Uno studio di Mattias Desmet1 affronta il tema particolarmente delicato, ma con un equilibrio degno di nota, del rapporto tra i meccanismi del totalitarismo e l’impronta ideologica che può essere assunta dalla scienza. È un argomento delicato anche perché fa riferimento a vicende degli ultimi decenni, che hanno creato discussioni e polemiche per la loro applicazione politica, ad esempio con provvedimenti normativi che hanno limitato alcune libertà dei cittadini e ingigantito l’occhio osservatore dello Stato nelle loro vite. Vista l’implicazione della scienza sono questioni che riguardano anche la filosofia della scienza oltre quella politica.
Al crescere dell’interferenza dei governi nella privacy degli individui, specialmente dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, sottolinea l’autore, si è gradualmente assistito alla censura di voci dissonanti e alla concomitante richiesta di misure autoritarie straordinarie da parte della gente comune. Terrorismo internazionale, cambiamenti climatici, crescente violenza di genere e, infine, la diffusione di virus – questioni tutte che alimentano la cultura della paura – richiedevano interventi al fuori della normale gestione amministrativa. Desmet si chiede a questo punto se non si stia realizzando quello scenario dispotico evocato da Hannah Arendt, che paventava il pericolo di un nuovo totalitarismo, condotto non da leader efferati come Hitler e Stalin, ma da una cerchia di burocrati e tecnocrati senza volto2.
La società di massa
La massa, secondo l’analisi della Arendt, è il locus naturalis del totalitarismo. Essa consiste in una specifica tipologia di gruppo che si caratterizza per un’estrema uniformazione interna, che conduce gli individui a essere tutti uguali agli altri, a pensare tutti allo stesso modo, a condividere un medesimo ideale. Processi di “massificazione” si sono verificati più volte e in forme diverse, nel corso della storia, ma mai hanno avuto la forza e l’intensità che sono stati capaci di raggiungere negli ultimi due secoli, soprattutto per il legame sempre più stretto che si è venuto a creare con la politica. Gustave Le Bon alla fine dell’Ottocento ebbe l’intuizione che questo impeto potesse essere utilizzato per impadronirsi della società e creare una forma del tutto nuova di Stato3.
Affinché si realizzi una formazione di massa su larga scala si devono presentare contemporaneamente quattro condizioni. La prima è l’isolamento sociale, uno stato di solitudine generalizzata. Sembrerebbe un paradosso, poiché nella massa siamo tutti assimilati, condividiamo modelli di vita e modi di fare, eppure la società massificata è una società atomizzata, composta di persone, atomi, tra loro distaccati, privi di legami autentici e duraturi. L’isolamento è quell’elemento che per Hannah Arendt rappresenta la principale caratteristica dell’uomo di massa, il quale difetta proprio di relazioni sociali normali4. Nella società attuale, che vanta connessioni rapide e ramificate come non mai, il senso di solitudine sta riemergendo e proprio a causa di quegli strumenti, i social media e le tecnologie, che dovrebbero rafforzare e amplificare le vie di comunicazione. La seconda caratteristica della formazione di massa è strettamente legata alla prima e sua diretta conseguenza: l’insoddisfazione della vita. Quando l’uomo non riesce a godere della bellezza dei legami con i propri simili prova una sensazione di vuoto e si demotiva, non mette più passione nelle cose che fa. Terza condizione, come una spirale, è la crescita dell’ansia e di un generalizzato disagio. Secondo l’OMS il 20% della popolazione soffre situazioni ansiogene. Il dato inquietante di questa condizione è che non c’è un evento o un oggetto preciso da cui scaturisce e a cui si può far risalire la responsabilità. Gestire questa condizione mentale non è facile e se dall’esterno viene prospettato un possibile “nemico” verso il quale indirizzare questo stress emotivo, la massa è disposta a farlo, perché viene spontaneo oggettivare la causa del proprio disturbo. Infine, l’uomo che vive in queste condizioni sarà facilmente oggetto di frustrazione e irritabilità, suscettibili ad ogni suggestione e pronte a riversare la propria aggressività latente verso quella che viene etichettata come la causa di un qualsiasi problema comune. In questo modo si ricompatta, nell’avversione contro il presunto nemico, la componente sociale e si riesce a gestire meglio lo stato di insoddisfazione e ansia che si è costretti a sostenere. Infatti, la massa tende all’autoritarismo ed è assai intollerante verso i dissenzienti, perché spezzano le catene della solidarietà “psichica” e perché, nella sua adesione supina alla logica indotta dalla narrazione, non è in grado di comprendere il punto di vista di quanti sviluppano analisi critiche.
