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L’interpretazione filosofica di G. W. F. Hegel sulle religioni dell'Oriente

L'argomento che ha destato il maggior interesse di G. W. F. Hegel riguardo all'Oriente è certamente quello religioso. Le principali opere hegeliane che presentano delle riflessioni sulle religioni orientali sono tutte postume e presentano diversi problemi di natura filologica e anche di contenuto, in quanto non costituiscono testi curati dall’Autore, ma sono il risultato dell’assimilazione di diverse lezioni per lo più affidate agli appunti di discepoli uditori dei corsi tenuti da Hegel. Si tratta delle Lezioni sulla filosofia della religione1 (1832), delle Lezioni sulla storia della filosofia2 (1833–1836) e delle Lezioni sulla filosofia della storia3 (1837). Hegel acquisisce la maggior parte delle conoscenze sull’Oriente attraverso lo studio delle fonti più rilevanti del proprio tempo4, quali quelle dei tedeschi Georg Friedrich Kreuzer (1771-1858)5, Friedrich Schlegel (1772-1829)6, Franz Bopp (1791-1867)7, dei francesi Joseph de Mailla (1669–1748)8, Abraham-Hyacinthe Anquetil-Duperron (1731-1805)9, Jean–Pierre Abel Rémusat (1788-1832)10, Jean–François Champollion (1790-1832)11, degli inglesi William Jones (1746-1794)12, Charles Wilkins (1749-1836)13, William Carey (1761-1834)14, Henry Thomas Coolebrooke (1765-1837)15, Claudius Buchanan (1766–1815)16, dell'italiano Giovanni Battista Belzoni (1778-1823)17 e del danese Ferdinand Eckstein (1790–1861)18. Secondo Hegel, le dottrine orientali sono religioni della natura elaborate dall’immaginazione umana secondo l’«unità del naturale e dello spirituale», in base alla «fede ingenua, dell’unità originaria con il divino, senza libertà e personalità propria»19: in esse il «divino» è concepito come una «sostanza universale» avente «la forma di una esistenza naturale» o di «una potenza indeterminata in genere», che può essere «riempita dalla fantasia, dall’accrescimento delle rappresentazioni dello spirito»20. I popoli orientali riconoscono maggior valore al «mondo naturale»21 rispetto alla dimensione «spirituale», rappresentata con «un contenuto che ha una rigida particolarità»22, in cui ogni elemento singolare «sparisce» acquisendo «un significato infinito, sotto il quale però esso soccombe e nel quale si dissolve»23. Ricevendo il proprio fondamento ontologico dal suo essere «immerso nella sostanza» divina, lo spirito umano «non ha né può acquistare alcun valore in sé e per sè», se non a patto «di identificarsi con questa sostanza» per mezzo del «sommergersi nella meditazione» dell’illimitato24. Le religioni dell’Oriente generano così «la più grande depressione dello spirito, proprio una bassezza, un guardare l’assoluto in modo estremamente finito», producendo l’«allargamento» e l’annientamento della «coscienza individuale» nella «sostanza celeste, Dio». L'essenza divina si manifesta «in tutte le cose, senza distinzione», ed è identica a «tutte le cose» quali «cielo, costellazioni, terra, piante, animali, uomo», sotto forma di una «coscienza indeterminata di un’essenza potente» o di «uno spirito potente e benigno che riempie «l’animo di paura, di presentimenti, di desiderio». Tutta la realtà è concepita come «un regno dei cieli, una vita divina», caratterizzata da un’«oscura rappresentazione» di «collegamenti oscuri e arbitrari»: Dio non è mai completamente separato dalla dimensione terrena o temporale e non è, quindi, neppure «propriamente creatore e signore» di essa. Hegel ritiene che tutte le dottrine orientali facciano parte della «religione dello spirituale» ma solo «nella sua esteriorità, naturalità, immediatezza», in quanto colgono la nozione che «Dio è spirito» nella «particolarizzazione» e «finitizzazione assoluta» di «esseri determinati»25. Tali sistemi dottrinali mancano di un principio speculativo capace di armonizzare in modo razionale le molteplici realtà del mondo con l’unità divina cosicché nello spirito orientale «la coscienza giunge mediante il pensiero a distinguere e determinare principi» senza che «siffatte categorie e rappresentazioni determinate» possano mai trovarsi «congiunte col sostanziale»26. Questo tipo di religiosità orientale è una forma di “panteismo assoluto” che attribuisce esclusivamente allo spirito divino «la attiva sostanzialità, la creazione e il mantenimento del mondo»27, secondo una duplice modalità che, da una parte segue «una folla immensa di cerimonie e d’atti religiosi», mentre «dal lato opposto» venera «la sublimità dell’illimitato, in cui tutto si dissolve»28: in entrambi i casi, comunque, le realtà del mondo sono ridotte ad essere «solo ombre e fantasmi» della divinità, alle quali «non è da attribuire alcuna verità, realtà, alcun essere». Come nel sistema spinoziano, il difetto di queste concezioni orientali sta «nella categoria del nascere e del perire», per cui la sostanza divina è «priva di contenuto» e in essa non vi è niente di determinato, ma solo «una potenza delirante, priva di finalità in sé»29. L’autocoscienza umana è confinata allo stadio più immediato del proprio essere, quello dell’appetizione sensibile, subordinata alle forze della natura e incapace di accedere all’universalità del pensare e del volere: il carattere degli Orientali non ha ancora compreso se stesso come universale e la vera libertà spirituale, che «consiste nel non essere nel finito», non è mai stata realmente posseduta da esso30. Hegel suddivide le dottrine dell’Oriente in tre gruppi corrispondenti ai tre gradi delle “religioni naturali”: quelli della magia, della sostanzialità spirituale e della soggettività astratta. Nel primo grado della magia, Hegel pone le tre principali