Il viaggio nel tempo è il fenomeno più naturale della
realtà. Un’affermazione simile non può che generare sconcerto in noi
uomini, abituati a considerare la dimensione della temporalità nella sua
serialità, nel suo ordine consequenziale e nella sua unidirezionalità
diretta verso il futuro sulle basi del presente forgiato dal passato.
Difatti, noi siamo assuefatti alla visione che vuole che vi sia un
passato ormai fissato ed immutabile, un presente oggettivo determinato
da quel passato che attualmente si vive e un futuro frutto di quel
presente oramai divenuto già passato, che ancora si deve determinare in
maniera puramente causale. Questa è sostanzialmente la cosiddetta
visione intuitiva, perfettamente descritta da Miller (2005, 2008) nelle
sue tre articolazioni di pensiero («universo a rami», «universo
crescente» e «presentismo») che, pur variando nelle loro connotazioni
basilari, affermano sostanzialmente che il corso degli eventi non si può
modificare o minimamente manipolare poiché ciò produrrebbe l’insorgere
di una serie di paradossi che minerebbero la consistenza logica
della realtà portando a conclusioni del tutto antinomiche. Difatti, ciò significherebbe ammettere che il passato si può
cambiare, o che comunque sarebbe possibile interferire in esso, così che
non soltanto un individuo potrebbe benissimo uccidere il
proprio vecchio «io» creando un’evidente violazione del principio
di consistenza, ma anche si potrebbe dimostrare per assurdo che
l’effetto precederebbe effettivamente la causa. Tale retrocausalità
violerebbe quindi il principio di causalità stante alla base della
logica su cui si poggia la storia della filosofia occidentale e di ogni
scienza naturale, principio secondo cui la causa non può che logicamente
precedere l’effetto che da essa si genera e che, appunto per questa
provenienza diretta e originaria dalla causa, non si può che chiamare
tale. Il logico Saul Kripke, pienamente scettico nei confronti della
possibilità del viaggio nel tempo, ha affermato, nel suo principio di
necessità dell’origine, che ogni cosa prodotta da un’altra cosa non può
essere scissa da essa come se nulla fosse; in termini più semplici,
non si può avere il neonato, il figlio, l’effetto senza ammettere la
presenza del genitore, della causa fondamentale ed imprescindibile da
cui quell’effetto deriva. In pura logica, tale presa di posizione non
sembrerebbe attestare altro che il ritorno di quei tre celeberrimi
principi della logica aristotelica classica (identità,
non-contraddizione, terzo escluso), da cui poi si è originata e ha
ricevuto notevoli influenze una consistente parte della logica
matematica del XX secolo. I tre principi mantengono salda
l’inviolabilità dell’identità di un ente, di un oggetto qualsiasi;
ammettono che esso non può indurre, in virtù del suo mantenimento
identitario, ad alcuna forma di contraddizione, e che dunque non è
possibile ammettere una terza soluzione predicativa attribuibile al
soggetto, il quale o possiede una data proprietà oppure non la
possiede. Ciò vuol dire che, se si potesse viaggiare nel tempo, – più
specificatamente, nel passato – e si potesse incontrare la versione più
giovane di sé stessi, allora si creerebbe un’antinomia insanabile poiché
l’Io del soggetto che viaggia nel tempo sarebbe allo stesso tempo sé
stesso e non-sé stesso, pur essendo la stessa persona. Quindi ben
si comprende come i fondamentali principi logici verrebbero così a
franare completamente, specie se si potesse uccidere la versione più
giovane di sé stessi in modo da restare, nella forma più vecchia di sé
stessi, in un passato dove la versione più giovane non avrebbe modo di
evolversi temporalmente per portarsi all’attuale propria «versione». Di
conseguenza, dopo aver ucciso il nostro più giovane Io, noi
compariremmo, dal nulla, dal passato al presente da cui si era
inizialmente partiti senza la giusta e necessaria catena causale di
eventi temporali (quindi in aperta contraddizione rispetto
all’ordine di causalità temporale). L’intera teoria della relatività einsteiniana, come mostrato da
Reichenbach (1928), poggia essenzialmente sulla teoria causale del
tempo. Se il tempo non fosse causale, non si avvertirebbe appieno la
relatività della simultaneità da cui dipende il nocciolo del concetto
stesso di relatività sia nei sistemi inerziali locali (relatività
speciale o ristretta) sia nei sistemi fisici in moto accelerato o
rotazionale (relatività generale), poiché il tempo perderebbe la sua
natura tipicamente misurativa: si perderebbe cioè la possibilità di
una corretta misurazione spaziale, effettuabile solo in base al tempo,
che un segnale impiega per passare da un punto all’altro dello
spazio-tempo in base all’effetto relativistico della dilatazione