La massa, dunque, fa propria la narrazione che viene proposta, che genera un nuovo senso di unione, corroborato da una serie di riti che non hanno una vera finalità se non quella di dare coesione alla formazione stessa della massa, che consiste in «una società satura di individualismo e razionalismo [che] vira improvvisamente verso lo stato, completamente opposto, del collettivismo irrazionale. […] La spinta principale alla partecipazione è la solidarietà con il collettivo, e chi se ne astiene viene immancabilmente tacciato di mancanza di senso civico e solidarietà»5. Non ha più senso ciò a cui si crede o ciò che si fa, l’importante e che tutti ci credano e lo si faccia insieme. Una condizione molto simile a quella dell’ipnosi collettiva, come faceva notare lo stesso Le Bon. La narrazione ipnotica fa presa sulla massa e si rafforza ovviamente grazie a una strumentazione mediatica che rende possibile l’indottrinamento e spinge fino alla completa convinzione. Questa forma di ipnosi ha la peculiarità – e in questo risiede la sua forza – di concentrare l’attenzione su un aspetto particolare ma parziale della realtà, come un faro che illumina un punto preciso dell’orizzonte ma lascia nell’ombra tutto il resto. Per chi osserva conta solo quel punto illuminato, magistralmente descritto da chi detiene la narrazione, e non si cura di pensare che ci sia una componente non visibile, che potrebbe modificare la comprensione del panorama. Come chi è sotto ipnosi perde o modifica la percezione del dolore, così coloro che sono “addomesticati” nella formazione di massa sono disposti anche a rinunciare dolorosamente a qualcosa di proprio, se è utile alla causa. Osserva Desmet che «una gran parte della popolazione, durante la pandemia, ha accettato con sorprendente facilità misure di “escissione” [...] del proprio piacere, della propria libertà e del proprio benessere»6.
Il recente evento della pandemia e la gestione che diversi governi ne hanno attuato, consistita nella limitazione o sospensione – più o meno accentuata, a seconda dei diversi Stati – di alcuni diritti di solito ritenuti inalienabili, ha confermato una tendenza già in corso da anni e ha diviso l’opinione pubblica, tra chi ha condiviso tutto e chi vi si è opposto con il timore di una deriva antidemocratica inarrestabile. Di conseguenza sono state prese in esame varie teorie del complotto, sia da chi le apostrofava con un sorriso sprezzante, sia da chi ne denunciava il pericolo incombente7. Sicuramente della terminologia dei complottismi si è fatto un uso eccessivo e poco coerente a livello semantico, del resto molti fatti storici sono stati organizzati come vere e proprie congiure.
Ha senso questa ricostruzione inquietante? Secondo Desmet sic et non. Per prima cosa lo studioso osserva che un complotto per essere tale deve possedere i requisiti dell’intenzionalità pianificata e della segretezza con un danno preciso da arrecare a qualcuno. A volte si fa riferimento al complotto per indicare poteri occulti che hanno l’intento di orientare la storia del mondo, altre volte per designare le strutture del potere economico o finanziario internazionale. Molto spesso tale frasario è utilizzato con un’accezione negativa per biasimare quanti si fanno domande su questioni che i più invece danno per scontate. Inoltre, l’appellativo viene attribuito sempre a fatti e pensieri che non sono in linea con quello che è il modo di pensare prevalente e mai il contrario8. Ma la formazione di massa può essere considerata il prodotto di un complotto? In essa sembra agire un’anima collettiva che ne fa un corpo unico, che adotta medesimi slogan e modi di esprimersi, si muove in modo coordinato condividendo le stesse idee. Viene da sé che chi non ne viene irretito e lo osserva dall’esterno abbia la percezione di un’architettura preordinata da un preciso disegno, anche a motivo del carattere spesso minaccioso che la massa assume, tendendo a imporre la propria volontà a chi non vuole sottomettersi e invocando un sempre maggiore controllo.
