Il pensiero di Alfred North Whitehead (1861-1947) esprime una intensità teoretica ed una tale prospettiva aperta al futuro da renderlo estremamente attuale nelle sua indubbia profondità speculativa, insomma, per riprendere il titolo di una sua importante opera, rappresenta una vera e propria “avventura di idee”.¹
Come scrive Enzo Paci, il maestro della fenomenologia italiana, “tutto il pensiero di Whitehead tende a una grande sintesi che si potrebbe denominare “relazionistica” e “organicistica”. Ciò è vero non soltanto perché Whitehead ha tentato una visione dell’universo non di tipo meccanicistico ma di tipo organico, ma anche perché egli ha sempre cercato di porre in stretto rapporto tra di loro non solo i vari campi della scienza ma anche la scienza e la cultura umanistica. […] La filosofia è coerente non solo per il rapporto logico dei suoi concetti all’interno del ragionamento, ma anche perché rimane sempre in contatto con l’esperienza viva della realtà. Questa realtà per Whitehead è sempre in divenire, è sempre processuale, ma è anche continua tendenza a una finalità armonica. È perché questa finalità armonica vive anche nel sensibile che la stessa esperienza sensibile tende verso l’armonia o verso la bellezza”.²
Di Whitehead presento qui Simbolismo³, un piccolo libro ma che si può senz’altro considerare un capolavoro.
Simbolismo è composto da tre capitoli che sono la versione scritta di altrettante conferenze tenute dall’Autore nel 1927.
Nei primi due Whitehead analizza con particolare intensità e complessità quell’esperienza percettiva in cui si radica e da cui si origina la stessa capacità di riferimento simbolico. Nel terzo capitolo il suo interesse si sposta decisamente sul piano storico descrivendo la funzione del simbolismo in merito al progresso o al regresso delle società umane.
La densità speculativa e tematica di questo piccolo libro che, non a caso, anticipa il ponderoso trattato, nonché opera maggiore del filosofo, Il processo e la realtà (1929), non rende certo agevole un esauriente ragguaglio sullo stesso. Cercherò, comunque, di offrire una sintetica presentazione di questo piccolo ma profondo libro di Whitehead, sia estrapolando alcuni punti nodali dal contesto, sia riportando frequenti citazioni del testo stesso.
L’Autore inizia distinguendo diversi tipi di simbolismo, che vanno dal più superficiale al più essenziale; ad esempio, il cerimoniale e l’araldica medievali rappresentano un simbolismo che è meno essenziale del simbolismo del linguaggio, parlato o scritto, dove “la parola è un simbolo, e il suo significato è costituito dalle idee, dalle immagini e dalle emozioni che essa evoca nella mente di chi ascolta” (p. 4); più vincolanti sono le regole sintattiche del simbolismo algebrico: “in ogni caso, il linguaggio e l’algebra sembrano esemplificare tipi di simbolismo più essenziali che non le cattedrali dell’Europa medioevale.” (p. 4)
Per Whitehead “il simbolismo dalla percezione sensoriale ai corpi fisici è il più naturale e diffuso di tutti i generi simbolici” (p. 6), infatti solo con una particolare istruzione o sforzo (per l’artista che riesce a contemplare, ad esempio, solo il colore della sagoma) o un particolare addestramento (per il cagnolino che non ci salta immediatamente sopra) una “sedia” può non essere “veduta” nella sua funzionalità, ma noi, conclude l’Autore, “uomini e cagnolini abbiamo bisogno di un attento addestramento al fine di astenerci dall’agire in base a essa” (p. 5), perchè “il simbolismo concerne in larga misura l’uso delle pure percezioni dei sensi in qualità di simboli dei più primitivi elementi della nostra esperienza.” (p. 6)