temporale per velocità prossime alla luce (il tempo, pertanto, si
dimostra gnoseo-ontologicamente prioritario rispetto allo spazio). Per
una corretta misurazione dell’effetto relativistico della contrazione
spaziale per velocità prossime a quelle della luce è necessaria
l’introduzione del concetto di «relatività della simultaneità», da cui
dipende la relatività dei moti rotazionali dei pianeti determinanti le
singole regioni spazio-temporali, da cui dipende a sua volta la
relatività della stessa relatività del moto. Ciò è mostrato
nel caso del calcolo tensoriale, che quantitativamente (con tensori
stress-energia per il calcolo del flusso di quantità di moto e di
energia) determina la curvatura dello spazio-tempo provocata dalla
presenza di ingenti masse (i pianeti), che nella geometria
semi-riemanniana adottata da Einstein generano notevoli campi
gravitazionali di grado tensoriale rivelatori della natura della
gravità. Ma, a differenza di Newton, non come un’azione a
distanza fra corpi massivi, bensì come un effetto della geometria dello
spazio-tempo. La geometria, contrariamente all’impostazione
assiomatico-formale newtoniano-kantiana, viene ricondotta alla fisica,
dalla cui osservazione degli effetti al di sotto e a ridosso del confine
di velocità del limite luminale si inducono inferenze veritiere sulla
natura di carattere prettamente metrico dello spazio-tempo. E da
qui si dispiega più chiaramente l’evoluzione del campo fisico da cui si
origina il campo gravitazionale come conseguenza della curvatura della
geometria dello spazio-tempo. I singoli pianeti, – le cui curvature
sono calcolate tensorialmente all’interno delle equazioni di campo
di Einstein, che determinano il calcolo metrico delle singoli regioni
spazio-temporali e dello spazio-tempo
tout court, – i singoli
corpi celesti, le singole entità fisiche che alla luce della
fisicizzazione della geometria e della sua complementare metricizzazione
si rivelano enti geometrici, determinano un loro spazio e un loro tempo
relativi. Senza la teoria causale del tempo, tutto ciò non sarebbe
più sostenibile. Per questo, i più grandi detrattori del
time travel
ripongono le loro speranze nella versione classica della teoria della
relatività, senza considerare nel modo più appropriato un’alternativa
soluzione alle equazioni di campo (che, pur definendo la metrica,
lasciano aperte molte questioni in merito alla natura topologica dello
spazio-tempo), soluzione fornita da un pensatore noto
soprattutto per aver dimostrato, con i suoi due teoremi di
incompletezza, che nessun sistema, formale o meno che sia, è
assolutamente completo, coerente e dimostrabile oggettivamente in tal
senso. Parliamo di Kurt Gödel. Gödel (1949) considerò che ogni ente spazio-temporalmente
definito, e quindi universalmente esistente, è rappresentabile
graficamente con una linea-universo (
temporale se è inferiore alla velocità della luce,
nulla se eguaglia la luce,
spaziale
se la supera in base alla rappresentazione minkowskiana dei coni
spazio-temporali di luce per cui una linea-universo configura
graficamente un cono in relazione all’asse temporale, con cui determina
un angolo per cui si definisce la sua natura nello spazio-tempo nelle
precedenti tre maniere). Poiché tale linea-universo rappresenta il
corso dell’esistenza di ogni ente nel cosmo (ogni ente lascia
quindi una traccia indelebile del suo passaggio nell’universo),
Gödel riprende il concetto di curvatura semi-riemanniana della
relatività generale adattandolo in un contesto del tutto nuovo in cui,
curvando maggiormente fino a un punto critico una data
linea-universo, è possibile ottenere delle “Closed Timelike Curves” o
“CTC” (nonostante il suo universo sia pur sempre di tipo
einsteiniano, ossia dato da una finita distribuzione di massa nello
spazio, e non preveda l’espansione definita dalla meccanica
quantistica).Esse altro non sono che curve ripiegate a cerchio su sé stesse, che
dall’essere di tipo-tempo diventano di tipo tempo dirette verso il
futuro, poiché permetterebbero di viaggiare ipoteticamente nel futuro
per poi tornare al punto di inizio, senza la necessità – una volta
entrati in queste regioni ipersuperficiali dell’iperspazio
spazio-temporale, – di superare la velocità della luce (in ogni
caso si viaggerebbe sempre a velocità elevatissime in quanto la CTC,
approssimandosi al punto di partenza nel viaggio di ritorno dal futuro
al presente, azzererebbe le distanze come nelle regioni dello
spazio-tempo a “toro”). In collaborazione con Rosen, già Einstein aveva
previsto, fra le soluzioni alternative alle sue equazioni, la
possibilità di eventuali gallerie gravitazionali denominate “Ponti di
Einstein-Rosen”. Questi cunicoli sono caratteristiche topologiche dello
spazio-tempo che, in teoria, consentirebbero di viaggiare