Chi non viene toccato dalla formazione di massa si ritrova in una situazione che non riesce a capire […] in cui si sente messo in pericolo dalla mania di controllo che vi regna e dalla tipica intolleranza verso gli esterni. In questo spettatore confuso nasce allora l’intenso bisogno di uno schema semplice, che gli permetta di gestire mentalmente la complessità e di definire e mitigare l’ansia e le altre emozioni intense. Un’interpretazione in termini di complotto si presta a questa necessità […]. Da questo punto di vista, il complottismo […] assolve ad una funzione molto simile alla formazione di massa9.
Questa ricostruzione dei fatti offre una spiegazione lineare e lusinghiera sul come avvengono le cose nel mondo e permette di individuare anche uno o più responsabili, ma può trasformarsi anch’essa in una formazione di massa alternativa, che irretisce quanti vi aderiscono.
Scienza e ideologia
Qui si apre la parte forse più interessante del ragionamento di Desmet. Egli si chiede, infatti,
E allora non è in atto alcuna manipolazione o tentativo di indirizzare gli eventi, in un modo o in un altro? Certo che sì. Con le risorse di cui dispongono attualmente i media le possibilità di riuscirvi sono enormi. Ma questo indirizzamento non è condotto da persone, anzi, è un processo di natura fondamentalmente impersonale: esso è guidato in primo luogo da un’ideologia, da un modo di pensare10.
Secondo Desmet l’ideologia che ha investito il mondo, organizzando e strutturando la società è di stampo meccanicista e risiede nella prospettiva utopica di un paradiso artificiale che riposa sull’assunto che l’uomo e il mondo siano macchine e, pertanto, possano essere pienamente conosciuti e gestiti. Per comprenderlo bisogna ritornare alle origini della scienza, di quel metodo che si basava sull’esperienza e rappresentava apertura mentale, al di là di ogni pregiudizio, disposizione ad accogliere idee, ipotesi, dubbi, supposizioni. Purtroppo, però, sull’albero della scienza è cresciuto un ramo che si protraeva in una direzione opposta. Alcuni hanno compreso che la scienza poteva essere utilizzata come strumento di convincimento: «era soprattutto il ramo meccanico-materialista, quello delle cosiddette scienze dure», che a partire dalle leggi della meccanica si sono mostrate concrete e duttili in tutta una serie di applicazioni pratiche. «A partire dall’Illuminismo, il pensiero meccanicista ha prodotto […] quell’unica Grande narrazione che ancora sopravvive nella cultura occidentale, secondo cui tutto è iniziato con un “Big Bang”, un’esplosione primordiale che ha messo in moto un Universo in costante espansione e che, attraverso un’infinita catena di effetti meccanici, ha generato una serie di fenomeni di crescente complessità» 11. Alla fine, non solo tutto l’universo, ma l’intera esistenza dell’essere umano, nella sua bellezza e drammaticità, è stata ridotta a delle particelle elementari che si influenzano reciprocamente in base alle leggi della meccanica. E se l’universo è una macchina, tutto può essere misurato e quantificato: misurare e quantificare diventano allora il modo di conoscenza tipico della scienza meccanicista, la quale richiede una fiducia indubitabile nei suoi responsi.