Tuttavia, vi è grande differenza tra simbolismo e esperienza diretta; quest’ultima è infallibile, nel senso che quello che si sperimenta, si sperimenta; l’esemplificazione (attività sintetica) realizzata dal riferimento simbolico, invece, implica possibilità di errore, e, dunque, “comprendere e purificare i simboli dai quali l’umanità dipende è il compito della ragione.” (p. 8); per far questo, Whitehead propone di distinguere l’operazione mentale che si caratterizza come esperienza immediata o “riconoscimento diretto”, da quella attività sintetica del percipiente che si attua come “riferimento simbolico”; bisogna ribadire che in quest’ultimo c’è sempre una componente che funziona come “simbolo” ed un’altra che funziona come “significato”, ma anche che “non ci sono componenti dell’esperienza che sono solamente simboli o soltanto significati” (p. 10), di qui la loro intercambiabilità; inoltre, il riferimento simbolico si esplica nelle credenze, nelle emozioni e nelle abitudini che rappresentano l’aspetto attivo e sintetico dell’esperienza umana, per cui l’Autore parla di “autoproduzione” che, per ciò stesso, implica necessariamente una responsabilità morale: “il vasaio, e non il vaso, è il responsabile della forma del vaso.” (p. 9)
Dunque, simbolismo si ha quando nell’attività sintetica del percipiente alcune componenti funzionano come simboli, altre come significati. La relazione simbolica è fallibile e ciò rinvia ad una responsabilità morale del percipiente, ed è, inoltre, reversibile, ossia, come già rilevato, tra simbolo e significato c’è intercambiabilità. L’esempio che, a questo proposito, l’Autore propone è quello del poeta che, per scrivere una lirica sugli alberi, si incammina per la foresta “affinché gli alberi possano suggerirgli le parole appropriate” (p. 12). Per il poeta, allora, gli alberi sono i simboli e le parole sono i significati. Per chi legge la lirica, il riferimento simbolico si inverte perché, trovando invece i simboli nelle parole scritte dal poeta, il lettore può pervenire all’esperienza poetica (o significato) dello stesso (poeta): “Così nell’uso del linguaggio c’è un doppio riferimento simbolico: dalle cose alle parole da parte di colui che parla, e dalle parole alle cose da parte di colui che ascolta” (p. 12). La relazione simbolica di parole a cose (linguaggio) appena descritta costituisce, peraltro, solo un esempio particolare di quella più generale e comprensiva percezione del mondo esterno che sta a fondamento, poi, di un “realismo senza compromessi” (p. 10).
Per Whitehead l’interazione simbolica si origina tra due distinte modalità di percezione del mondo esterno, che sono il modo della immediatezza di presentazione e il modo dell’efficacia causale. L’immediatezza di presentazione indica tutto ciò che immediatamente si percepisce, ossia quella contemporaneità di eventi che non può essere ulteriormente analizzata (per esempio, distinguendo sensazioni, colori, relazioni spaziali) senza perdere l’assoluta immediatezza e concretezza che le è propria. Così nella percezione di un muro colorato “non percepiamo colori privi di un corpo o un’estensione disincarnata” … perché … “il colore e la prospettiva spaziale sono elementi astratti, che caratterizzano la modalità concreta grazie alla quale il muro entra all’interno della nostra esperienza” (p. 14). Dunque, colore, prospettiva spaziale sono “elementi relazionali tra ‘il percipiente in quel dato momento’, e quell’altra entità altrettanto attuale, o quell’insieme di entità che chiamiamo ‘il muro in quel dato momento’ ” (p. 15). Nell’immediatezza di presentazione l’esperienza percettiva si rivela come legame immediato e contemporaneo, la cui concretezza inevitabilmente si perde nell’analisi astratta delle diverse componenti. Scrive l’Autore: “L’immediatezza della presentazione è la nostra immediata percezione del contemporaneo mondo esterno, che appare come un elemento costitutivo della nostra stessa esperienza. In questa apparenza il mondo si disvela come una comunità di cose attuali: queste sono attuali nello stesso senso in cui lo siamo noi.” … “Tale apparenza è determinata dalla mediazione delle qualità, come i colori, i suoni, i sapori, ecc., le quali possono venir descritte con eguale verità sia come nostre sensazioni, sia come le qualità delle cose attuali che noi percepiamo. Queste qualità sono dunque poste in una relazione tra il soggetto percipiente e le cose percepite”. (pp. 19-20).