istantaneamente da un punto all’altro dell’iperspazio tetradimensionale a
velocità luminali. Alcuni studiosi hanno anche tentato di applicare i
buchi neri agli estremi di apertura e chiusura di tali ponti. Ciò, per
Einstein, era però ben lungi dall’ammettere l’eventualità del viaggio
temporale, che per lui era consentito solo in accordo alle leggi
classiche della relatività secondo cui è possibile viaggiare
temporalmente solo nel futuro, quando, dopo essere stati in un dato
punto dello spazio-tempo, si ritorna alla Terra diversi anni
dopo la data della propria partenza (il celeberrimo “paradosso dei
gemelli”). Il viaggio nel futuro, in questo unico senso, era consentito
da Einstein, e da Gödel fu riformulato in termini che però prevedevano
l’opportunità di viaggiare temporalmente senza dover fare viaggi di tipo
topologico, al prezzo del trascorrere di parecchi anni sulla
Terra, da un punto all’altro del
continuum spazio-temporale, ma creando più comode, in questo senso,
closed timelike curves che riporterebbero al punto di partenza. Il viaggio temporale nel futuro, se ci si riflette bene, è già
ammesso pienamente in natura, dato che ogni attimo presenziale che
trascorre diventa già trapassato e noi, evolvendoci con il divenire di
ogni cosa, non compiamo mai altro che un’azione continua di divenire che
viaggia sempre avanti nel futuro proiettando in esso, senza che si
possa mai afferrare in pratica, l’attimo del presente, che in questo
senso, per citare Orazio, è veramente fuggente ed ineffabile, dato
che diviene immediatamente passato alla velocità, naturalmente, della
luce. I maggiori oppositori del
time travel, difatti,
contestano le CTC godeliane per concedere ipoteticamente che,
ritornando al punto di partenza, si potrebbe far interagire l’Io più
vecchio con l’Io più giovane, così da creare una serie di paradossi
(interagendo, si potrebbe impedire all’Io più giovane di partire). Ciò
dimostra che la vera paradossalità del
time travel consiste
quasi interamente non tanto nella possibilità effettuale di realizzare
veramente il viaggio temporale, ma di sanare i paradossi che genererebbe
se si riuscisse a dimostrare che si può viaggiare nel passato. È il viaggio nel passato a rappresentare il vero problema per
l’ammissibilità del viaggio nel tempo. Per questo molti studiosi hanno
voluto porre una serie di “constraints” sulle CTC godeliane (si pensi a
Kutach, 2003; Friedman 1989 e 1994) per tentare di arginare l’emergere
di queste antinomie così contrastanti con la normale maniera di
concepire l’universo e con i principi su cui si fonda la logica del
pensiero umano. Questi limiti imposti al viaggio nel passato
consentirebbero di mantenere l’ipotesi godeliana delle CTC, senza però
violare i principi di consistenza e di causalità adducendo soluzioni a
rilascio energetico massimale (per cui alcuni, come Geroch, non credono
all’ipotesi del viaggio nel tempo). In tal modo si viaggerebbe nel
futuro e si ritornerebbe nel passato senza interagire con sé stessi né
tantomeno influenzare o, peggio ancora, pensare minimamente di
modificare il passato. Ponendo dei “constraints” all’inizio della
regione spazio-temporale demarcata dalla presenza di CTC, la
preservazione dei principi logici permetterebbe di postulare in fisica
l’esistenza di teoremi di esistenza e di unicità di campi senza massa
(come quelli elettromagnetici) per regioni spazio-temporali comprensive
di CTC, risolvendo anche il problema di Cauchy sull’ipotesi geometrica
del corpo continuo per questo tipo di ipersuperfici spazio-temporali
speciali (Friedman). La quantità di informazioni posta all’inizio di una
regione con CTC è determinata e non può essere valicata, così come
ovviamente le informazioni poste nelle regioni precedenti la regione con
CTC. Viaggiando nel passato, non si potrebbe quindi andare più in là
del limite informativo iniziale. Quello che però questa visione
limitativa delle CTC godeliane manca di sottolineare è che, se è
veramente possibile viaggiare nel futuro andando direttamente in un
certo istante temporale ancora da concretizzarsi, senza passare per
tutte quelle forme evolutive del passato che hanno portato al
conformarsi di quello stesso futuro, allora è già ammessa implicitamente
la presenza di forme temporali in cui si scompone anche l’evoluzione
del soggetto che viaggia temporalmente e che pertanto è scomponibile in
tanti Io quanti sono gli attimi temporali attraverso cui passa. Perciò, se è ammesso il viaggio nel futuro ma non nel passato per via
dell’insorgenza di paradossi, in che modo non si potrebbe ugualmente
viaggiare nel passato se si considera che viaggiare nel futuro è
concesso solo per la presenza di quelle forme temporali del passato
superate che però sono necessarie per la materializzazione del futuro?
