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Suggestioni politiche di Gugliemo di Ockham alla luce della visione politica e sociale di Papa Francesco

STORIA DI UNA LOTTA

La maggior parte delle persone oggi, compresa la maggior parte dei cristiani, non vede nulla di ideale nella povertà. Dio provvede in parte per l’essere umano dandogli l’intelligenza necessaria per provvedere a se stesso, e l’intelligenza suggerisce che dovrebbe praticare una ragionevole quantità di fatica per acquisire denaro e altre proprietà e diritti utili per scopi utili in seguito. Nel Nuovo Testamento, però, molti passaggi sembrano idealizzare la povertà e l'improvvisazione. Gesù stesso era povero: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo hanno dei nidi; ma il Figlio dell'uomo [cioè Gesù] non ha dove posare il capo» (Matteo 8,20). Raccomandava la povertà: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21). Scoraggiò la preoccupazione per il futuro: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né raccolgono nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi più di loro? Perciò vi dico: non Sii in ansia per la tua vita, per quello che mangerai o per quello che berrai, né per il tuo corpo, per quello che indosserai... il Padre tuo celeste sa che hai bisogno di queste cose. Ma cerca prima il suo regno e la sua giustizia, e tutte queste cose saranno vostre. Non preoccupatevi dunque del domani» (Matteo 6,24-34). Con la povertà volontaria i cristiani medievali speravano di umiliarsi e fare penitenza per il peccato, di riconoscere la superiorità dei valori spirituali rispetto a quelli mondani, di essere liberati dalle preoccupazioni mondane per servire Dio ed esprimere fiducia nella provvidenza di Dio; per i francescani la povertà era anche un modo di identificarsi con i poveri ai quali predicavano il Vangelo. L’impegno politico ed il rischio personale assunti dal francescano Guglielmo di Ockham nella seconda parte della sua vita, spinto dagli eventi, furono il perno per una creatività ed un rigore analitico che lo contraddistinsero nel momento in cui trattò l’argomento della povertà. Nel 1328 Ockham fuggì da Avignone, sede papale, in compagnia di Bonagrazia da Bergamo e Michele da Cesena, per via di un processo intentatogli riguardano ad alcuni suoi insegnamenti ad Oxford. Ockham ormai era convinto di dover muovere una guerra ideologica al papa Giovanni XXII infatti scrisse:

Che sia necessario rendere conto di tutte le azioni compiute è lasciato intendere dalle Sacre Scritture, mostrato chiaramente dall’esempio dei santi, imposto dalla retta ragione, stabilito dalle leggi civili (iura humana) e suggerito, infine, dalle regole della carità verso i fratelli. Perciò [...] desidero rendere conto – per quanto mi è possibile – a voi tutti, cattolici ed eretici, di quanto ho fatto, faccio e mi accingo a fare in futuro. Sappiate dunque – e lo sappiano tutti i cristiani – che ho trascorso quasi quattro anni ad Avignone prima di accorgermi che il pontefice era caduto nell’abisso dell’eresia.1

Ovviamente la reazione non si fece attendere: i tre vengono scomunicati ed il papa promulga la bolla Quia vir reprobus dove attacca il concetto di povertà dei francescani in relazione al modello di povertà di Cristo e degli apostoli, rimproverando la mancanza di obbedienza da parte del modello francescano di povertà, ma Ockham non pone una questione di obbedienza: intanto perché un papa considerato eretico con è obbedibile e poi perché l’obbedienza per Ockham è prima di tutto un’obbedienza verso Dio: «una antropologia dell’obbedienza intesa come discorso costitutivo del soggetto umano: sin dal fatto stesso di esistere, siamo in una relazione con il creatore che mette in gioco l’obbedienza o la sua negazione, la disobbedienza. Perseverando nell’una o abbracciando l’altra cambiamo la nostra stessa natura, e così intendo la natura costitutiva dell’obbedienza».2 Perciò, come ha spiegato E. M. Grandoni: «Pertanto, se la professio francescana corrisponde alla vita degli apostoli, nessun Papa potrebbe mai dispensare un frate minore dai suoi voti né commutarli in altri, poiché in tal modo il Pontefice andrebbe contro la volontà di Cristo e agirebbe non più in aedificationem ma in destructionem, il che è assolutamente contrario al suo ministerio pastorale»3 Ockham continua la sua opera di confutazione degli errori e delle eresie attraverso chiarificazioni intellettuali, teologiche, filosofiche, ma anche giuridiche. Ciò avvenne in maniera analitica e precisa. Come si può notare, lo studioso L. Parisoli rifiuta una preminenza dell’autorità personale sulle norme giuridiche, che come forma di linguaggio analitico, si impongono sempre:

[...] ogni volta che c’è conflitto tra una norma umana (sempre positiva) e una norma divina, la norma divina si impone sempre così che, se qualcuno si oppone a tale soluzione, si tratta di un pervertitore dell’ordine naturale normativo (così Giovanni XXII fu accusato di essere uno pseudo-papa). La competenza allora fissa e designa l’autorità nomopoietica, ossia il soggetto che pone la norma, e, soprattutto, è indipendente dalla gerarchia normativa. Attraverso i due concetti di gerarchia normativa e di competenza si comprende infatti come nella sfera del diritto umano il legislatore sia assoluto (egli è il solo competente). Tuttavia, accanto al potere assoluto del legislatore, si pone sempre la superiorità delle norme divine.4

Ockham cercò anche di analizzare la forma di governo della Chiesa e dell’impero, quindi non si spinse solo nella confutazione della questione economica, ma espresse anche le proprie idee nell’ambito politico 

Nel pensiero di Ockham il criterio del bene comune è così prevalente, da essere adottato perfino nella discussione sulla miglior forma di governo. Per il francescano inglese, infatti, per quanto “di regola” l’impero sia la soluzione migliore, è possibile che in determinate situazioni il bene comune sia salvaguardato meglio adottando altre forme istituzionali. Significativamente, Ockham ha sostenuto la medesima tesi anche per la chiesa, la cui struttura monarchica è a suo parere saldamente fondata nella tradizione. Non è da escludere, tuttavia, che in determinate situazioni eccezionali, si debba optare per una pluralità di papi. Questo schema è applicato da Ockham anche alla questione, ovviamente centrale nelle controversie dei suoi anni, della possibilità che il potere spirituale intervenga in campo temporale e viceversa. In una situazione “ordinaria”, la separazione degli ambiti è netta: in casi eccezionali, invece, è possibile che ci sia un intervento per salvaguardare il bene comune, ma soltanto in un senso molto particolare. Non in quanto imperatore, ma in quanto fedele, quando tutte le istanze ecclesiastiche ecclesiastiche avessero fallito, l’imperatore ha il diritto (ma anche il dovere), di procedere contro un papa eretico; così anche il papa, non in quanto tale, ma in quanto suddito, se le autorità temporali non provvedessero, può in modo legittimo intervenire nei confronti di un sovrano il cui comportamento vada a detrimento del bene comune dell’impero.5

L’azione condotta da Giovanni XXII per ridefinire il perimetro dell’esperienza pauperistica francescana è il tentativo di un papa, che ha una visione politica integrale, di porre fine, in modo autoritario e assolutistico, alle tensioni che da sempre, con fasi alterne, hanno attraversato l’Ordine francescano. Prendendo in prestito delle espressioni di Olivi si dimostra, come Ockham, che non esiste l’infallibilità papale e che anche il pontefice è soggetto all’errore: 

Pertanto il papa nelle sue assoluzioni e dispense e in qualunque suo decreto non può in alcun modo contraddire i precetti e i consigli di Cristo, anzi, è necessariamente tenuto a seguirli e a regolarsi da essi nei suoi giudizi, e qualunque cosa fare il contrario non sarebbe fuori dal suo potere donato a Cristo, ma assunto ingiustamente per usurpazione. Ma nello stato evangelico non può fare a meno di nessuno senza contraddire manifestamente i consigli di Cristo, e anche le sanzioni e gli statuti di Cristo, con i quali ha istituito e ordinato lo stato evangelico, in modo che prima della sua assunzione era in consiglio per tutto, ma dopo la sua assunzione era in un precetto inamovibile.6

Ciò che per questo progetto interessa è la costituzione di un orizzonte nuovo del pensiero politico che l’ordine del discorso pauperistico francescano ha messo in opera, al punto che la stessa storia del pensiero politico di Ockham può essere vista come luogo di organizzazione per le idee giuridiche e politiche e le correlazioni che esso può avere con l’attività sociale e politica di papa Francesco, perché a livello politico la correlazione risulta lampante: 