Focalizzando la questione dell’oggettivazione, Whitehead chiarisce ulteriormente il senso del suo realismo: le cose attuali sono oggettivamente nella nostra esperienza ed esistono formalmente nella loro completezza, l’oggettivazione è un’astrazione perché nessuna cosa può essere, nella sua completezza formale cioè, totalmente oggettivata; ma l’esistenza formale della cosa non per questo deve intendersi come il noumeno kantiano, perché l’esperienza della cosa attuale (oggettivazione) è tanto reale quanto la cosa nella sua esistenza formale: questo è anche il senso del succitato realismo senza compromessi. Evitando di entrare nei meandri dell’intensa e complessa speculazione whiteheadiana, è opportuno concludere a questo punto con le stesse parole dell’Autore: “Con questo – ossia con la sua concezione di realismo organicistico (mia precisazione) – intendo affermare che ogni cosa attuale è qualcosa a causa della sua attività; grazie a quest’ultima la sua natura consiste nella sua sintesi di altre cose finché queste la riguardano.” (p. 23)
Passando a discutere l’altra modalità di percezione, ossia quella dell’efficacia causale, Whitehead si trova a dover fare i conti sia con l’empirismo risalente a Hume, che con l’idealismo di derivazione kantiana. Significativo appare il suo riferimento allo splendido libro di George Santayana Scetticismo e fede animale, da cui prende l’efficace espressione “solipsismo del momento presente” per connotare, criticamente appunto, l’empirismo scettico di Hume. Whitehead, confutando la critica humeana all’idea di sostanza, sottolinea come quella critica si basi “sull’assunzione estremamente ingenua che il tempo sia una pura successione” (p. 31); per il Nostro, invece, “il tempo è il conformarsi degli stati successivi ai precedenti” e, dunque, “il passato consiste dell’insieme degli atti fissi che, oggettivandosi nell’atto presente, stabiliscono le condizioni alle quali esso deve conformarsi.” (p. 31)
Richiamandosi al concetto aristotelico di materia, l’Autore lo interpreta, all’interno della sua filosofia, come quella potenzialità pura che, per un principio di attività autocreativa, si esplica o, meglio, in termini whiteheadiani, si conforma nella stessa potenzialità naturale. Ecco, dunque, come Whitehead, attraverso il principio di conformazione, recupera, nella sua concezione del divenire organico della natura, la nozione di efficacia causale.
Nell’affrontare, quindi, la critica kantiana al concetto di causalità, il Nostro ne riporta i termini con magistrale sintesi: “La coscienza che abbiamo del mondo percepito ci fornisce un sistema oggettivo, che è la fusione del semplice dato con il nostro modo di pensare il dato stesso. … Il mondo fenomenico, dunque, come nella coscienza, è un complesso di giudizi coerenti, ordinati secondo categorie fisse di pensiero, il cui contenuto è costituito dai dati organizzati secondo le forme fisse dell’intuizione.” (p. 33)
Anche nei confronti di Kant, però, il rilievo critico che muove Whitehead è quello di aver pensato il tempo come pura successione e di non aver, perciò, saputo cogliere quel principio di conformazione, attraverso cui le cose si mostrano nella loro reale connessione. Diversamente, poi, da quanto si dovrebbe arguire dalla dottrina kantiana, ossia che l’efficacia causale dovrebbe cogliersi con evidenza maggiore negli organismi più sviluppati e superiori, dato che, appunto, quella, secondo Kant, non dovrebbe essere che una categoria di pensiero, rileva il Nostro: “la mia idea è che questa conformazione del fatto presente al passato immediato sia molto più evidente … presso gli organismi di grado inferiore” (p. 36); infatti, un fiore, un sasso si conformano all’ambiente circostante con maggior determinazione rispetto ad un cane o ad un uomo. Lo stesso cane, peraltro, è maggiormente condizionato dal futuro immediato rispetto all’uomo, la cui incertezza nell’azione molto dipende, invece, dalla coscienza di un futuro lontano.