Non si potrebbe allora ritornare alle forme temporali del passato, dato
che attraverso di esse si passa al futuro, che è determinato dalle forme
del passato? Quindi si può anche passare similmente al
passato stesso? Si capisce bene come la concettualizzazione temporale
sia un processo del tutto relativo, dato che il presente, in realtà, non
esiste in quanto tale; poiché quando è presente diventa già passato e
non può essere futuro, quindi non può esistere sotto questa veste,
poiché quando diventa futuro già diviene istantaneamente passato, sicché
soltanto passato e futuro, in verità, sembrano veramente esistere in
questo senso e determinare il punto di discrimine delle forme temporali
già trascorse (il passato) e delle forme temporali a venire che si
modellano in base al passato (il futuro). Il presente è così un puro
strumento transitivo dal passato al futuro, la cui postulabilità è
interamente basata sul suo vincolo di collegamento imperituro tra queste
due direzioni temporali. Il presente non potrà mai essere concepito
realmente se non come tale. Ed è sulla base dell’ammissibilità del
viaggio nel passato, quindi del
time travel più in generale,
che è partita una forte critica verso i detrattori del viaggio
temporale, iniziata da uno dei suoi più grandi patrocinatori, David
Deutsch. Deutsch (1991, 1994), con i mezzi offertigli dalla sempre più
progredita computazione quantistica di cui è un grande sostenitore,
ha ipotizzato che sarebbe perfettamente possibile realizzare il viaggio
temporale sia nel futuro che, in particolar modo, nel passato,
sfruttando le CTC godeliane all’interno di una complessa macchina di
computazione quantistica. Tale macchina sarebbe in grado di ottenere
come
output, all’
input dato dall’ingresso di una particella in un
gate,
molte altre particelle che sarebbero veri e propri cloni della stessa
particella soggetta al viaggio nel passato. Per Deutsch i principi di
consistenza e causalità non verrebbero per nulla violati in quanto, per
effetto del teorema del
no-cloning quantistico, l’universo, la
realtà lasciata dal soggetto viaggiatore nel tempo, una volta raggiunta
la destinazione temporale nel passato, si annichilirebbe rispetto a
lui all’istante, in quanto non può sussistere il clone dello stato
quantico di un universo che comprenda lo stesso soggetto viaggiante nel
passato. Deutsch, pertanto, dimostra che con la meccanica quantistica, o
comunque con una sua certa interpretazione, si potrebbe veramente
viaggiare nel passato, interagire con sé stessi e cambiare il passato in
modo autoconsistente, dato che ci si troverebbe in un altro universo
che prenderebbe il posto di quello iniziale rispetto a sé stessi, ormai
scomparso. Pertanto Deutsch, – facendo propria la tesi di Everett sul multiverso
(esistenza di altri universi possibili, di dimensioni parallele)
applicata alla sua forma di computazione quantistica, – mostra che è
possibile creare una
time machine costituita dalle CTC
godeliane. Queste, avendo come imboccature verso il passato e il futuro
con buona probabilità i ponti di Einstein-Rosen (alcuni dicono
addirittura anche i buchi neri, di cui non si conosce ancora appieno la
natura), porterebbero a viaggiare nel tempo compiendo operazioni
pienamente dominabili, controllabili ed eseguibili a partire dai
computer quantistici che sfrutterebbero non soltanto i diversi gradi di
libertà operatoriale offerti dall’iperspazio con CTC, ma anche il
fenomeno della sovrapposizione degli stati quantici delle particelle che
include tutte le possibilità proprie di una particella in relazione al
suo stato, alla sua posizione e alla sua quantità di moto (si pensi al
principio di indeterminazione di Heisenberg). La consistenza del sistema
quantistico approntato da Deutsch è pertanto pienamente stabile e
dimostrabile con la tesi degli universi paralleli che determina la
natura completamente probabilistica del nuovo tipo di universo concepito
dalla meccanica quantistica, che, in quanto fisica dell’apparentemente
impossibile, realizzerebbe tali deviazioni dalla relatività
einsteiniana. Il futuro stesso non è più aperto in senso assoluto (ossia
determinato da un presente oggettivo basato su un passato fissato), ma
aperto a probabilità quantistiche su cui si ravvisa
maggiore apertura indeterminata che poi si determina in ogni
possibilità attuabile. Ne consegue che esiste tutto, ma esiste anche il
nulla (si pensi al
no-cloning che porta al dissolvimento
dell’universo iniziale), inteso come possibilità fornita dal mondo
microscopico delle particelle che definisce tali e tante violazioni
nello spazio-tempo rispetto al mondo macroscopico descritto dalla
relatività generale. In tal senso esiste il vuoto, mentre per la
fisica dei quanti, che pur ammette il nulla, il vuoto in quanto tale non
esiste poiché lo spazio-tempo è interamente quantizzato. Novikov (1991), sulla scia di Deutsch e dei suoi proseliti, ha
contribuito a fornire ulteriori prove di consistenza del viaggio
temporale nel passato dimostrando che esso si può ottenere senza alcun
“constraint” sulle informazioni iniziali rispetto all’orizzonte di
Cauchy (si pensi al suo celebre principio di autoconsistenza). La fisica