La politica e l’economia tendono a incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà e il degrado ambientale. Ma quello che ci si attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di interazione orientate al bene comune. Mentre gli uni si affannano solo per l’utile economico e gli altri sono ossessionati solo dal conservare o accrescere il potere, quello che ci resta sono guerre o accordi ambigui dove ciò che meno interessa alle due parti è preservare l’ambiente e avere cura dei più deboli. Anche qui vale il principio che «l’unità è superiore al conflitto». (papa FRANCESCO, enciclica Laudato sì, 198)

Da un punto strettamente dottrinale, Ockham ritiene che debba spettare ai teologi di identificare, attraverso un’indagine dottrinale, chi sia, o meno, eretico: un soggetto A può essere considerato eretico solo è soltanto da un teologo il quale esprime l’enunciato “il comportamento Ω è eretico”, se A si attiene ad Ω allora A diventa eretico, sempre e solo dopo il giudizio di un teologo:

[...] spetta ai teologi principalmente giudicare chi debba essere reputato cattolico, chi eretico, mentre i canonisti devono mostrare con quale pena deve essere punito secondo il diritto canonico chi sia stato giudicato eretico. Allo stesso modo il giudice secolare, sebbene non sappia giudicare che qualcuno è colpevole di eresia, tuttavia dopo che uno gli sia stato consegnato dalla chiesa come eretico, non ignora con quale pena debba essere punito secondo il diritto civile. Il giudice ecclesiastico, dunque, se gli viene condotto dinnanzi qualcuno accusato di eresia, in primo luogo deve chiedere consiglio ai teologi in che modo si debba dimostrarlo colpevole e successivamente deve sottoporlo alla giusta pena per mezzo dei canoni. Dimostrano poi che principalmente i teologi distinguono tra eretici e ortodossi, dicendo che nessuno deve essere ritenuto eretico se non in quanto aderisce ad un’eresia con pertinace ardore. Ma principalmente ai teologi compete discernere non solo quale asserzione sia da annoverare tra le eretiche, ma anche quale adesione debba essere ritenuta pertinace.7

L’eresia è da considerarsi sia in ambito positivo, nel senso di consapevole, che in ambito negativo, cioè inconsapevole, ovviamente c’è una differenza sostanziale tra i due tipi di eresia, ma bisogna considerare che al tempo di Ockham, Giovanni XXII era pienamente consapevole delle sue idee, le professava con chiarezza e cercava di dimostrarle come quasi attinte alla fonte divina:

Al fine di fare chiarezza, costoro [i teologi] dicono che si deve sapere che c’è differenza tra chi dubita o erra pertinacemente e chi difende pertinacemente un errore. Molti eretici infatti dubitano o errano con pertinacia, per il fatto che persistono pertinacemente nel loro dubbio o errore all’interno della loro mente, e tuttavia non difendono il loro errore o dubbio né pertinacemente né in alcun altro modo, al punto che talvolta per timore, per ambizione, per avidità o per qualche altra causa, negano esteriormente ciò che credono irrevocabilmente nella loro mente. Molti, al contrario, difendono o possono difendere esteriormente con pertinace animosità un’opinione falsa ed erronea, alla quale tuttavia nel loro cuore non aderiscono né con pertinacia né in alcun altro modo. Infatti, talvolta capita che qualcuno difenda consapevolmente il falso, come spesso avvocati bugiardi e disonesti, spinti dall’avidità, difendono consapevolmente con ostinatissima animosità cause false ed inique. E così, non chiunque dubita o erra pertinacemente difende con pertinace animosità un’opinione falsa, né viceversa.8

ANALISI DELLA POVERTA'