La misurazione, e quindi il numero, danno l’impressione dell’oggettività, eppure, sottolinea l’autore fornendo una serie di studi e di esempi, gli stessi numeri sono relativi e ambigui e possono dare spiegazioni diverse, anche opposte, a seconda dell’interpretazione che si attribuisce loro, della loro completezza o del punto di vista di coloro che li espongono per trarne una conclusione pro domo sua. In statistica è molto noto l’esempio del paradosso di Simpsons12. La scienza, in definitiva, anche attraverso la bocca di esperti e tecnici specializzati ha più volte presentato conclusioni errate, talvolta per imprecisione, talvolta con qualche intenzionalità. E sulla base di questi dati e numeri sono state costruite narrazioni, si sono fondati pregiudizi o, in alcuni casi, sono stati presi provvedimenti politici. Il paradosso e il simbolo di una tale situazione si ha è quando le medesime osservazioni e misurazioni sono state utilizzate da più scienziati di orientamento opposto per trarre conclusioni tra loro antitetiche.
La visione meccanicista dell’universo in realtà è assai antica, essendo presente in filosofi come Leucippo e Democrito (V sec. a. C.), ma che con l’Illuminismo e il Positivismo sembra essere diventata prevalente. Essa inquadra il mondo come una sequenza di particelle che si scontrano all’infinito, senza scopo, e intende tutta la realtà come un processo meccanico che si può conoscere attraverso le sue leggi e quindi prevedere e controllare. Questo sistema sarebbe, secondo Desmet, l’ideologia di fondo di fenomeni tipici della nostra epoca, la formazione di massa e il totalitarismo, per la sua connaturale tendenza a prevedere e controllare, non solo la natura ma anche la vita dell’uomo, sulla base di conoscenze tecnico-scientifiche che, sotto la seducente prospettiva di un paradiso artificiale, giustificano ogni azione, compresi misfatti ed emarginazione. Esattamente quanto hanno preteso di fare i regimi totalitari storici, per raggiungere i loro obiettivi “paradisiaci”. Il totalitarismo – possiamo aggiungere: in qualsiasi sua forma, non solo quella dei regimi storicamente determinati – è una fede assoluta nella Ragione umana che guida la vita e la società, aspirando a un mondo utopico e artificiale che, grazie alla conoscenze dei tecnocrati raggiunge il massimo della perfezione possibile.
Il meccanicismo elevato ad ideologia, tuttavia, non può dar vita in maniera automatica alle forme deviate dell’organizzazione politica del nostro tempo, il cui vertice è appunto il totalitarismo. È un dato di fatto che l’uomo per natura è portato a realizzare i suoi interessi e quanto più questi sono vasti tanto più si industria e tanto più coinvolge altre persone. Ci sono, quindi, interessi e tornaconti di una certa rilevanza che si incontrano e si scontrano con altre convenienze altrettanto rilevanti. Le prospettive che derivano dall’impostazione meccanicista possono allora suggerire nuovi orizzonti e strategie per realizzare determinati obiettivi, magari cercando di coinvolgere e influenzare la massa. Alla base di tutto, comunque, vi è sempre la volontà dell’essere umano, che vuol condurre gli eventi verso risultati favorevoli.
Un mondo vivo e creativo
Si può guardare, tuttavia, il mondo in maniera diversa, con un differente approccio scientifico e filosofico, suffragato da nuovi studi e ricerche: «Pensavamo che la scienza consistesse nello stabilire asciutte connessioni logiche tra fatti “obiettivamente” osservabili, ma in realtà essa si realizza attraverso la capacità di provare empatia, una sorta di immedesimazione grazie alla quale si entra in armonia con il fenomeno che viene indagato»13. La meccanica quantistica e quel sistema di studi che può essere racchiusa nella teoria del caos offrono, a parere di Desmet, la possibilità di rappresentare un’immagine dell’universo alternativa a quella meccanicista. Diverse osservazioni e calcoli hanno dimostrato che una serie di fattori del tutto casuali e senza alcuna correlazione danno vita ad un modello che risponde a delle regole precise; un insieme di scoperte che James Gleick14 spiega dicendo che la vita assorbe ordine da un mare di disordine, che vi è un'autoregolamentazione non solo tra gli organismi viventi, ma – curiosamente – anche nel mondo inorganico: «gli studiosi delle dinamiche del caos scoprirono che il comportamento disordinato di sistemi semplici agiva come un processo creativo. Generava [...] modelli […] a volte stabili e a volte instabili, a volte finiti e a volte infiniti, ma sempre con il fascino delle cose vive»15.