quantistica in tempi più recenti ha mostrato che è possibile ottenere
effetti di retrocausalità su certi casi del comportamento dei fotoni, ma
ancora oggi la discussione rimane aperta e implica un notevole
dibattito fra la gravità quantistica tradizionale (che non ammette il
viaggio nel tempo per via del determinismo causale caratteristico della
retroazione del campo quantistico sulla metrica dello spazio-tempo,
imposto dalla quantizzazione della gravità) e la gravità quantistica
semiclassica. Ciò che tuttavia si è infine dimostrato è che il
pregiudizio secondo cui il
time travel non è possibile né logicamente né attualmente è apertamente confutato, dato che la meccanica quantistica ammette il
time travel
con le sue prove di consistenza a partire dall’ipotesi del multiverso e
resta da provare unicamente la sua fattibilità
empirico-materiale. Così, forse, la completa realizzazione dei computer quantistici, – con la loro
capacità meccanica di calcolo in qubit che rasenta (o un giorno
supererà) la capacità cognitiva contenutiva della mente umana, – può
dare una risposta più completa. La mente, d’altronde, viaggia
continuamente nel tempo, nella fattispecie nel passato. Una qualsiasi
sensazione, una qualsivoglia impressione, può determinare lo sviluppo di
una catena di pensieri, ricordi e memorie che si concretizzano in veri e
propri
flashback per cui spesso si parla dell’effetto
déjà vu. Come ipotizzato dalla macchina di Turing che avviò le imprese di
costruzione del computer odierno, se ogni procedura meccanica di
pensiero umano può essere fedelmente riprodotta da un calcolatore, come
qualsiasi processo naturale, allora è altrettanto ipotizzabile, una
volta accertata l’effettiva naturalità del viaggio temporale, che per la
tesi rafforzata di Church-Turing sia possibile realizzare una macchina
in grado di realizzare computorialmente qualsiasi processo fisico
fattibile e qualsiasi processo del pensiero umano, in grado di
viaggiare, come dispositivo puramente mentale, nel passato, grazie
all’invenzione dei computer quantistici che, considerando
matematicamente ogni possibilità di stato, riproducono quanto più
fedelmente possibile l’illimitata creatività e capacità della mente
umana capace di viaggiare nel passato. Anche epistemologicamente,
allora, il
time travel sarebbe ammissibile. Con un opportuno allargamento dei
loop
generati dalle CTC, come dimostrato da Deutsch, si potrebbe allora
viaggiare anche in epoche passate in cui non si è ancora nati in
barba ai “constraints” sull’orizzonte di Cauchy che limitano la
superabilità della quantità di informazioni stanti all’ingresso di una
certa regione dello spazio-tempo. L’unico limite delle CTC parrebbe
essere la loro stessa data di creazione, oltre la quale in teoria non è
possibile retrocedere temporalmente. Un ulteriore rafforzamento delle tesi di Deutsch si avrebbe con
l’implementazione, nel suo sistema di pensiero, del concetto di
“ipertemporalità” definito da Goddu. Per Goddu (2003) il viaggio nel
passato è in linea con il normale proseguimento della stessa linea
evolutiva delle catene universali. Dunque viaggiando nel
passato, pur ritornando ad un tempo nel quale possiamo apportare
modificazioni di qualunque genere, tale operazione è tuttavia resa
temporalmente possibile dal fatto di essersi solo spostati in un
momento temporalmente antecedente che corrisponde, a livello
ipertemporale, a una normale progressione temporale: quello che è
cambiato è sostanzialmente il solo contenuto degli istanti temporali (si
è ritornati al contenuto del passato già trascorso) mentre, a livello
ipertemporale, ciò non porta ad alcuna contraddizione nella forma del
viaggio e nelle sue modalità di esecuzione, in quanto gli ipertempi
rappresentano le parti temporali degli istanti temporali che si possono
modificare (un po’ come il nastro presente in un videoregistratore, il
cui contenuto può essere cambiato con una registrazione analoga al
cambiamento del passato e che può essere portato indietro ad alte
velocità facendo riapparire una scena occorsa minuti prima nel giro di
pochi secondi rispetto al tempo necessario per poterla rivedere se
il riavvolgimento della pellicola avesse seguito il normale fluire del
tempo senza acquistare velocità elevate). Per questo si può
affermare che il cinema, giocando con le diverse dimensioni interne del
tempo, può rappresentare un valido modello simulativo di macchina del
tempo (meramente simulativo perché sulla pellicola si lascia traccia di
quanto registrato prima, che può riemergere se non coperto interamente
da altra registrazione, mentre l’universo, retto dalla causalità
evenemenziale, una volta ammesso un cambiamento cancella il passato
precedente). Gli esseri non sono quindi esclusivamente tridimensionali,
come affermato dagli “endurantists”, ma sono soprattutto
quadridimensionali, come affermato dai “perdurantists” che, accettando
la concezione della scomponibilità degli esseri nelle loro varie forme
temporali, ammettono il viaggio nel tempo. Tutti gli esseri lasciano
delle tracce (le forme temporali), come già definito dalle
linee-universo. La scomposizione in forme temporali è il presupposto logico per il
viaggio nel tempo. L’applicazione dell’ipertempo alla concezione cosmica