religioni cinesi: il “confucianesimo”, rivolto a una divinità assoluta, “Tien” («il Cielo»), concepita come «semplice regola astratta della rettitudine, la giustizia eterna»31; la dottrina dell’Yi-king («libro dei principi»), basata sui due principi divini dello “yang” e dello “yin”, dalla cui unione si genera il mondo secondo un processo teo-cosmico; il taoismo, riferito al principio divino del Tao, ovvero il nulla assoluto «eterna pace, senza virtù, senza potenza, senza intelligenza»32, che si incarna in alcuni individui, gli Schen, venerati secondo una serie di pratiche superstiziose33. In questi sistemi dottrinali si crede che i fenomeni naturali siano determinabili dai comportamenti umani in base a dei rituali magici e superstiziosi che hanno la funzione di assicurare all’uomo la protezione divina, nella convinzione che esista una connessione morale tra le azioni degli uomini e la natura. Ciò che per la mentalità occidentale è casuale o una connessione naturale, «i Cinesi cercano di derivarlo o di raggiungerlo mediante la magia, e anche così si esprime la loro mancanza di spirito»34: in questo modo, per Hegel, «si va nelle nuvole» e non si può trovare «alcun elemento di filosofia speculativa» ma solo «una morale popolare, esposta con buone e vigorose massime che noi del resto troviamo dovunque, presso tutti i popoli, anche in forma più profonda»35. Il secondo grado delle religioni naturali, quello della sostanzialità spirituale «che si raccoglie in sé, rientra in sé, cosicché ciò che domina è questa interiorità essenziale, più alta e potente»36, comprende due dottrine religiose: il buddhismo, basato sul “nulla divino” raggiungibile dall’uomo per mezzo di una vita ascetica che annulla ogni realtà particolare nella beatitudine del Nirvana37; e la religione indiana, basata sui testi sacri dei Veda38 e rivolta ad «un’unica sostanza universale», chiamata Brahm o Brahman, che può essere conosciuta sia «in filosofia applicandosi al pensiero puro» sia «in religione mediante devozioni, sacrifici e rigorose penitenze»39. In queste concezioni, secondo Hegel, «non c’è alcun intelletto» quanto piuttosto «la completa assenza di connessioni», limitandosi a pensare la dimensione spirituale solamente come una forma di “idealismo dell’esistenza”, incapace di connettere in modo armonico l’unità divina con la molteplicità dei fenomeni. Il principio divino è considerato essere l’unico ente reale oltre il quale non è riconosciuto alcun altro tipo di esistenza, cosicché gli elementi del mondo sono delle semplici manifestazioni fenomeniche della divinità, degne di essere adorate per mezzo dei rituali superstiziosi del «politeismo fantastico» indiano40. Se nel buddhismo il “nulla divino” si incarna in uomini particolari (il Tao-Budda e il Dalai Lama) e in alcuni animali (i «quadrupedi, rettili, uccelli, in una parola le più basse figure animali»)41, nella religione indiana, il principio divino supremo Brahm si rivela nel mondo per mezzo di molti esseri particolari e «ogni cosa, sole, luna, stelle, Gange, Indo, animali, fiori, tutto è un dio». Il risultato è una grave contraddizione tra l’ammissione che «in tale divinità le cose finite perdono la loro consistenza e solidità», e la condizione contraria per cui «il divino è contaminato fino in fondo» dagli elementi naturali. A differenza del buddhismo che valorizza la spiritualità umana cercando di renderla immortale attraverso l’estinzione del ciclo delle reincarnazioni nella beatitudine del Nirvana, la religione indiana rimane invece radicalmente legata al mondo naturale, in una commistione di immaginazione e ragione fortemente confusa e approssimativa42. Anche le tre “scuole filosofiche” della Sânkhya, Nyâya e Vaisheshika che fanno parte della cultura religiosa indiana, presentano numerose contraddizioni dottrinali, dovute ad una errata commistione di concezioni filosofiche e mitologiche, che le rendono confuse e illogiche. Lo spirito religioso dell’India è dunque rimasto erroneamente oscillante fra posizioni concettuali opposte, delle quali «uno degli estremi è la fuga nell’astrazione» del pensiero, mentre «l’altro estremo è la sfrenatezza arbitraria» che porta alla «più triste depravazione»43. Testimonianze di tale situazione sono, per Hegel, le numerose concezioni irrazionali adottate dagli Indù, per i quali «la vita umana è qualche cosa che si ha in disprezzo, è poco valutata, non vale più di un sorso d’acqua»: l'uomo «qui non può darsi un valore affermativo, ma solo negativo» e «la vita acquista valore solo dalla negazione di se stessa»44. Ciò che più importa per la spiritualità indiana è «il raccogliersi dell’anima in se stessa, il suo elevarsi alla libertà», verso il raggiungimento della beatitudine di Brahm che richiede la negazione della soggettività spirituale con una «fuga nel vuoto e nell’indeterminato, dove tutto si perde»45. Al terzo grado delle religioni naturali Hegel pone le religioni persiana ed egizia46. Esse si basano sul «dualismo orientale» dei due principi, il Bene e il Male, senza trovare soluzione in una sintesi armonica perché i due principi divini opposti rimangono inconciliabili in quanto incapaci di «contenere in sé e sopportare l’opposizione, il contrasto». In queste dottrine il valore più importante è «la connessione del bene con il mondo concreto»47, con il conseguente tentativo di eliminare completamente da ogni forma di essere l’«ostilità del male»48: se «fra i persiani è sorta la coscienza di che cosa siano la purezza e il suo contrario, l’impurità»49, nella religione egiziana, invece, non vi è neppure «ancora la profondità dell’universalità dell’opposizione» e la soggettività è isolata dalla realtà