1) Normalmente le grandi domande
sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della
morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo,
che cos’è per lei la felicità?
A differenza della gioia, che è un’esperienza
momentanea, localizzabile in tempi e motivi definiti, forse la felicità
ha un significato più generale.
Aristotele
avvertiva che una vita può essere eventualmente giudicata felice solo
dopo che si è compiuta. Io userei anche un’altra formula, che mi piace
molto e che dice così: felice è quella vita che realizza nella maturità
(o nella vecchiaia) il sogno della giovinezza.
2) Professore Sini cos’è per lei l’amore?
Hegel
diceva che l’amore è essere uguali in potere. La formula è bella e
nobile, ma credo difficilmente realizzabile (c’è sempre chi ama di più
di chi è amato e viceversa, magari a fasi alterne). Un segno certo
dell’amore potrebbe essere il seguente: quando la felicità e la
realizzazione dell’altro ci stanno a cuore indipendentemente o
addirittura di più delle nostre. Questo può accadere, mi sembra di
averlo sperimentato in me e in altri.
3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?
Non ho nessun bisogno di spiegarmela, forse
perché non sono religioso. Diciamo che per ogni sofferenza ci sono
buone ragioni, nel senso di ragioni sufficienti (come diceva
Leibniz)
a spiegarne l’insorgere. Di alcune possiamo cercare di attutire, o
addirittura eliminare, gli effetti. Di altre no. Che qualcuno poi me lo
spieghi oppure no lascia la cosa com’è e in questo senso le sue
spiegazioni mi sono indifferenti. Suppongo che il suo bisogno di
spiegarsi la sofferenza e la difficoltà di farlo costituiscano per lui
un’ulteriore sofferenza e me ne dispiace. So però che è inutile cercare
di convertirlo alla saggezza (se è saggezza).
4) Cos’è per lei la morte?
La morte è anzitutto un pensiero, non un’esperienza, come sapeva
Epicuro
(anche se è difficilissimo convincerne il prossimo). Poi la morte è la
grande liberatrice. “Finché c’è morte c’è speranza”, ha scritto Carlo
Gragnani, un grande scrittore di aforismi, scomparso a Lugano due anni
fa. Infine la morte è la più grande creatrice e selezionatrice, poiché è
per il suo lavoro che si costituiscono i “resti”, ovvero tutto ciò
che, salvandosi dal passato, apre alla vita e al senso del futuro. È
per l’azione della morte che ciascuno di noi parteciperà del futuro,
attraverso ciò che la morte, con la sua metamorfosi, avrà deciso di
trasmettere di noi; con le sue imperscrutabili “ragioni” (che ovviamente
e per fortuna, direi, non sono le nostre). Aggiungerei, come diceva
Gentile, che si muore agli altri e che sono gli altri (questo lo diceva
Peirce) che decidono del senso della nostra vita.
5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che
moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un
percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi
obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?
Faccio di volta in volta quello che posso, come
tutti. Quali obiettivi ognuno si dà, nel corso dell’esistenza, è un
dato mutevole. Bisogna poi distinguere tra quelli che ritiene
coscientemente di perseguire (o che dice a sé e agli altri di
perseguire) e quelli che persegue davvero. Di questi è ben poco
responsabile, perché ognuno, come diceva
Wittgenstein,
non può scrivere (cioè fare) neppure una riga più di ciò che è. Tutto
sta in ciò che ognuno è, a sua insaputa, senza volere, in modo oscuro
ma tenace, ecc. ecc. E gli obiettivi reali ne dipendono. Inutile cercare
obiettivi di un certo tipo in persone di un certo tipo: non so se mi
spiego.
6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?
Proporrei di girare la cosa così: siamo tutti in
un progetto esistenziale (personale, sociale, storico ecc.) che ci
compie. Rendersene conto è quasi impossibile (però si può provare).
7) Siamo animali sociali, la vita di
ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò
nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più
esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne
pensa?
L’individualismo moderno è uno dei frutti della
grande rivoluzione economica in cammino dal Rinascimento, con
conseguenze sia buone sia cattive. L’individualismo contemporaneo è in
larga misura frutto della mercificazione universale e della legge
universale del mercato, fatta valere come unica e assoluta. A ciò si
accompagna un diffuso infantilismo edonistico e narcisistico: tutti si
atteggiano come merce appetibile sul mercato della concorrenza e
dell’offerta. Vedi la stupidità universale della moda (ormai i negozi
di abiti sono di numero crescente, come se l’unico problema della gente
fosse di cosa si mette addosso e in testa e non di cosa ha in testa).
Naturalmente ci sono anche aspetti positivi, il senso del valore della
vita individuale ecc.
8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?
Su questo non abbiano problemi: li riconosciamo
subito. I problemi cominciano quando pretendiamo di convincerci che il
nostro bene è anche quello degli altri e così il nostro male. Qui la
faccenda è così complicata da essere al limite irresolubile. Una buona
regola può essere quella di consultare anche gli altri in proposito e
magari di cercare di tenerne conto. Potrebbe capitare che ne derivi un
po’ di bene anche per noi.
9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è
sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono
arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa
ha aiutato lei?
Il coraggio di pensare, senza escludere nessuna
ipotesi, anche le più radicali. Come l’imperatore Adriano, vorrei
continuare a vivere con gli occhi bene aperti, se ce la farò (non sono
mica un imperatore romano!).
10) Qual è per lei il senso della vita?
La vita, diceva Chauncey Wright (un filosofo
americano dell’800 poco noto, che ho amato parecchio), basta a se
stessa. Non c’è bisogno di immaginare di aggiungerle sensi posticci; è
più che sufficiente ciò che accade ogni giorno (se lo si sa guardare
bene). I “patiti del senso”, quelli che dicono che non potrebbero
vivere se la vita “non avesse un senso”, non risvegliano il mio
interesse. Diciamo che credo poco alle loro professioni di senso. Anche
per loro, immagino, la vita basta a se stessa, per esempio
caratterizzata (solo talvolta e invero per ben poco tempo, poiché per lo
più se ne dimenticano) dai loro stessi contorcimenti immaginativi sul
senso e sul non senso. Così amano dire dei loro tormenti, ma non sempre
in armonia con ciò che fanno. È un po’ come quelli che assicurano di
non aver chiuso occhio (ma li hai sentiti russare un bel po’). Non
pretendo affatto, però, di aver ragione. Così la vita ha senso per me e
a me può bastare. Gli altri se la vedano loro, con tanti auguri
sinceri.
Fonte:
Riflessioni
Aggiunto il 11/06/2012 12:19 da Admin
Argomento: Filosofia contemporanea
Autore: Ivo Nardi