del multiverso produce una grande mole di rimeditazioni in merito al
futuro. Se il futuro quindi non è aperto in modo assoluto, ma relativo
alle probabilità delle possibilità (per ‘probabilità’ si intende qui
l’eventualità di occorrenza di una data e precisa possibilità) e il
destino, conseguentemente, non si rivela pienamente fissato, in che modo
allora il futuro, quindi il passato, quindi il falso presente, quindi
tutto il tempo nella sua temporalità, è fissato più universalmente? È
possibile rispondere a questo quesito concependo la natura del futuro e
di tutto quanto il tempo alla luce dell’esistenza contingente di
possibilità innumerevoli e matematicamente dominabili con gli strumenti
della meccanica quantistica, la cui indeterminatezza, relativamente alla
loro realizzazione, permette la simultanea presenza sia dell’«apertura»
del destino (ogni possibilità è concedibile) sia della sua «chiusura»
(una sola possibilità concessa è realizzata). Tale forma di
indeterminismo quantistico nella sua determinizzabilità è quindi una
forma straordinaria di determinismo a più possibilità di natura
probabilistica. Una cosa può essere o non essere allo stesso tempo. E
non solo. Come mostrato dalla tesi del multiverso, anche quando si è
infine realizzata una sola possibilità fra le plurime iniziali, in
considerazione della sovrapposizione degli stati quantici, tutte le
altre possibilità non realizzatesi rimangono pur sempre presenti e
determinanti altri universi paralleli dove sono realizzate. Il destino,
aperto e chiuso, fissato e non fissato allo stesso tempo, è relativo
anche quando realizzato. La verità stessa, dunque, è relativa al solo
universo in cui si è, poiché la realtà è assoluta in senso
probabilistico. L’empirismo della meccanica quantistica è un nuovo tipo
di approccio alla realtà, non più dato dalla classica determinicità, ma
dal nuovo probabilismo che non segue più le canoniche regole della
causalità e che è pienamente consistente ed esprimibile in termini
matematici. Il viaggio nel tempo è allora forse, paradossalmente, la
cosa più naturale della realtà, dato che è anche esprimibile nella sua
autoconsistenza matematicamente, e nel linguaggio della matematica è
tradotto solo ciò che è ammissibile nella φύσις delle cose. Questa era la visione di David Hilbert, matematico tedesco che ha
focalizzato l’attenzione, nel corso degli Anni Venti,
sui fondamenti della matematica. Era convinto che la
matematica potesse risolvere tutto e dimostrare la non-contraddittorietà
della risoluzione di ogni cosa facendo uso sia di elementi reali
(numeri) che ideali (segni e simboli) per il trattamento di ogni
problema in termini matematici. Tali termini ridefinirebbero l’idea
stessa di infinito in modo finitario, ossia secondo i mezzi finiti di
risoluzione dei problemi adoperati dalla mente umana che per lui, come
l’universo, è di natura matematica (instaurando quindi un’armonia
prestabilita fra pensiero e realtà per mezzo della matematica nel cui
linguaggio tutto si scrive). Il viaggio nel tempo si presenta come uno
di quei casi-limite in cui si passa dalla relatività einsteiniana delle
misure di un universo essenzialmente deterministico metricamente (ma non
topologicamente) alla relatività quantistica delle probabilità di un
universo per sua natura possibilistico
a priori, dalla cui
concretizzazione unipossibiale si genera, solo dopo, il primo universo.
Le due concezioni dell’universo così combacerebbero, dal momento che la
meccanica quantistica e la teoria della relatività troverebbero un primo
punto di incontro, che vede ancora realizzarsi in merito alla gravità,
nel caso del
time travel in seguito alla soluzione delle
equazioni di campo einsteiniane che hanno portato alla CTC (e alla loro
successiva applicazione quantistica) introdotte da Gödel. Questi, pur
limitando il programma hilbertiano di fondazione della matematica,
concorda pur sempre con Hilbert nell’affermare la potenza
espressivamente universale del linguaggio della matematica.
Naturalmente, nel caso di altri popoli alieni viventi in altre galassie,
potrebbe ricorrere l’utilizzo di un altro tipo di linguaggio e logica
diverso dalla matematica. In tal caso, il multiverso non sarebbe situato
stratificatamente all’interno del medesimo universo, poiché, se lo
fosse, giacché nello stesso universo tutto si esprime nel linguaggio
della matematica, allora anche per il multiverso presente al suo interno
varrebbe la stessa condizione. Ma, secondo la teoria delle stringhe e
superstringhe, è ammissibile che più dimensioni, più universi paralleli
risiedano nello stesso universo poiché le stringhe, filamenti di energia
ad alta densità da cui si origina la materia, subirebbero vibrazioni
che rifletterebbero il numero di dimensioni dell’iperspazio da loro
originantesi, generando quindi universi paralleli che
rispetterebbero le leggi che regolano il tipo di iperspazio in cui
le stringhe effettuano una certa vibrazione in base alla loro frequenza e
lunghezza d’onda. Gli universi paralleli, dunque, sarebbero
compresi in uno stesso universo, compressi a livello microscopico nelle
particelle costituenti la materia e generatesi a partire dalle stringhe.