Una ricostruzione che in termini filosofici si potrebbe ricollegare a Henri Bergson, pur con alcune distinzioni. A partire da una duplice concezione del tempo, il filosofo francese opera, in chiave antipositivista, una separazione tra l’ambito della scienza da quello della coscienza, escludendo che l’essere umano e le sue azioni possano essere comprese nelle classificazioni proprie di una scienza deterministica. Il tempo rappresentato dalla scienza è quello dell’orologio, quantitativo e misurabile, composto da una somma di istanti tra loro del tutto omogenei. Il tempo percepito dalla coscienza, invece, è qualitativo, perché ogni momento è vissuto in maniera del tutto diversa dagli altri, ed eterogeneo perché non ci sono momenti identici tra loro, se non altro per il fatto che ogni momento nuovo porta in sé il ricordo del precedente. Questo passaggio da un momento all’altro, nel quale il presente si somma al passato e dà origine a sensazioni e percezioni sempre nuove è definito da Bergson “durata”. Il tempo spazializzato, pertanto, è il fondamento del determinismo, su cui si basa la scienza, mentre il tempo come durata, quello vissuto dalla coscienza, è il fondamento della libertà. Con questo si conclude che l’uomo è un universo a sé stante, che non può essere governato con il meccanismo di una scienza deterministica. L’uomo è libertà, e un atto è libero proprio nella misura in cui non può essere né previsto né definito16. In seguito Bergson attribuisce il concetto di durata all’intera realtà, anche quella materiale e inorganica. Quindi anche l’universo si rinnova e si trasforma continuamente e ogni mutamento serve da supporto per quello successivo. Alla base di tutto vi quindi deve essere una spinta iniziale, di carattere spirituale, lo “slancio vitale”, che trasmette alla materia la forza per produrre la vita. L’evoluzione creatrice è l’alternativa di Bergson ad un evoluzionismo fondato sul caso. Prendendo l’esempio dell’occhio e dei suoi numerosissimi elementi, egli ritiene che non sia possibile che un organo così complesso si sia formato in maniera accidentale e meccanica, ma ci deve essere una forza originaria che prevede una miriade di combinazioni17.
Una conclusione interessante si ottiene con un ulteriore confronto tra le diverse teorie. Quella meccanicista presuppone che le numerose particelle materiali determinino una serie ininterrotta di reazioni consequenziali e quindi ritiene che siano in opera quelle che Aristotele chiamava causa materiale e causa efficiente. La causa materiale sono le particelle con i loro movimenti, la causa efficiente le conseguenze che vengono generate da tali movimenti. La teoria del caos, invece, recupera le altre due cause che erano state considerate come agenti in natura dal filosofo greco, cioè la causa formale e la causa finale. Per comprendere facciamo riferimento alla ruota idraulica di Edward Norton Lorenz (matematico e meteorologo statunitense). In questa ruota sono fissati tanti secchi con il fondo bucato. Sopra la ruota un rubinetto fa cadere acqua sul secchio sottostante. Quando il flusso d’acqua aumenta la ruota si muove in una o nell’altra direzione, fino a quando il movimento non diventa regolare. Se il flusso d’acqua supera una certa soglia, la ruota inizia a muoversi in maniera irregolare, secondo numerose varianti. Per quanto questi movimenti siano caotici sono stati comunque descritti in un modello matematico costituito da tre equazioni differenziali a tre incognite. Quando i valori consecutivi delle tre grandezze sono stati riportati in un sistema di coordinate ortogonali tridimensionale ne è uscito un risultato entusiasmante, perché non è comparso un nugolo di punti casuali, ma una figura regolare e dalla forma esteticamente apprezzabile (nota come l’attrattore di Lorenz, nell’immagine in alto). Ciò lascia intendere una visione della natura prossima al finalismo, che non procedere per via caotica, ma secondo una forma che ha un senso compiuto.