nella «rappresentazione» contingente, superficiale ed esteriore50. Sia l’opposizione di Ahriman e Ormuzd51, sia la «lotta» di Osiride con Tifone52, sono prodotti di una forma di spiritualità «immatura»53, per la quale «i fini determinati dell’azione sono limitati» e non raggiungono mai la «giustizia infinita». Nelle religioni persiana ed egizia è presente la soggettività umana nella sua realtà ma non nella «nella libertà vera e reale»54: il significato di tutto ciò è «l’interiore che si spinge a farsi esteriore, ma che non è ancora giunto alla pienezza della sua rappresentazione nell’esteriorità»55. Queste forme di dualismo dottrinale sono giudicate negativamente da Hegel perché irrigidiscono e radicalizzano «le antitesi, quasi fossero assolute» e «l’unità dell’opposizione non viene saputa nella sua figura completa»56: il risultato è che «neppure siffatti miti concernono la filosofia» e che in essi «non vi predomina la forma del pensiero» razionale ma solo un'«oscillazione tra immagine e pensiero» da considerarsi «ancora al di qua della filosofia»57. Il giudizio complessivo che Hegel esprime sulle religioni orientali è dunque negativo. Se messe a confronto con l'«importante periodo dei primi secoli del Cristianesimo», quando l’«intuizione universale dell’Oriente venne a contatto con l’Occidente (…) attraverso l’Italia», le carenze teoretiche e pratiche dell’Oriente emergono con ancora più forza: da quel momento, infatti, i popoli orientali hanno avvertito la superiorità dell'Occidente, al punto da cercare in esso, per tutti i periodi storici successivi, «la regione del limite, della misura, dove prevale lo spirito della soggettività»58. La tradizione culturale dell'Oriente può essere considerata «l’età infantile della storia» in cui «già esistono tutte le determinazioni razionali» ma non trovano sviluppo, rimanendo solo allo stato embrionale59: essa «è andata sempre più perdendo di valore man mano che si è meglio conosciuta», senza riuscire a immaginarne una qualche forma di rinascita60. In questa prospettiva si delinea anche la netta superiorità della spiritualità occidentale su quella orientale. Secondo Hegel, la religione cristiana è, infatti, «in assoluta opposizione con l’orientalismo»61 per il fatto di essere riuscita laddove esso ha fallito ovvero nel tentativo di attuare la «riconciliazione del mondo con Dio» e «l’accoglimento del finito nell’eterno»62. Il cristianesimo è la religione assoluta che ha superato i limiti speculativi e morali dell'Oriente portando a compimento il processo di sempre maggiore unità tra lo Spirito divino e lo spirito umano, il cui vertice è stato raggiunto da Cristo, capace di attuare «la riconciliazione con sé dell’elemento estraneo, particolare, separato» del mondo naturale63. A differenza delle innumerevoli e fatue teofanie dell’Oriente, l'incarnazione di Cristo ha permesso all’uomo di divenire «cosciente dell’unità della natura divina e umana»64, elevandolo al di sopra di «ogni località, nazionalità, stato, condizione della vita», verso «il più alto grado dell’essere spirituale»65. Con la morte e la resurrezione dell'Uomo-Dio è stata superata una volta per tutte «la finitezza dell’uomo», riuscendo ad annullare e conciliare ogni forma di male nell'unità divina66. Se il cristianesimo costituisce l’inveramento e il superamento delle dottrine orientali così come l’Occidente è il destino geo–storico dell’Oriente, allo stesso modo, per Hegel, il sapere filosofico è la verità piena e il destino ultimo della religione cristiana. Ogni «concetto» della filosofia è, infatti, da considerarsi «superiore alla rappresentazione» religiosa, in quanto esso «riconosce Dio essenzialmente come universalità concreta, spirituale e reale»67, secondo «la forma più alta dell’interiorità» raggiunta dal «libero pensiero che va riconosciuto come questa forma purissima del sapere». Il sapere religioso, «in cui Dio è dapprima per la coscienza un oggetto esterno» e «si riversa poi nell’elemento dell’interno» grazie al sentimento della «devozione», deve «rifugiarsi nella filosofia» che costituisce «il culto al massimo spirituale», permettendo «di appropriarsi e di sapere concettualmente mediante il pensiero ciò che altrimenti è soltanto contenuto di sentimento o rappresentazioni soggettivi»68. L’atteggiamento ermeneutico adottato da Hegel riguardo alle dottrine orientali è, quindi, basato sulla pregiudiziale superiorità del pensiero filosofico occidentale rispetto alla religiosità dell’Oriente, il cui valore «scema di molto allorchè cominciamo a conoscerla meglio»69. Per lo spirito religioso dell’Oriente non c'è alcuna speranza: esso «va escluso dalla storia della filosofia» in quanto la vera speculazione filosofica «presuppone la cognizione della sostanza, dell’assoluto universale» che «resta come oggetto per sé di fronte a me». La mentalità occidentale, di cui Hegel si fa difensore e sostenitore, non può «concepire lo spirituale» alla maniera orientale poiché «noi siamo abituati alla distinzione dello spirituale dal naturale» in base a delle determinazioni filosofico–teologiche che «non valgono» per i popoli orientali70. Solo grazie al «duro intelletto europeo», per il quale il pensiero filosofico «costituisce di per sé la base della verità», lo spirito orientale «può radicarsi in sé» e «diventar saldo»71, cercando in Occidente l'unica "via di salvezza" che permetta all'uomo di ritornare «in sé nella sua soggettività»72. Con questa immagine conclusiva, Hegel compendia l'intero corso della storia mondiale, inevitabilmente dominata, secondo uno dei più forti convincimenti del filosofo tedesco, dalla superiorità spirituale e culturale dell'Occidente sull'Oriente73.

