Alla veneranda età di novant’anni, Emanuele Severino ci presenta un’opera che non ha lo scopo di aggiungere dei nuovi contenuti rispetto a quelli già svolti nella sua intensa e sterminata indagine speculativa, che ha preso le mosse da “La struttura originaria “ del 1958.
In questa sua recentissima pubblicazione Severino intende, piuttosto, ripercorrere quegli stessi contenuti, già profondamente toccati e ampiamente argomentati, chiarificandone connessioni e implicazioni come a voler TESTIMONIARE ancor più complessivamente e più profondamente IL DESTINO che li sostiene.
Un destino che è come il sole che appare, e che appare tanto dietro allo splendere dell’aurora quanto dietro all’oscurarsi del tramonto, un sole che, pertanto, comprende in sé aurora, tramonto e ogni altra modalità in cui lo stesso (sole) possa apparire.
Ecco perché guardare il sole è come parlare del destino, un parlare che è sempre perciò anche un interpretare, ed è interpretare anche “quel linguaggio che incomincia a testimoniare il destino [e che] non sa ancora misurarne i confini, cioè non sa ancora misurare i confini di ciò che il destino vuole. [Infatti] Il destino che appare, intramontabile, nel cerchio dell’apparire, non è il Tutto, cioè non è se stesso come totalità”. (in “Destino della necessità”, p. 587).
Ma questa differenza (ontologica) tra tutto e parte e, ancor meglio, tra assoluto e relativo è, a mio avviso, proprio l’inevitabile e ineludibile condizione in cui viene a trovarsi la filosofia ‘qua talis’, e che, per essere ‘tale’ appunto, non può non essere ‘simpliciter’ apertura allo stesso assoluto.
Per esprimere questa paradossale condizione, non riesco a trovare parole migliori di quelle suggeritemi da Maurice Merleau-Ponty: “Il filosofo parla, ma è una sua debolezza, e una debolezza inspiegabile: egli dovrebbe tacere, coincidere in silenzio, e raggiungere nell’Essere una filosofia che vi è già fatta. Viceversa, tutto avviene come se egli volesse tradurre in parole un certo silenzio che è in lui e che egli ascolta. La sua intera ‘opera’ è questo sforzo assurdo”. (da “Il visibile e l’invisibile”, p. 143).
Per chi, più che per Severino, che in questo suo “Testimoniando il destino” scrive: “La risoluzione appare eternamente nell’inconscio più profondo dell’uomo “(p. 120), può valere allora questa profonda e radicale riflessione merleaupontyana?
Non è, infatti, l’Assoluto severiniano proprio quell’Essere il cui raggiungimento rappresenta da sempre anche un infinito ed incessante “sforzo assurdo”?
Eppure con l’innegabile “ottimismo metafisico” che caratterizza il “suo” pensiero, Emanuele Severino in quest’ultimo suo scritto afferma: “Tutto l’infinito percorso della Gloria della terra (che è appunto ciò che l’uomo è destinato a vivere) l’uomo lo vive già da sempre, eternamente, ‘nell’apparire infinito’ ”. (p. 209).
Aggiunto il 03/03/2019 10:41 da Alfio Fantinel
Argomento: Filosofia teoretica
Pagine: 376
Edizione: 2019
Scritto da: Emanuele Severino
Lingua: Italiano
Costo: 34 €
Casa editrice: Adelphi
ISBN: 978-8845933462
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