Per ribadire l’inscindibilità del nesso costitutivo dell’esperienza del mondo e della storia: nesso fra l’immediatezza di presentazione e l’efficacia causale, Whitehead si richiama ad un’iscrizione che si trova sulle vecchie meridiane dei ritiri religiosi: “Pereunt et imputantur”, e così la interpreta: “Qui “Pereunt” si riferisce al mondo che scaturisce dalla presentazione immediata, gaio e multicolore, transitorio e intrinsecamente privo di significato. “Imputantur” si riferisce invece al mondo nella sua efficacia causale, un mondo in cui ogni evento, nella sua individualità, influisce nel bene e nel male sulle età a venire.” (p. 41)
Gli usi del simbolismo è il titolo del terzo e ultimo capitolo. Qui l’Autore sottolinea l’utilità di una critica ironica al simbolismo, soprattutto quando quest’ultimo tende “a crescere disordinatamente, come la vegetazione di una foresta tropicale” (p. 54); ma rileva, anche, che illusoria sarebbe la pretesa di eliminarlo completamente, perché esso (simbolismo) “è immanente al tessuto stesso della vita umana. Il linguaggio stesso è un simbolismo. … Pare che l’umanità debba trovare un simbolo per potersi esprimere. In fondo, “espressione” equivale a “simbolismo”.” (pp. 54-55) Per Whitehead è, perciò, necessario considerare la funzione che svolge il simbolismo nella società, valutandone sia gli aspetti coesivi che quelli disgregatrici.
Il linguaggio di una nazione, ad esempio, oltre alla sua valenza denotativa, possiede dei valori connotativi, evocativi ed emotivi che stanno alla base di una comune identità, pertanto “la lingua tiene assieme una nazione in maniera speciale, per mezzo delle emozioni comuni che è in grado di suscitare.” (p. 60) Ma anche nella tendenza disgregatrice, per cui si rinnova e progredisce, il simbolismo svolge una sua funzione; gli esempi che Whitehead propone sono l’imporsi del Cristianesimo sull’Impero Romano, le Rivoluzioni inglese, americana e francese; accenna, quindi, al diverso uso che del simbolismo si attua tra uno stato ed un esercito: in questo rispetto a quello “si fa maggior affidamento sull’automatismo e minore sull’appello alle ragioni ultime.” (p. 65)
Le ultime pagine di Simbolismo sono dedicate alla distinzione che la whiteheadiana dottrina del simbolismo comporta fra tre tipi di azione: la pura azione istintiva, l’azione riflessa, ed infine l’azione condizionata simbolicamente. Le minuziose e complesse analisi delle stesse, e dei loro relativi rapporti, rendono improponibile una qualche sintesi, seppur parziale. Dato, allora, che proprio nelle ultime battute l’attenzione dell’Autore ritorna sulla questione dell’organizzazione della società umana, conviene concludere con le parole dello stesso Whitehead: “L’arte della società libera consiste in primo luogo nella manutenzione del codice simbolico e in secondo nel suo coraggio di revisione, per assicurarsi che il codice serva a quegli scopi che soddisfano una ragione illuminata. Quelle società che non riescono a coniugare la riverenza nei confronti dei propri simboli con la libertà di revisione, finiscono inevitabilmente col decadere nell’anarchia o nella lenta atrofia di una vita soffocata da inutili ombre.” (p. 76)
Note
1 . Cfr. Alfred N. Whitehead, Avventure di idee, tr. it. G. Gnoli, Bompiani, Milano 1997.
2 . Alfred N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, a cura di A. Guglielmi, Boringhieri,
Torino 1979, pp. 227-28, 237.
3 . Alfred N. Whitehead, Simbolismo, tr. it. Rocco De Biasi, Raffaele Cortina Editore, Milano
1998.
Aggiunto il 20/03/2019 07:08 da Alfio Fantinel
Argomento: Filosofia contemporanea
Autore: Alfio Fantinel
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