1 Le Lezioni sulla filosofia della religione (Vorlesungen über die Philosophie der Religion) sono state tenute da Hegel alla Friedrich-Wilhelms Universität di Berlino nel corso dei semestri estivi e invernali degli anni 1821, 1824, 1827 e 1831. E. OBERTI, Introduzione a G. W. F. HEGEL, Lezioni sulla Filosofia della Religione, a cura di E. Oberti e G. Borruso, Zanichelli, Bologna 1973, 2 voll. (abbr. HLR), vol. I, pp. 19-24.

2 Secondo Karl Ludwig Michelet, le Lezioni sulla storia della filosofia (Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie) di Hegel sono il risultato di una serie di lezioni tenute dal filosofo tedesco «in tutto nove volte, nelle diverse Università in cui insegnò: la prima volta a Jena nell’inverno 1805-1806; poi a Heidelberg nei semestri invernali 1816-17 e 1817-18; infine in questa Università [Berlino] nell’estate del 1819 e nei semestri invernali 1820-21, 1823-24, 1825-26, 1827-28, 1828-29». Riguardo all’«esposizione della filosofia orientale» all’interno di queste Lezioni, Michelet ritiene che sia «desunta da appunti di uditori» relativi a «una copiosa raccolta d’estratti di opere francesi e inglesi sull’Oriente in generale, dei quali Hegel recava alla cattedra quelli riferentesi all’argomento di quella data lezione, provveduti di note marginali, e ne faceva poi oggetto di libera lezione, in parte traducendoli direttamente a voce, in parte intercalando le sue osservazioni e i suoi giudizi». K. L. MICHELET, Prefazione alla prima edizione tedesca, in G. W. F. HEGEL, Lezioni sulla Storia della Filosofia, trad. it. di E. Codignola e G. Sanna, «La Nuova Italia» Editrice, Firenze 1964, 3 voll. (abbr. HSF), vol. I, pp. VII-X.

