Ieri, giovedì 16 ottobre, le sedie dello spazio conferenze della Libreria Lovat erano tutte occupate, e lo spazio circostante quasi intasato. A spanne, ci saranno state circa 100 persone ad ascoltare Pier Aldo Rovatti, che ha presentato la Scuola di filosofia di Trieste, che a gennaio 2014 comincerà le lezioni.
Avete mai assistito a un intervento lungo di Pier Aldo Rovatti, per esempio una lezione universitaria? Di solito, due sono le reazioni che suscita negli ascoltatori: c’è chi si irrita perché nell’argomentare del prof. l’oggetto in questione viene incessantemente decentrato e spostato (la versione estrema di questa posizione è “ma non sta dicendo niente!”), e chi si lascia travolgere dal flusso delle argomentazioni, aggrappandosi alle frasi illuminanti che, improvvise, emergono nell’affabulazione.
Prima di raccontarvi come posso il contenuto dell’intervento, eccovi alcune informazioni solide: la scuola nasce dal Laboratorio di Filosofia Contemporanea di Trieste, costituitosi dieci anni fa come associazione, che ha organizzato in precedenza un convegno su Foucault, un convegno sulle “pratiche critiche”, interventi presso il Club Zyp e altre “azioni” filosofiche – atipiche rispetto ai canoni della disciplina della filosofia che sta rinchiusa nelle università. Non a caso, grande attenzione viene rivolta dal Laboratorio al “mondo psi” triestino, dall’opera e le lotte di Franco Basaglia alle pratiche di oggi intorno alla salute mentale.
Le persone che animano il laboratorio, molte di queste sono vicine alla redazione della rivista di filosofia “Aut aut”, condividono una certa visione della filosofia come sapere critico con il quale si può analizzare il presente e i suoi meccanismi, pur senza pretendere di arrivare a una verità assoluta. La Scuola di Filosofia, libera da sponsor e condizionamenti (ovvero autogestita ed esterna all’Università) è il luogo dove queste persone offriranno questo loro sguardo (dove entrano in gioco la filosofia e la critica sullo sfondo della città) ai “non addetti ai lavori”.
Non è ancora abbastanza concreto? Allora: dal 18 gennaio, un fine settimana sì e uno no, presso la Direzione del Dipartimento di Salute Mentale, nel parco di San Giovanni, si terranno sette seminari da otto ore ciascuno, in cui verrà trattata sotto vari aspetti e partendo da testi e autori diversi la questione della soggettività. Ci si può iscrivere alla scuola a partire dal sito web del laboratorio; le iscrizioni (che si chiudono il 30 novembre) sono già 40, e probabilmente 60 sarà il tetto massimo di discenti accettati. Il costo totale è di 150 euro, ridotti a 50 per gli studenti.
L’idea che lega insieme i sette seminari è che siamo “soggetti smarriti”. E detto questo, finiscono le informazioni concrete… cosa vuol dire “soggetti smarriti”?
Secondo Rovatti, condividiamo tutti una mancanza nel nostro essere, non ci sentiamo pienamente titolari di noi stessi: allo stesso tempo però, non si può dire che cosa sia davvero (o se sia definibile) ciò che ci manca. Siamo dunque soggetti smarriti, ma senza sapere di preciso che cosa abbiamo smarrito: la parola soggetto (così come smarrimento) rimanda dunque a un paradosso che non può essere sciolto né accantonato, né tantomeno padroneggiato.
“Ciò che ci manca”, rendendoci soggetti imperfetti, viene dunque messo a tema in questi seminari, sapendo in partenza che non sarà possibile individuarlo: qui la filosofia insomma non offrirà ricette tappabuchi, in nome di principi giusti che saneranno pratiche sbagliate: può sembrare insoddisfacente, ma risulta estremamente stimolante se lo si applica alle situazioni concrete (nella scuola, nella vita politica, nelle relazioni interpersonali…), dove è evidente all’esperienza di tutti che un qualsivoglia “principio giusto” non basta per sanare le situazioni concrete, che restano comunque imperfette.
Ma a che cosa serve una filosofia che non risolve? Per prima cosa, secondo Rovatti, proprio a non precipitarsi alle soluzioni, soprattutto a quelle pre-confezionate. Quali? Per esempio, i format dei festival di filosofia, dove per meno di una settimana calano in una città i “big” del pensiero, che sciorinano le loro lezioni magistrali intorno a un tema convenuto. Non è questo il modo di rispondere a un bisogno di filosofia che comunque c’è – e che si vede proprio dalle persone che affollano i festival di filosofia, e dalla frequenza con cui i nomi dei filosofi e i loro concetti appaiono sui quotidiani. La scuola di filosofia di Trieste va in un’altra direzione.
“La filosofia è l’arte di capire a cosa si sta mirando”, si lascia sfuggire Rovatti (o è una mossa premeditata?) verso la conclusione del suo intervento. Nella mia testa si accende una lampadina: una definizione? Davvero? Appena ho finito di trascriverla, però, mi sento assalire dai dubbi: ha detto “arte”? ha detto “capire”, o era “comprendere”? c’era un riferimento a Herrigel* in quel “mirare”? Chiedo al mio vicino le parole esatte della frase. Scuote la testa, come se lo stessi svegliando da una trance. Non sa aiutarmi. Ci guardiamo per un lungo secondo e concludiamo insieme: forse i termini precisi non erano importanti… o no? Rovatti continua, e chiude augurandosi che siano soprattuto i “non addetti ai lavori”, portatori sani di questo bisogno di filosofia, ad avvicinarsi alla Scuola.
L’ultima parte dell’incontro viene dedicata alle domande del pubblico, e meriterebbe un articolo a sé, in cui raccontare il modo in cui Rovatti sa interpretare e dare risposta, più che alle domande, agli appelli che esse contengono. Appelli che vengono, occorre specificarlo?, dai soggetti smarriti che in fondo siamo.
* Eugen Herrigel – fIlosofo tedesco che insegnò in Giappone, noto in quanto autore de Lo zen e il tiro con l’arco. Ci sarebbe una lunga storia da raccontare intorno a lui, a quel libro e a vari malintesi che esso ha generato.
Fonte: Bora
Aggiunto il 17/10/2013 19:21 da Admin
Argomento: Altro
Autore: Paolo Stanese