Tale teoria darebbe dunque conferma alla tesi secondo cui la
natura è matematica e con essa si può descrivere e spiegare
l’intero universo, di cui si risolverebbe ogni problema. La logica delle possibilità determinabili che tutto considera, – pur
essendo limitata dall’empirìa che determina una sola di queste
possibilità, – apre prospettive sulle altre che sono pienamente
concretizzabili, perché la meccanica quantistica mostra come le
possibilità fanno parte della natura e danno vita alla natura stessa. Le
coincidenze stesse (episodi di lungimiranza, previsioni, sogni) altro
non sarebbero, riformulate nella fisica quantistica, che correlazioni di
entanglement con discrete porzioni del futuro (forme temporali
aperte relativamente alla probabilità delle possibilità) permesse da
un’interpretazione
ad hoc della tesi sostenuta da Penrose (1994).
Secondo Penrose, la cognizione umana dipende da collassi delle funzioni
d’onde quantiche nei microtubuli, strutture proteiche stanziate nella
membrana citoscheletrica dei neuroni. Tale collasso (“
state-vector reduction”
R) sarebbe determinato da effetti gravitazionali non ancora
completamente compresi, che fanno emergere un elemento non-algoritmico
nelle leggi della natura per cui la sovrapposizione di stati
caratterizzante un sistema fisico quantico, – in cui tali stati si
evolvano unitariamente secondo l’equazione di Schrodinger, – subisce un
collasso quantico di riduzione ad un unico stato che non è determinato
da un’azione esterna della coscienza sulla natura fisica, – cosa che
violerebbe il principio di conservazione dell’energia (come vorrebbe la
corrente di pensiero del dualismo interazionista), – ma da
un’azione combinata dei singoli microtubuli coinvolti in uno stato di
coerenza quantica relativamente a larga scala (all’interno dei
microtubuli le molecole di acqua non si troverebbero in uno stato
ordinato, ma assumerebbero lo stesso comportamento del condensato di
Bose-Einstein) con l’attività fisica classica perfettamente
“computazionale” delle colonne dei dimeri tubulinici capaci di assumere
almeno due diverse conformazioni. La coscienza profetica del futuro,
pertanto, potrebbe essere il risultato fenomenico di questo stato
citoscheletrico interno di
entanglement quantico delle
computazioni quantistiche non-computabili dei microtubuli e delle
computazioni classiche manifestantisi a livello tubulinico e neuronale,
che sarebbe “entangled” con la riduzione progressiva delle plurime
possibilità del futuro a una sola possibilità. Con il viaggio nel tempo
si potrebbe non solo cambiare il passato, non trasformandolo (il che
equivarrebbe a mantenerlo nella sua contenutività) né influenzandolo, ma
semplicemente rimpiazzandolo. Sarebbe possibile anche ridiventare
giovani ripristinando un’epoca antica, se si trovasse il modo di
formulare matematicamente lo stato quantico preciso di ogni data
particella subatomica di un preciso luogo o contesto ed introdurre le
singole particelle degli esseri e degli oggetti presenti in un preciso
istante in un computer quantistico per effettuare le computazioni delle
time machine di
tipo godeliano. Tuttavia, stando al principio di indeterminatezza,
questo non è mai precisamente possibile, dato che la posizione e la
quantità di moto non sono completamente determinabili (per via del
dualismo onda-corpuscolo dell’elettrone). È vero, quella sul
time travel, più che una riflessione
scientifica sembrerebbe una speculazione di tipo metafisico o puramente
teoretico-filosofico, ma resta come verità indiscussa il fatto che nel
tempo si lascia traccia di tutto perché tutto cade nel tempo, anche le
possibilità irrealizzate che vivono in universi paralleli con tempi
diversi a sé stanti. Il tempo sembra essere il principio immortale e
indissipato di ogni cosa e nella sua immortalità noi stessi, che in esso
siamo inscritti, possiamo rivelarci immortali ed indissolvibili in
quanto ripristinabili; perché il passato è ripristinabile ed ogni cosa
ammessa dal tempo, – che è Tutto, in effetti, – si ripercuote su tutto.