3 Le Lezioni sulla filosofia della storia (Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte) sono state pubblicate dopo la morte di Hegel (1831) nel corpo dei Werke hegeliani presso l’editore berlinese Duncker und Humblot, una prima volta nel 1837 per mano di Eduard Gans, una seconda volta nel 1840 per mano di Karl Hegel, figlio maggiore del filosofo. Secondo Giovanni Bonacina e Livio Sichirollo, «quei due primi curatori, Gans e Karl Hegel, mirarono a creare un’opera il più possibile vicina al libro che forse un giorno il filosofo avrebbe dato alle stampe; perciò fusero i materiali a loro disposizione nel tentativo di ottenere il massimo di omogeneità e di coerenza, senza troppo preoccuparsi di mescolare manoscritti di Hegel e quaderni degli uditori risalenti ad anni differenti. Nel corso del Novecento si fece sentire il bisogno di rivederne il lavoro, di accrescere il materiale a disposizione dei lettori e distinguere con cura le fonti, nonostante la perdita di parte dei manoscritti utilizzati dai primi editori». G. BONACINA-L. SCHIROLLO, Nota alla traduzione, in G. W. F. HEGEL, Lezioni sulla Filosofia della Storia, a cura di G. Bonacina e L. Sichirollo, Editori Laterza, Roma-Bari 2003 (abbr. HFS), pp. XXXIX-XL.