La povertà come rinuncia radicale al possesso e, tramite esso, a qualsiasi potere, dominium, si colloca al cuore stesso dell’esperienza e della testimonianza di Francesco d’Assisi. «Ockham è evidentemente persuaso che l’argomento veramente efficace contro l’usura sia basato sul trasferimento del dominium: egli riesce pertanto ad inserirlo anche nella sua spiegazione della terza ratio contenuta nell’Eiciens, quella che si basa sulla “non-deteriorabilità” del denaro. Qui Ockham spiega che un locatore deve subire spese al fine di evitare il deterioramento del campo o della casa che ha concesso in affitto mantenendone, però, la proprietà: questo gli conferisce il diritto a ricevere qualcosa, che può essere inteso come una sorta di indennità.»9 D’altra parte, Giovanni XXII si espone sulla questione della povertà di Cristo attraverso un ragionamento che assume tali caratteristiche riguardo il concetto di uso e proprietà: l’uso di fatto presuppone un «diritto all’uso», in contrapposizione al possesso, di alcuni beni, che per la loro natura, si consumano con l’uso, ad esempio il cibo, e implicano dunque un possesso, una proprietà, quindi una forma di potere, cioè appunto un dominium, termine che nel latino medievale può indicare tutti e tre questi livelli linguistici. R. Lambertini considera l’uso e l’accumulo del denaro nel seguente modo: «Firstly, money was intended for no use other than purchasing things. Secondly, the lender of a field or of a house gives up his own use and receives money in return, exchanging gain for gain, while one can not get any benefit from accumulated money. Thirdly, a field or a house deteriorates in use, but money, when lent, does not»10 da ciò la riflessione sull’uso e sul denaro può espandersi ed ampliarsi, soprattutto se la riflessione viene svolta attraverso un confronto proficuo tra la visione di Ockham, che difendendo la distinzione tra usus e dominium nei beni in uso ai francescani non interferisce più con la teoria dell’usura in modo che l’obiezione di Giovanni XXII perde la sua forza. Il conflitto tra il papa ed Ockham si svolgeva sul campo della povertà, ma su che basi? I francescani erano convinti che la scelta della povertà e la rinuncia ai diritti rispecchiassero in maniera, quasi totale, la povertà evangelica e si consideravano come i continuatori della vita apostolica; dal canto suo, Giovanni XXII era preoccupato che questo nuovo ordine potesse sovvertire le gerarchie ecclesiastiche che la Chiesa aveva consolidato e non tollerava che i frati minori si considerassero, sulla base delle loro scelte, il migliore tra gli ordini mendicanti. Giovanni XXII11 era ben consapevole che se si cedeva al concetto di povertà evangelica non si poteva che seguire le direttive francescane: il problema non era tanto il tipo di povertà che si sceglieva, ma il vanto che ci si poteva fare nel ritenersi gli unici prosecutori della povertà evangelica. Tommaso d’Aquino stesso (Summa Theologiae I-II, q. 18, a. 2-3) riteneva che la perfezione religiosa fosse legata all’esercizio della carità e non ad una perfezione o privazione esteriore. La radicalità della proposta di san Francesco costituisce un problema, concettuale ed esistenziale, già alla prima generazione di francescani, che si trovano alle prese con le conseguenze identitarie, giuridiche e teoretiche di questo lascito concettuale. Il voto di povertà profila l’abbandono del possesso e della proprietà da parte dei singoli individui che abbracciano la regola di Francesco, ma mette anche in questione il ruolo dell’ordine francescano stesso, del suo rapporto, in quanto istituzione, con la ricchezza e il potere:

La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri. La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario. Infatti quelli che gustano di più e vivono meglio ogni momento sono coloro che smettono di beccare qua e là, cercando sempre quello che non hanno, e sperimentano ciò che significa apprezzare ogni persona e ad ogni cosa, imparano a familiarizzare con le realtà più semplici e ne sanno godere. In questo modo riescono a ridurre i bisogni insoddisfatti e diminuiscono la stanchezza e l’ansia. Si può aver bisogno di poco e vivere molto, soprattutto quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e si trova soddisfazione negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a frutto i propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura, nella preghiera. La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita. La sobrietà e l’umiltà non hanno goduto nell’ultimo secolo di una positiva considerazione. Quando però si indebolisce in modo generalizzato l’esercizio di qualche virtù nella vita personale e sociale, ciò finisce col provocare molteplici squilibri, anche ambientali. Per questo non basta più parlare solo dell’integrità degli ecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vita umana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori. La scomparsa dell’umiltà, in un essere umano eccessivamente entusiasmato dalla possibilità di dominare tutto senza alcun limite, può solo finire col nuocere alla società e all’ambiente. Non è facile maturare questa sana umiltà e una felice sobrietà se diventiamo autonomi, se escludiamo dalla nostra vita Dio e il nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività a determinare ciò che è bene e ciò che è male. (papa FRANCESCO, enciclica Laudato sì, 222-224)

Da ciò si può richiamare l’enciclica perché il concetto di «ecologia integrale» fornisce tutti gli strumenti per entrare nell’ambito dello scontro tra Guglielmo di Ockham e Giovanni XXII attraverso la costituzione di concetti che sicuramente Ockham non avrebbe rifiutato perché essa permette ad un gruppo, per esempio i Francescani di raggiungere la propria perfezione:

L’ecologia integrale è inseparabile dalla nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale. E’ «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente». Il bene comune presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi risalta specialmente la famiglia, come cellula primaria della società. Infine, il bene comune richiede la pace sociale, vale a dire la stabilità e la sicurezza di un determinato ordine, che non si realizza senza un’attenzione particolare alla giustizia distributiva, la cui violazione genera sempre violenza. Tutta la società – e in essa specialmente lo Stato – ha l’obbligo di difendere e promuovere il bene comune. (papa FRANCESCO, lettera enciclica Laudato sì, 156-157)

Dal punto di vista giuridico, Ockham scrisse un’opera importantissima: l’Opus nonaginta dierum che presenta le sue idee sulla legge naturale e sui diritti naturali. Ovviamente, anche per la fretta con cui è stata scritta, l’Opus nonaginta dierum non è un’opera sistematica. Essa risponde, passo passo, alle parole di papa Giovanni XXII riguardanti la bolla Quia vir reprobus. Ockham intende difendere il caso francescano. Non bisogna considerare il lavoro di Ockham come una questione personale tra egli ed il papa, ma come ricorda T. Shogimen: «Thus Ockham defended the Franciscan cause in the wider context of what he perceived as a general ecclesiastical crisis [...] only in the light of the contemporary discourses on mendicant poverty shall we be able to identify Ockham’s intent and to assess his originality»12 Dopo aver compreso la prospettiva ideologica di Ockham, si può ben capire perché non rimase un semplice sostenitore della povertà francescana, ma divenne un critico aspro dell’eresia papale e del governo ecclesiastico contemporaneo senza mai rinunciare alla propria coerenza argomentativa e dimostrando uno slancio argomentativo che, temporalmente, può benissimo raggiungere la contemporaneità:

In Ockham, [...], è emersa una tendenza a richiamare dottrine logiche proprio in alcuni punti nevralgici dell’argomentazione ecclesiologica, adottando in modo più o meno esplicito tesi già formulate nelle opere del suo periodo accademico. Questo stato di cose certo non autorizza a pensare ad una “genesi” logica della teoria ockhamista della Chiesa, quanto piuttosto ad evidenziare che, nell’articolarla, il Venerabilis Inceptor ha prestato particolare attenzione a curare la sua coerenza logica secondo gli standard che gli erano familiari dalla sua carriera accademica. Impegnato a difendere un’idea dell’inerranza della Chiesa universale che non si traducesse nell’attribuzione di questa caratteristica fondamentale soltanto ad una particolare istituzione, Ockham ha formulato la sua tesi attingendo a varie fonti, ma senza trascurare la struttura logica - non scevra di presupposti anche ontologici - della sua proposta. Questo sforzo costituisce un elemento - forse non appariscente ma significativo - di quella continuità tra le varie fasi della produzione di Ockham, che tanto ha attirato l’attenzione degli specialisti.13

Da ciò bisogna chiedersi se la povertà per la quale si battono i francescani ed Ockham è concettualmente la stessa povertà che vissero Gesù Cristo, gli apostoli e che professava Francesco d’Assisi. Oggi esiste un tipo diverso di povertà, una povertà che non nasce più dalla scelta, ma dalla costrizione: essa è una povertà che il sistema capitalistico impone a buona parte degli esseri umani nel mondo e contro la quale bisogna lottare per riportare il concetto di povertà a quella povertà per scelta che caratterizza l’Ordine Francescano, così si espresse papa Francesco sulla povertà contemporanea:

Questo scarto si manifesta in molti modi, come nell’ossessione di ridurre i costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi conseguenze che ciò provoca, perché la disoccupazione che si produce ha come effetto diretto di allargare i confini della povertà. Lo scarto, inoltre, assume forme spregevoli che credevamo superate, come il razzismo, che si nasconde e riappare sempre di nuovo. Le espressioni di razzismo rinnovano in noi la vergogna dimostrando che i presunti progressi della società non sono così reali e non sono assicurati una volta per sempre. Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. È aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che «nascono nuove povertà». Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà, lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà attuale. Infatti, in altri tempi, per esempio, non avere accesso all’energia elettrica non era considerato un segno di povertà e non era motivo di grave disagio. La povertà si analizza e si intende sempre nel contesto delle possibilità reali di un momento storico concreto. (papa FRANCESCO, lettera enciclica Fratelli Tutti, 20-21)

Ora si può dimostrare come Ockham intenda contrapporsi alle eresie di Giovanni XXII:

[...] il modo di presentare gli errori mira a farne risaltare la totale assurdità, anche a costo di semplificazioni; così pure le deduzioni di ulteriori eresie dalle affermazioni rinfacciate al Pontefice tendono ad evidenziare - se non a costruire - contrasti stridenti con le verità di fede e di ragione più elementari, piuttosto che addentrarsi nei termini più spinosi del problema. Tra gli esempi possibili basti la trattazione della prima eresia attribuita al pontefice, quella dell’inseparabilità dell’uso dal dominio nelle cose consumabili con l’uso. [...] nella messa il sacerdote diventerebbe proprietario del apne e del vino, così come delle vesti sacre che usa; il ladro che facesse uso della refurtiva ne diventerebbe legittimo proprietario; i pellegrini ospitati diventerebbero proprietari di tutti i beni messi a loro disposizione dall’ospite, vasellame e letti compresi; chi prestasse una veste non potrebbe poi chiederne legittimamente la restituzione. [...] La medesima propensione per l’estremizzazione, seppure a livelli di maggiore approfondimento. si palesa anche nella discussione sulla regalità universale di Cristo in quanto uomo, affermata nella Quia vir reprobus al fine di negarne la povertà.14

Sarà proprio il concetto di «diritto d’uso» e il concetto di possesso a fungere da confronto tra la visione di Ockham che difendeva la povertà francescana. Da ciò il confronto con la Laudato sì:

Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio. (papa FRANCESCO, lettera enciclica Laudato sì, 11)

Il «diritto d’uso» ed il possesso sono dei concetti che permettono alla riflessione di sfociare nell’ambito giuridico, e nella filosofia del diritto, e persino nel moderno concetto di «ecologia integrale», tutto ciò può essere latore di riflessioni innovative sul concetto di povertà francescana «se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio» (papa FRANCESCO, lettera enciclica Laudato sì, 11). Fu Ockham ad instaurare un nuovo modo di pensare al diritto, una nuova forma di concetto e di diritto soggettivo, che è strettamente collegato al «diritto d’uso»: «È Ockham [...] ad offrire per la prima volta una sistemazione soddisfacente ed esaustiva della nozione di diritto soggettivo, almeno in quanto rappresentante più in vista della teoria politica della scuola francescana. È Ockham il primo a teorizzare l’idea che ogni diritto sulle cose è in ultima analisi un diritto soggettivo, poiché il diritto non è una relazione reale come già affermava Pietro di Giovanni Olivi nella sua questione Quid ponat ius, vel dominium, e quindi non può che essere la facoltà della volontà di decidere».15 Bisogna ricordare che, attraverso il concetto di diritto soggettivo, la scolastica francescana, a differenza della filosofia giuridica tomista, pone al centro della riflessione il concetto stesso di persona, esso si trova alla base della disputa sulla povertà dei frati minori. Alcune riflessioni, come la presente di Ockham, è ispirata dal bisogno di giustificare la propria scelta di povertà assoluta e la rinuncia ai diritti civili. I francescani si trovarono a dover sistematizzare un nuovo sistema di concezione giuridica, come fece Ockham, per difendersi dagli attacchi esterni, per esempio quello di Giovanni XXII, nell’ottica di giustificare la propria povertà e la propria rinuncia ai diritti civili.16 Giovanni XXII recriminava che il diritto d’uso, seppur minimo, doveva esistere sugli oggetti, non si poteva far uso di oggetti, come ad esempio il cibo, senza avere su di essi un diritto come prospettavano i frati minori. Per venir meno a questa costrizione giuridica sulla necessità del diritto d’uso, i frati minori dovettero operare una strategia concettuale ben organizzata:

  1. Ruppero il legame concettuale tra diritto naturale e diritto positivo
  2. Sottomisero il diritto alla libera volizione del soggetto umano
  3. Fecero affiorare l’idea stessa di diritto soggettivo