Il tempo può essere Dio (Dio è il tempo), che in una profusione
infinitiva delle possibilità esprime sé stesso matematicamente (dalla
quale espressione dispiegativa si genera la natura come realizzazione
progressiva di diverse possibilità a discapito di altre dimostrate
attuate ipoteticamente nella meccanica quantistica dell’universo
multipossibiale). La matematica, – con la logica possibilista da cui si
sviluppa, stando a Hilbert, potenziando il suo finitismo con la
nuova matematica avanzata della meccanica quantistica, – è il linguaggio
di questo universo attraverso cui l’uomo può, per mezzo della fisica
dei quanti, conoscere Dio. Il Tempo può quindi essere Dio, la matematica può essere l’archetipo
della struttura del Tutto, il linguaggio del tempo, di Dio. La morte
stessa, rivista quantisticamente, è data dal realizzarsi di una
possibilità la cui probabilità è infine giunta al suo valore massimo di
eventualità rispetto ai valori probabilistici delle altre possibilità in
concomitanza con il fluire del tempo tipico di una data regione
spazio-temporale. Nel nostro caso, la Terra e il suo fenomeno
fisico – da sempre definito irreversibile – dell’invecchiamento, per cui
non si esclude che in altre regioni dello spazio-tempo, dove il tempo
scorre diversamente, si possano raggiungere limiti prossimi
all’immortalità ultrasecolare, benché prima o poi il fenomeno della
morte sia destinato a sopraggiungere perché si tratta pur sempre di una
possibilità universale che riguarda tutti gli universi. Hawking ammette
che proprio dall’interno della teoria quantistica si deduce che la
creazione di
time machine non sia possibile per l’emergere di
fluttuazioni quantistiche protraentisi all’infinito che ne
determinerebbero il fallimento: egli stesso adotta la “censura
cosmica” per affermare che, anche viaggiando per assurdo nel passato,
l’universo con i suoi meccanismi impedirà di per sé al viaggiatore nel
tempo di interferire col passato, anche se una tale prospettiva tende a
negare il libero arbitrio umano e a dare una sua autonomia ed entità
all’universo, che è invece un
continuum quantizzabile in cui il tempo è il fondamento regolatore di ogni cosa. La gravità quantistica a
loop
ammette (posizione sostenuta anche dalla teoria delle stringhe secondo
il suo punto di vista) che il tempo, di per sé, potrebbe anche non
essere esistito inizialmente, in quanto causato soltanto in un secondo
momento dalla formazione dell’iperspazio dell’universo a partire da
piccoli grani quantici di energia. Perciò ancora si cerca una soluzione
al problema della natura del tempo e del
time travel, ma in ogni caso le implicazioni a livello pratico di quest’ultimo sono di larga portata. Concependo la possibilità del viaggio temporale, un uomo può
ripensare non solo alla vera natura della realtà che lo circonda, ma
anche al posto che egli occupa in tutto ciò. Può rendersi conto,
viaggiando mentalmente nel tempo, di aver sbagliato in passato e che, se
si potesse viaggiare fisicamente nel tempo, potrebbe benissimo porvi
rimedio in qualche modo. Si potrebbe tentare di ricostruire i cocci
di un amore passato, i torti si potrebbero rettificare, la giustizia di
ogni cosa si potrebbe ristabilire. Tutto questo, naturalmente, in un
universo alternativo. Il tempo è quindi anche intimamente connesso agli
stati d’animo di una persona, alle sue memorie, le sue fantasie, le sue
allucinazioni, le sue malinconie. Viaggiare nel tempo è un’operazione
mentalmente sempre sostenuta, perché, facendolo, non sarebbe mai tardi
per rimediare a un torto o per fare del bene. Sarebbe come preservarsi
la possibilità di sistemare le cose. Perché, in fondo, l’uomo non è
altro che la raccolta dei suoi attimi di vita, che il tempo conserva, le
arti e la storia espongono, l’esistente ripropone nelle sue forme
temporali che attestano la nostra immortalità, data dal segno
lasciato dalla nostra linea-universo. Le forme temporali possono
esistere, poiché «nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si
trasforma». Una visione parmenidea dello spazio-tempo che ammette solo
l’essere. La nostalgia è il sentimento dello spazio-tempo. Interpretando
in questo contesto una famosa massima di Fellini, «il visionario è
il vero realista», è possibile affermare che il malinconico è l’unico
vero realista. Attraverso il tempo, lo spazio-tempo ha allora
effettivamente un proprio sentimento connesso alle forme temporali
degli esseri che lo inabitano? E perché, nel caso fosse vero, il bisogno
di quest’atto? Può l’Assoluto essere il Tempo? O il tempo è un fenomeno
fondamentale ma non principale nell’universo, originatosi dalla
formazione dello spazio, per cui l’origine di ogni cosa è da ricercarsi
altrove? Il bisogno di quest’atto di armonia temporale che contempera le
diverse forme temporali stagliantisi nello spazio, l’ipotetico
sentimento dello spazio-tempo, può essere dovuto all’Amore come quinta
effettiva dimensione dello spazio-tempo tetradimensionale che tiene
unito l’universo e completa l’uomo, rendendolo perfetto e «puro e
disposto a salire a le stelle»?
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Aggiunto il 21/04/2016 13:32 da Giovanni Mazzallo
Argomento: Filosofia della scienza
Autore: Giovanni Mazzallo