4 Riguardo alle fonti utilizzate da Hegel sull’Oriente, si è tenuto conto del catalogo dei libri posseduti dal filosofo tedesco e messi all’asta dopo la sua morte: Verzeichniß der von dem Professor Herrn Dr. Hegel und dem Dr. Herr Seebeck, hinterlassenen Bücher–Sammlungen; aus philosophischen, philologischen, belletristischen, geschichtlichen, mathematischen, physikalischen, astronomischen, chemischen, technologischen, numismatischen, naturgeschichtlichen, anatomischen, medizinischen, literaturgeschichtlichen, geographischen, juristischen und verschiedenen andern Werken bestehend; welche nebst Musikalien, Landkarten und einigen Kupferstichen, Donnerstag den 3ten May und folg. T., Vormittags von 9 bis 1 Uhr, in der Schützen–Straße N° 10. durch den Königl. Auktions–Kommissarius Rauch, gegen gleich baare Bezahlung in Preuß. Courant meistbietend versteigert werden sollen, C. F. Müller, Berlin 1832, I, pp. 1-73.

5 G. F. KREUZER, Symbolik und Mythologie der alten Völker besonders der Griechen, 3. Ausg. Leipzig-Darmstadt 1837-1843, mit einer Fortsetzung von F. J. Mone, Geschichte des Heidenthums im nördlichen Europa, I Abth., 6 bde.. HFS, p. 375, n. 16.

6 F. SCHLEGEL, Über die Sprache und Weisheit der Indier. Ein Beitrag zur Begründung der Alterhumskunde. Nebst metrischen Übersetzungen indischer Gedichte, Mohr und Zimmer, Heidelberg 1808. HFS, p. 375, n. 16.

7 F. BOPP, Über das Conjugationssystem der Sankritssprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen und germanischen Sprache, herausgegeben und mit Vorerinnerungen begleitet von Dr. K. J. Windischimann, Andrae, Frankfurt a. M. 1816; ID, Vergleichende Zergliederung des Sanscrit und der verwandten Sprachen, Dümmler, Berlin 1824. HFS, p. 403, n. 46.

8 Di Joseph de Mailla, gesuita francese missionario in Cina, Hegel conosce l’opera fonmdamentale sulla Cina, la Histoire Générale de la Chine, ou Annales de cet Empire traduites de Tong–Kien–Kang–Mou par le feu P. Jos. Anne Marie de Moyriac de Mailla, Jésuite François, Missionaire à Pékin: Publiées par M. l’Abbé Grosier, Et dirigées par M. le Roux Des Hauterayes, Pierres et Clousier, Paris 1777–1785, 13 voll.. HFS, p. 395, n. 3.

