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Riflessioni pascaliane su Pale Blue Dot

Riflessioni pascaliane su Pale Blue Dot

 

Era il 1994 quando alla Cornell University l’astrofisico Carl Sagan presentava agli studenti dell’ateneo americano una foto scattata dalla sonda Voyager 1 qualche anno prima.

Soggetto dell’immagine è una distesa stellata, in particolare il quadrante in cui si trova il nostro pianeta.

Il Pale Blue Dot che dà il titolo alla foto, il puntino azzurro pallido per l’appunto, è il nostro pianeta come si presenta da quella remota distanza.

La foto, per ammissione dello stesso Sagan non ha nessun significato particolare per la ricerca scientifica, ma è stata scattata per volontà dello stesso Sagan, che riteneva fosse importante per mettere in prospettiva la nostra esistenza nel cosmo.

Proprio a tale scopo, durante il discorso alla Cornell University, Sagan pronunciò un discorso poi divenuto famoso, in cui presentava le sue riflessioni a partire dalla foto.

 

Il bel testo, in cui con toni enfatici l’astronomo critica l’antropocentrismo di chi mette al centro dell’esistente un così piccolo e insignificante puntino, è un elogio della piccolezza umana nel cosmo, un inno alla nostra insignificanza nel contesto dell’universo.

Ho letto in più occasioni il discorso di Sagan ma solo ultimamente ho avuto occasione di collegarlo ad un altro ben noto pensatore, che per tutt’altri motivi ha riflettuto su temi molto simili.

Quella che propongo è un confronto tematico per osservare alcune somiglianze tra la trattazione di Sagan e quella che ne fece, trecento anni prima, Pascal.

 

Il tema del posto dell’uomo nel mondo non è nuovo alla riflessione filosofica precedente, ma pochi pensatori ne hanno fornito lucide osservazioni come quella pascaliana: tale riflessione, anche astratta dal contesto apologetico in cui è stata concepita, rimane un capolavoro di originalità.

Spesso banalizzato e malvisto per la frammentarietà, peraltro non voluta, della sua opera, Pascal è stato ritenuto un “filosofo da Bacio Perugina”, come l’ho sentito una volta descritto.

Andando oltre la natura ermetica ed poetica di alcuni frammenti dei Pensieri, notiamo però una grande capacità speculativa.

Sarà su questo aspetto che ci concentreremo.

 

Consideriamo la famosa frase “L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa”.

In questo celeberrimo passo troviamo il tema caro a Pascal della contraddittorietà della condizione umana.

L’uomo “mistero a sé stesso”, per citare un altro pensiero, si rende conto della sua piccolezza nel mondo, ma al contempo nota la sua diversità rispetto a ogni altro essere vivente: in particolare, egli sa della propria piccolezza, sa di essere al mondo, sa che morirà e se ne domanda la ragione.

Nella sua trattazione Sagan punta molto sul primo aspetto, quello della pochezza umana: La Terra è “un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica”, un minuscolo puntino su cui scorrono “fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori” versati per “diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino.”

 

Criticando fortemente ogni aspirazione antropocentrica, Sagan enfatizza l’insignificanza delle vicende umane nel più ampio palcoscenico universale.

In ciò fa eco a Pascal: “Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo: ma anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe comunque più nobile di ciò che l’uccide e conosce il potere che l’universo ha su di lui, mentre l’universo non ne sa nulla”.

Qui c’è un ulteriore passo che Pascal ha compiuto e che Sagan non ha esplicitato.

L’uomo, pur nella sua pochezza, può riflettere sulla sua condizione, può conoscere quel mondo enorme in cui viene a trovarsi, può comprenderlo, può persino accorgersi della sua piccolezza.

D’altronde l’uomo ha sempre riflettuto su questa sua peculiare duplice condizione.

Troviamo echi di queste riflessioni nell’autore dei Salmi quando disse: “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?”

Più recentemente lo faceva Albert Einstein quando si meravigliava “che il mondo potesse essere compreso”, cioè che noi, le piccole canne al vento, potessimo averne conoscenza scientifica.

 

“Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico”, dice Sagan

L’uomo, tuttavia, da questo granellino, ha mandato una sonda, da lui costruita, a sei miliardi di chilometri di distanza, solo per conoscere cosa ci fosse laggiù.

Ecco ancora Pascal, poche righe dopo.

“Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero.”

L’uomo ha mandato una sonda laggiù e ne ha approfittato per scattare una foto che, volutamente, facesse risaltare la sua piccolezza. E un uomo ne ha approfittato per rifletterci sopra.

 

Ecco la dimensione “misteriosa” dell’uomo per Pascal, questo suo essere misero e glorioso, questo suo essere dotato di una ragione il cui “passo ultimo” è ammettere la propria pochezza.

Sagan ci sta, involontariamente, dicendo lo stesso: noi siamo un piccolo puntino nel cosmo, ma siamo capaci di andare lontani miliardi di chilometri per saperlo.

 

L’intento demistificatorio di Sagan che vorrebbe demolire “le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo” e che afferma “non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo” ha in questa prospettiva un effetto paradossale: ci mostra, pascalianamente, la nostra grandezza.

 

 




Aggiunto il 09/02/2019 12:56 da Riccardo Cravero Cravero

Argomento: Antropologia filosofica

Autore: Riccardo Cravero



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