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LEZIONI DI FELICITA' DA UN MAESTRO DI PESSIMISMO

LEZIONI DI FELICITA' DA UN MAESTRO DI PESSIMISMO

Nell'errabondo e labirintico corso della vita1 in una mente senza riposo e in un cuore senza pace alcune tensioni rimangono insopprimibili.

Schopenhauer, nella sua lugubre descrizione dell'essenziale condizione umana, paragona la vita all'incessante oscillare di un pendolo tra il dolore e la noia che talvolta passa attraverso attimi illusori di piacere e gioia. La radice del suo noto pessimismo è metafisica: l'essenza profonda della realtà e, in particolare, della soggettività umana,intesa come unione indissolubile di corpo e mente, è la brama o volontà di vivere, l'impulso interiore che spinge a conservarsi in essere e ad agire. L'essere umano viene di conseguenza identificato come creatura cosciente che vive la realtà in prima persona attraverso il suo corpo, le cui sensazioni rivelano la natura profonda e divengono strumento conoscitivo. Muta così il ruolo dell'individuo in relazione al mondo in cui vive,non è più solo soggetto conoscente ma partecipa alla vita attraverso la propria corporeità; la visione di se stessi che dall'esterno è un'intuizione empirica,una rappresentazione a livello cognitivo,nell'immediatezza dell'interiorità si fa manifestazione della vita e della volontà di vivere. Per Schopenhauer, comprendere questa realtà significa prendere consapevolezza del fatto che la reale condizione dell'uomo è di essere costituzionalmente ed essenzialmente infelice. La necessarietà di questa inquietudine non è altro che conseguenza di ciò che caratterizza più profondamente la coscienza umana, uno stato di perenne insoddisfazione dovuto all'essere costantemente in balia dell'impulso volitivo, connaturato nell'uomo,diretto verso quanto possa appagare un bisogno destinato a rimanere insoddisfatto. Pertanto nella stessa natura di questo desiderio vi è necessariamente insita la tensione per la mancanza dell'oggetto a cui si tende, che inevitabilmente genera una sensazione di incompletezza e di infelicità destinata a non svanire con la realizzazione del desiderio, ma a perpetuarsi nell' illusoria speranza di poter trovare la felicità nel soddisfacimento di nuovi bisogni.Da qui la misera condizione umana.

Dopo una rigorosa e lucida esposizione della legge immanente che domina il cosmo, ossia la constatazione che l'essere è dolore, e che trova il suo palesarsi a livello cosciente nell'infelicità umana, Schopenhauer offre la cura per l'animo: tramutare la Voluntas in noluntas. Attraverso la cognizione di tale processo, nel quale la Voluntas tende alla negazione progressiva di se medesima, l'uomo sradica dalla profondità della coscienza il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere recuperando quell'autentica iniziale libertà che può manifestarsi soltanto in assenza dal determinismo imposto dalla volontà.Viene totalmente soppresso, con la volontà, il suo fenomeno, così come le sue forme generali tempo e spazio, ed in ultima istanza la prima forma fondamentale di esso, il dualismo tra soggetto e oggetto. Nessuna volontà: nessuna rappresentazione, nessun mondo.Dinanzi all'uomo non resta in verità che il nulla.

Per comprendere ciò che questo approdo rappresenta è necessario liberarsi della tetra impressione del nulla nientificante poichè la negazione della Voluntas è una condizione estatica di appartenenza alla sorgente da cui deriva ogni bontà,"ondeggia come ultimo termine in fondo ad ogni virtú e santità , come il riassorbimento in Brahma o il Nirvana dei buddisti"(Il mondo come volontà e rappresentazione).

Accanto a quello che potrebbe essere interpretato come un rifugiarsi in un ascetismo orientaleggiante, Schopenhauer pone l'attenzione su quelle norme comportamentali che possano alleggerire il peso dell'esistenza dell'uomo, una pedina della Voluntas immersa in una valle di lacrime. Il filosofo, dunque fa della ragione lo strumento per realizzare una felicità relativa, perseguibile come assenza di dolore. Prefiggendosi dunque questo scopo, nel periodo berlinese Schopenhauer, abbozzò frammentariamente alcune intuizioni che avrebbero dovuto comporre un trattatello che nei suoi manoscritti chiama Eudemonologia: "dottrina della felicità".

Il principio primo su cui si regge la riflessione è il significato che il concetto di felicità viene ad assumere ovvero quello di "felicità negativa" avendo la propria ragion d'essere nell'assenza di infelicità2.La verità principale che Schopenhauer vuole trasmettere risiede nella riflessione di Goethe "la personalità è la felicità più alta", infatti la felicità non dipende da ciò che si ha, o da ciò che si rappresenta, ma da ciò che si è: in ogni occasione si gode solo di se stessi 3.Insito nell'avere è l'attaccamento all'oggetto dunque definibile anche come gelosa possessione di esso per la quale si cerca in ogni modo di prevernirne la perdita4. La continua pretesa di accumulazione di piaceri, che porta con sè la folle speranza di farli valere, confligge con la realtà dominata dalle leggi del destino che afferrandoci bruscamente ci mostra che nulla è nostro e tutto è suo, poichè vanta un diritto incontestabile su ogni cosa5. Pertanto sono da fuggire l'invidia poichè "giammai sarai felice finchè ti tormenterai perchè un altro è più felice" (Seneca, De ira)6 e il mero volere che spinge l'uomo, dotato di scarsa e insufficiente conoscenza della propria individualità, ad anelare ad orizzonti irraggiungibili7.

Essendo il grado di felicità diverso in ogni tempo si attribuisce all'una o all'altra circostanza il motivo dell'afflizione ma, in realtà, spiega Schopenhauer, la misura del nostro benessere o del nostro dolore è determinata soggettivamente e il motivo esterno di questa afflizione è un vescicante al quale affluiscono tutti i cattivi umori che altrimenti sarebberpo sparpagliati (avendo la propria causa nell'essenza cosmica intimamente connessa all'individualità, ovvero nella Voluntas))8(. La felicità dipende da noi stessi e non da quello che il destino ci riserva, infatti le condizioni esterne che accompagnano i fatti possono diventare migliori ma un "babbeo rimane sempre un babbeo"9.

Fulcro imprescindibile della saggezza è la capacità di attribuire la giusta proporzione circa la nostra attenzione in parte al presente e in parte al futuro. Gli sconsiderati,infatti, vivono troppo nel presente e gli apprensivi troppo nel futuro.10   

Ogni avvenimento non è degno di grande affilizione, poichè la mutevolezza delle cose può in ogni istante cambiarlo radicalmente. Assaporare ogni momento presente è la saggezza del vivere.11

"La definizione di esistenza felice [..] è un 'esistenza tale che sarebbe da preferirsi alla non-esistenza non solo per paura della morte ma per quello che essa stessa rappresenta".12



Riferimenti testuali

  1. 1.J.W.Goethe,Faust, parte prima (Dedica), v.14

  2. 2.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 22

  3. 3.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 44

  4. 4.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 25

  5. 5.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 1

  6. 6.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 2

  7. 7.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 3

  8. 8.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 5

  9. 9.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 50

  10. 10.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 4

  11. 11.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 19

  12. 12.A. Schopenhauer, L'arte di essere felici (Adelphi), Massima n. 49


ALBERTO ROVERSELLI




Aggiunto il 14/03/2016 21:41 da Alberto Roverselli

Argomento: Filosofia moderna

Autore: Alberto Roverselli



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