9 ZA. HFS, p. 413, n. 90.

10 J–P. A. RÉMUSAT, Observations sur quelques points de la doctrine samanéenne, et en particulier sur le noms de la triade suprême chez les différents peuples bouddhistes, Imprimerie Royale, Paris 1831; ID, Mémoire sur la vie et les opinions de Lao–Tseu, philosophe chinois du VI ° siècle avant notre ère, qui a professé les opinions communemént attribueés à Pythagore, à Platon et à leurs disciples, Imprimerie Royale, Paris 1823. HFS, p. 379, n. 37.

11 Égypte sous les Pharaons, ou Recherches Sur la Géographie, la Religion, la Langue, les Écritures et l’Histoire de l’Égypte avant l’invasion de Cambuse; par M. Champollion le june, Paris, de Bure, 1814, 2 voll.. HFS, p. 420, n. 126.

12 W. JONES, On the Gods of Greece, Italy and India, «Asiatick Researches», I, 1799. HFS, p. 407, n. 66.

13 C. WILKINS, The Bhagavat-Geeta, or Dialogues of Kreeshna and Arjoon, in eighteen lectures with notes, C. Nourse, London 1785. HFS, p. 406, n. 59.

14 The Ramayana of Valmeeky, in the Original Sungskrit. With a prose translation and explanatory notes by William Carey and Joshua Marshman, Serampore 1806-1810, 4 voll.. HFS, p. 409, n. 73.

15 H. T. COLEBROOKE, Essays on the Philosophy of the Hindus, «Transactions of the Royal Asiatic Society of Great Britain and Ireland», I, (1824); ID, On the Ve’das, or Sacred Writings of the Hindus, «Asiatic Researches», VIII (1808). HFS, p. 409, n. 72; 74.

16 Di Claudius Buchanan, reverendo missionario in India, Hegel conosce le Christian Researches in Asia: with notices of the translation of the Scriptures into the Oriental Languages. Eleventh Edition, Cadell and Davies, London 1819. HFS, p. 405, n. 57.

17 Narrative of the Operations and Recent Discoveries within the Pyramids, Temples, Tombs and Excavations in Egypt and Nubia; and of a Journey to the Coast of the Red Sea, in search of the ancient Berenice; and another to the Oasis of Jupiter Ammon, By G. Belzoni. Second edtion, Murray, London 1821. HFS, p. 418, n. 121.

18 Di Ferdinand Eckstein, orientalista cattolico, membro della Société Asiatique, Hegel ha letto numerosi articoli comparsi sulla rivista «Le Catholique», ouvrage périodique dans lequel on traite de l’universalité des connaisances humaines sous le point de vue de l’unité de doctrine; publié sous la direction de M. le Baron d’Eckstein, Sautelet, Paris 1826-29, 16 voll., di cui Eckstein era direttore e quasi unico autore. HFS, pp. 379–380, n. 37.

19 HLR, vol. I, p. 353.

20 HLR, vol. I, p. 372; pp. 382–383.

21 HLR, vol. I, p. 354.

22 HLR, vol. I, p. 396.

23 HLR, vol. I, pp. 391–393.

24 HSF, vol. I, pp. 134–136.

25 HLR, vol. I, pp. 358–359; 371–372; 389-393.

26 HSF, vol. I, p. 115; pp. 134-136.

27 HLR, vol. I, pp. 449-454.

28 HSF, vol. I, p. 115; pp. 134-136.

29 HLR, vol. I, p. 386, n. 1.

30 HSF, vol. I, pp. 112–137.

31 HSF, vol. I, pp. 137-138.

32 HLR, vol. I, pp. 440-442.

33 HLR, vol. I, pp. 443-448.

34 HFS, pp. 114-115.

35 HSF, vol. I, pp. 137-138; 443-448.

36 HLR, vol. I, p. 398.

37 HLR, vol. I, pp. 455-459.

38 Secondo Hegel i Veda (Rigveda, Yajurveda, Samaveda e Atharvaveda) contengono il sapere teologico dell’India e alcune parti di quello filosofico, in riferimento soprattutto alle Upanishad. Oltre a questi testi sacri della religione indiana, Hegel menziona anche il Râmâyana, il Mahâbhârata, i Pûrana e il Codice di Manu. HSF, vol. I, p. 144, n. 3.