CONCLUSIONI CONTEMPORANEE

L’enciclica di papa Francesco, può portare innovativi punti di vista sul sistema dell’ecologia integrale e sulle questioni problematiche dei giorni d’oggi come la povertà ecologica di cui soffre quasi la metà della popolazione mondiale. Papa Francesco nella sua Enciclica Fratelli tutti tende a sottolineare come soltanto il perseguimento della migliore politica riesca a rendere possibile lo sviluppo di una giusta comunità mondiale. Ciò si realizza attraverso la fraternità di popoli che con sintonia sociale e politica costruiscono il vero bene comune. Il papa dall’inizio del suo pontificato, ha operato in maniera significativa per modificare un modo di pensare ormai radicato soprattutto nel mondo occidentale, vale a dire l’idea che l’individualismo economico non regolato possa rappresentare la chiave del successo dei nostri paesi nei confronti delle parti del mondo meno sviluppate. Nella sua visione della Dottrina Sociale della Chiesa, invece, è centrale il concetto di “carità politica” che presuppone il superamento del mero individualismo in quanto “popolo” e “persona” sono termini correlati e non si può ridurre il concetto di “persona” a semplice individuo, quindi si rende necessaria una visione incentrata sul personalismo. La carità in campo politico può aiutare a costruire un mondo nuovo che sia maggiormente equo, e libero dalla povertà ambientale e imposta, ma questa impostazione ha sempre bisogno della verità, la quale si raggiunge attraverso la fede e la ragione. La carità politica e la sintonia politica, pertanto, devono rappresentare degli stimoli positivi per costruire istituzioni più sane e ordinamenti più giusti, esattamente come risulta dalla prospettiva di Ockham. La nozione di dignità dell’uomo che deve riguardare ogni individuo in ogni parte del mondo non può essere disgiunta, a giudizio di papa Bergoglio, da una concezione complessiva del bene umano, vale a dire da una visione del bene comune che abbia in considerazione l’intera comunità umana. Esiste una relazione tra le questioni politiche al tempo di Ockham e quelle di oggi: i nominalisti spingevano per un abbandono da parte del pontefice a mire espansionistiche del suo potere politico in favore di quello imperiale, oggi invece il pontefice esorta gli stati a prendere atto che c’è la necessità di trovare delle soluzioni sovranazionali e di limitare le pretese dei singolo, aziende o nazioni che siano, per salvaguardare la crisi socio-ambientale: 

La medesima logica che rende difficile prendere decisioni drastiche per invertire la tendenza al riscaldamento globale è quella che non permette di realizzare l’obiettivo di sradicare la povertà. Abbiamo bisogno di una reazione globale più responsabile, che implica affrontare contemporaneamente la riduzione dell’inquinamento e lo sviluppo dei Paesi e delle regioni povere. Il XXI secolo, mentre mantiene una governance propria di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. In questo contesto, diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare. Come ha affermato Benedetto XVI nella linea già sviluppata dalla dottrina sociale della Chiesa, «per il governo dell’economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell’ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, [san] Giovanni XXIII». In tale prospettiva, la diplomazia acquista un’importanza inedita, in ordine a promuovere strategie internazionali per prevenire i problemi più gravi che finiscono per colpire tutti. (papa FRANCESCO, lettera enciclica Laudato sì, 175)

La posizione ecclesiastico-politica di Ockham viene indicata secondo la possibilità che la Chiesa può eleggere un proprio capo, ma egli non è infallibile e può essere corretto, esattamente come l’insieme delle nazioni del mondo avrebbero il compito di correggere comportamenti che stanno rinforzano la crisi socio-ambientale.

[...] per disposizione di Cristo solo la comunità dei credenti ricevette il potere di correggere nel foro ecclesiastico. Cristo, tuttavia, non vincolò la comunità ad un determinato sistema di correzione. Essa, cioè, può correggere i rei da sé stessa nella sua totalità, quando sia opportuno, o attraverso una singola persona che faccia le veci della comunità. Pertanto, la comunità poté affidare ad una determinata persona il potere di correggere, e così dicono che san Paolo ricevette il potere di correggere dalla comunità dei credenti di una provincia o di diverse province.17

La ricerca si pone l’obiettivo di indagare le questioni politiche, giuridiche e di teoria dell'azione, anche da un punto di vista strettamente storico, che hanno caratterizzato la produzione di Guglielmo di Ockham considerando la connessione con l’età contemporanea che si sta vivendo: la questione della povertà e dell’ambiente che vennero richiamate da papa Francesco. Basti pensare che egli mostra una certa soluzione alla questione della povertà che è collegata alla questione del lavoro:18 non è l’offerta di denaro a risolvere il problema della povertà, ma la possibilità di lavorare. 

Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa. Perciò insisto sul fatto che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro». Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, «non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro». In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo. (papa FRANCESCO, lettera enciclica Fratelli tutti, 162)

La questione dell’uso può essere esaminata anche al giorno d’oggi per ottenere delle considerazioni analitiche che potrebbero essere d’importanza per l’Ordine Francescano. Ovviamente la ricerca prenderà in esame tutte le opere politiche di Guglielmo di Ockham, la possibile letteratura secondaria, anche di ordine storico: tale indagini può fornire strumenti per inquadrare gli assetti politici, giuridici e socio-ambientali che interessano l’Ordine Francescno ieri e oggi, ma interessa ogni essere umano richiamandosi alla Laudato sì:

Quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura. (papa FRANCESCO, lettera enciclica Laudato sì, 139)

La ricerca non vuole presentarsi come un’ennesima analisi della povertà francescana in contrasto con la figura di Giovanni XXII, ma vuole essere uno spunto innovativo sulle relazioni riscontrabili tra vari aspetti della povertà presentata dal Venerabilis Inceptor dell’Ordine Francescano ed essere una nuova fonte di informazioni per quanto riguarda la filosofia politica di Guglielmo di Ockham considerando le sue riflessioni in collegamento con la visione politica e sociale, riguardo la povertà, di papa Francesco; perché la povertà e l’ambiente sono questioni che, con aspetti diversi, riguardava i francescani di ieri e riguarda gli esseri umani di oggi.

BIBLIOGRAFIA

Fonti

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1GUGLIELMO DI OCKHAM, Lettera ai frati minori, in Id., La spada e lo scettro. Due scritti politici, a cura di S. Simonetta, Rizzoli, Milano, 1997, p. 201

2L. PARISOLI, Dimensioni dell’obbedienza in San Bonaventura: il caso analitico della superbia di Lucifero, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, No.4, 2017, p. 923-932

3E. M. GRANDONI, “L’alto valor del voto”: le Quaestiones de perfectione evangelica di Pietro di Giovanni Olivi e la teoria dei voti nella Commedia di Dante. Un’ipotesi di lavoro, in Aevum, 97, fasc. 2, 2023, p. 324

4L. PARISOLI, Volontarismo e diritto soggettivo. La nascita medievale di una teoria dei diritti nella scolastica francescana, Edizioni Collegio San Lorenzo di Brindisi, Roma, 1999, p. 269

5R. LAMBERTINI, M. CONETTI, Il potere al plurale. Un profilo di storia del pensiero politico medievale, Jouvence, Milano, 2019, Edizione Kindle

6PIETRO DI GIOVANNI OLIVI, Quaestiones de romano pontefice, Grottaferrata 2002, p. 144-145

7GUGLIELMO DI OCKHAM, Dialogo sul papa eretico, Bompiani, Milano, 2015, p. 47-49

8GUGLIELMO DI OCKHAM, Dialogo sul papa eretico, p. 229-231

9R. LAMBERTINI, La Povertà Pensata, Mucchi Editore, Modena, 2000, p. 244

10R. LAMBERTINI, ‘Usus’ and ‘Usura’: poverty and usury in the franciscans’ responses to John XXII’s ‘Quia vir Reprobus’, in Franciscan Studies No. 54, 1994, p. 191

11N. VALOIS, Jacques Duèse, pape sous le nom de Jean XXII, in Histoire littéraire de la France, Paris, 1915, Vol. XXXIV, p. 391

12T. SHOGIMEN, Ockham and POlitical Discourse in the Late Middle Ages, Cambridge University Press, New York, 2007, p. 38

13R. LAMBERTINI, La Povertà Pensata, p. 304

14R. LAMBERTINI, La Povertà Pensata, p. 315-316

15L. PARISOLI, Volontarismo e diritto soggettivo. La nascita medievale di una teoria dei diritti nella scolastica francescana, p. 32-33

16Da ricorda che nella filosofia scolastica francescana, si presenta una supremazia praticamente totale della volontà rispetto all’intelletto. Per questo motivo è giustificabile, dal punto di vista giuridico la scelta della povertà e della rinuncia, elementi che necessitano di una strenua difesa da forme di interferenze che, a livello concettuale, pongono le loro basi nella preminenza dell’intelletto sulla volontà.

17GUGLIELMO DI OCKHAM, Dialogo sul papa eretico, p. 493

18Basti ricordare che il lavoro manuale era considerato moneta di scambio per le prime comunità francescane del centro Italia che, non avendo nulla da scambiare, scambiavano il loro lavoro manuale con ciò che necessitavano per il sostentamento.




Aggiunto il 12/02/2025 11:07 da Alessio Aceto

Argomento: Filosofia medioevale

Autore: Alessio Aceto



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