni sono liberi, il mondo
germanico sa che tutti sono liberi. Perciò la prima forma
che vediamo nella storia è il dispotismo, la seconda sono la
democrazia e l’aristocrazia, la terza è la
monarchia»: Ivi, pp. 90–91. A questo riguardo, Bonacina
ritiene che «l’Oriente raffigurato a Berlino con ben maggiore
dottrina rimane pur sempre il compatto regno teocratico apparso a
Hegel in gioventù, secondo il collaudato schema del dispotismo
orientale, quando il suo primo interesse era la serrata critica
del retaggio ebraico nel cristianesimo. L’individuo non conta
ancora nulla, schiacciato com’ è sotto il peso di una natura non
ostile come in Africa, ma possente e divinizzata, via via concepita
in senso più spirituale solo muovendosi verso occidente. (…) La
monarchia orientale, il regno della libertà di uno solo, è un
sistema dove non è dato a nessuno, se non al principe e sommo
sacerdote, di disporre della propria vita, dei propri averi, dei
propri pensieri, ma tutto appartiene al dio, al patriarca, a ciò
che Hegel chiama la “sostanza”». G. BONACINA, Introduzione a
HFS, p. XIX.
Aggiunto il 19/09/2018 08:44 da Paolo Gava
Argomento: Filosofia delle religioni
Autore: Paolo Gava