39 HSF, vol. I, pp. 143-145.

40 HLR., vol. I, pp. 494-497.

41 HLR, vol. I, pp. 455-459; HFS, pp. 144-147.

42 HFS, pp. 120-121.

43 HSF, vol. I, pp. 145-161.

44 HLR., vol. I, p. 496.

45 HSF, vol. I, pp. 164-166.

46 HLR, vol. I, p. 398.

47 HLR., vol. I, pp. 504-509.

48 HLR, vol. I, p. 400.

49 HFS, p. 152.

50 HLR, vol. I, pp. 536–540.

51 HLR, vol. I, pp. 506-509; HFS, p. 152.

52 HLR, vol. I, pp. 529–530.

53 HLR, vol. I, p. 520.

54 HLR, vol. I, pp. 523-525.

55 HLR, vol. I, p. 543-544.

56 HFS, p. 152.

57 HSF, vol. I, p. 100.

58 HSF, vol. I, pp. 76-77; 133-134.

59 HFS, pp. 91–92.

60 HLR, vol. I, pp. 370–371.

61 HFS, pp. 94–95.

62 HLR, vol. II, p. 249.

63 HLR , vol. II, pp. 244–245.

64 HLR, vol. II, pp. 347-348.

65 HLR, vol. II, pp. 337-338.

66 HLR, vol. II, pp. 374–376.

67 HLR, vol. II, pp. 420–421.

68 HLR, vol. II, p. 427; G. W. F. HEGEL, Estetica, trad. it. di N. Merker e N. Vaccaro, Einaudi, Torino 1976, pp. 120–122.

69

70 HLR, vol. I, pp. 396–397; HSF, vol. I, pp. 112 - 137.

71 HSF, vol. I, pp. 164-166.

72 HLR, vol. I, p. 451.

73 HFS, pp. 90. «La storia mondiale procede da oriente a occidente, poiché l’Europa è senz’altro la fine della storia, l’Asia è il suo inizio. (…) In oriente sorge il sole fisico, esteriore, che tramonta in occidente; ma qui sorge il sole interiore della coscienza di sé, che diffonde uno splendore superiore. La storia mondiale è la disciplina imposta alla sfrenatezza della volontà naturale, affinchè divenga volontà universale e libertà soggettiva. L’Oriente sapeva e sa soltanto che uno solo è libero, il mondo greco e romano sapeva che alcuni sono liberi, il mondo germanico sa che tutti sono liberi. Perciò la prima forma che vediamo nella storia è il dispotismo, la seconda sono la democrazia e l’aristocrazia, la terza è la monarchia»: Ivi, pp. 90–91. A questo riguardo, Bonacina ritiene che «l’Oriente raffigurato a Berlino con ben maggiore dottrina rimane pur sempre il compatto regno teocratico apparso a Hegel in gioventù, secondo il collaudato schema del dispotismo orientale, quan­do il suo primo interesse era la serrata critica del retaggio ebraico nel cri­stianesimo. L’individuo non conta ancora nulla, schiacciato com’ è sotto il peso di una natura non ostile come in Africa, ma possente e divinizzata, via via concepita in senso più spirituale solo muovendosi verso occidente. (…) La monarchia orientale, il regno della libertà di uno solo, è un sistema dove non è dato a nessuno, se non al principe e sommo sacerdote, di disporre della propria vita, dei propri averi, dei propri pensieri, ma tutto appartiene al dio, al patriarca, a ciò che Hegel chiama la “sostanza”». G. BONACINA, Introduzione a HFS, p. XIX.




Aggiunto il 19/09/2018 08:44 da Paolo Gava

Argomento: Filosofia delle religioni

Autore: Paolo Gava



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