Note
1 M. Desmet, Psicologia del totalitarismo, La Linea, Bologna 2022.
2 Hannah Arendt è l’autrice di un corposo volume sul totalitarismo (The Origins of Totalitarianism, 1951) che è diventato un indiscusso punto di riferimento per lo studio e la comprensione di questo fenomeno politico del secolo XX. Punti fermi della sua ricostruzione sono l’unitarietà del sistema totalitario, al di là della diversità dei regimi nazista e stalinista e la formazione di massa come base insostituibile per la sua realizzazione, al fine di creare un pubblico pienamente indottrinato e del tutto prono alla propaganda ideologica. «Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso, non esiste più». (trad. it. Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2015, p. 622).
3 Cfr. G. Le Bon, Psicologia delle folle (1895), Shake Edizioni, Milano 2019, p. 11.
4 Cfr. H. Arendt, op. cit., p. 415.
5 M. Desmet, op. cit., p. 114.
6 M. Desmet. op, cit., p. 120.
7 Secondo alcune opinioni, il potere sfrutta tutte le situazioni a suo vantaggio, non esclusa l’emergenza pandemica recente, per ristrutturare in senso oligarchico la società e l’economia e mettendo a repentaglio i diritti fondamentali degli individui (Cfr. D. Fusaro, Golpe Globale. Capitalismo terapeutico e Grande Reset, Piemme, Milano 2021). In maniera diversa, altri considerano il mondo come una struttura di gerarchie all’interno della quale non è possibile individuare alcun centro di potere specifico e diretto (Cfr. M. Hardt, A. Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano 2002), altri ancora hanno invece trovato anche nelle misure politiche straordinarie degli ultimi anni una coerenza di fondo o, comunque, una spiegazione plausibile senza alcun allarmismo (Cfr. F. Colombo, Verità e democrazia. Sulle orme di Michel Foucault, Mimesis, Milano 2022, pp. 59-86).
8 Cfr. M. Desmet. op, cit., p. 142.
9 Ivi, p. 147.
10 Ivi, p. 149.
11 Ivi, p. 25.
12 Riportando in una tabella le condanne a morte inflitte in Florida per omicidio, suddividendo i colpevoli in bianchi e neri, risulterebbe che i primi sono stati condannati più dei secondi, per cui sarebbe ingiustificato ogni tentativo di dimostrare che vi sia un pregiudizio a tal riguardo. Quando alla medesima tabella sono stati aggiunti anche i dati relativi alle vittime, le cose sono cambiate, poiché è risultato evidente che i neri erano stati condannati più frequentemente se avevano ucciso un bianco, mentre nessun bianco era stato condannato a morte per aver ucciso un nero. Se si aggiungessero altri dati, si potrebbe giungere ad ulteriori e diverse conclusioni.
13 M. Desmet. op, cit., p. 23.
14 J. Gleick, Caos, la nascita di una nuova scienza, Rizzoli, Milano 2018.
15 Ivi, p. 43. Un esempio, tra molti, è quello fornito da Robert Shaw, che ha individuato una formula matematica per descrivere l’intervallo che separa la caduta delle gocce d’acqua da un rubinetto. Tale caduta è provocata da fattori diversi e tra loro scollegati che, però, hanno un andamento regolare. Uno schema non facilmente spiegabile secondo il punto di vista meccanicista.
16 H. Bergson, Saggio saggio sui dati immediati della coscienza, in Id., Opere, Mondadori, Milano 1986, p. 127.
17 Cfr. Id., L’evoluzione creatrice, BUR, Milano 2012, p. 120.
Aggiunto il 30/12/2024 18:41 da Simone Rapaccini
Argomento: Filosofia della scienza
Autore: Simone Rapaccini
Il Dilemma dell’Unico La spasmodica ricerca dell’autodeterminazione Tutte le più grandi storie iniziano con la ricerca di sé: tutti i più gran
I logici lo sanno bene: esiste un contesto della scoperta ed esiste un contesto della validazione. Quando si inventa una teoria, un conto è che abbia tutti i crismi della “le
Il cinema è stato senza dubbio una delle più importanti creazioni del Ventesimo secolo. Lo sviluppo della tecnologia e l'emergere di nuove teorie portarono poi l'arte cinematografica a diventare