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Riflessioni sulla Realtà

RIFLESSIONI SULLA REALTA’

 

Introduzione

1)La realtà è unica e diversa da quella dagli altri, è soggettiva.

2)Percepiamo solo una parte del Tutto.                   

3)Il nostro mondo e tutto ciò che esiste è una illusione

4)Esiste una realtà superiore che contiene tutte le singole realtà

5)La presenza di un osservatore, l’Ego, modifica la realtà.

Conclusioni

 

La realtà quotidiana vissuta dell’essere umano è qualcosa di soggettivo e contraddittorio che ha stimolato la speculazione filosofica delle menti più brillanti e più sagge di tutti i tempi.

Filosofi e pensatori alcuni lontani nel tempo come Platone, altri più vicini come Sartre, Wittgenstain e Schopenauer, ma anche tradizioni lontane nel tempo e nello spazio come quella buddista, cabalista, alchimista e sciamanica, sembrano aver raggiunto conclusioni del tutto simili tra loro.

A prescindere dal mezzo utilizzato (sia esso la ragione, la meditazione, la preghiera o l’estasi), alcune conclusioni sembrano confermarsi reciprocamente. L’uomo, inteso come individuo, percepisce solo una parte del Tutto e la realtà che vive è soggettiva e sempre diversa da quella di chiunque altro. Tutto ciò comporta la presa in considerazione di una realtà (o più di una) più grande, superiore, che comprende tutte le realtà individuali, mentre l’esperienza umana si svolge al di qua di quel “velo di Maja” ipotizzato dalla teologia vedanta. La conseguente deduzione logica è che il nostro mondo (e tutto ciò che esiste) è un’illusione creata dai nostri pensieri e dalla nostra coscienza. Sembrerebbe dunque che la presenza dell’osservatore, il nostro Ego, sia in grado di modificare la realtà stessa.

 

 

E’ realtà è unica, soggettiva e quindi diversa da quella degli altri. Il prisma attraverso il quale guardiamo il mondo è frutto di un insieme di fattori. Alla formazione di una realtà unica, soggettiva e quindi diversa da quella degli altri, contribuisce innanzitutto la nostra cultura di appartenenza, la quale, in genere, definisce un contesto religioso che, a sua volta, convoglia una determinata struttura di valori.

Sul piano individuale entrano in gioco fattori quali il destino, le condizioni sociali, la fortuna, le circostanze, il talento, le opportunità ma soprattutto ciò che apprendiamo e come lo apprendiamo. Possiamo dunque ipotizzare che la realtà che viviamo non è l’unica e che quella vissuta dalle altre persone è altrettanto “vera” (“L’universo è immenso come la nostra capacità di percepirlo” - Bandler e Grinder). Per restare nel campo della Programmazione Neurolinguistica possiamo usare un’espressione che ne è tipica e cioè che “la mappa non è il territorio”.

 

A prescindere dall’oggetto di adorazione (sia esso uno Spirito, il Sole o un vulcano), le religioni scandiscono e danno un ritmo alla vita e al tempo dell’uomo. Esse definiscono inoltre i limiti del mondo all’interno dei quali l’uomo può muoversi senza cadere nella condanna dei sui simili.

Ogni religione, e le norme sociali che queste definiscono, scaturisce dall’interazione con fattori preesistenti quali il contesto geografico e ambientale, le credenze, i valori, le paure e le necessità dei suoi seguaci.  I valori che una religione propone indicano gli ideali a cui gli esseri umani aspirano ed assumono una connotazione normativa. Insieme ad altri fattori quali tradizione, miti, credenze e necessità imposte dall’ambiente essa contribuisce a creare una struttura di valori o una piramide degli stessi. Ogni religione, in altre parole, fornisce all’uomo un’immagine del mondo. Immagine dentro la quale egli si muove per il resto della sua vita. Non si tratta,  infatti, di ideali astratti ma, al contrario, di dettami che ne guidano il suo comportamento. Enunciati quali: questo è “buono”, questo è “giusto” o è “legittimo”, diventano allora qualcosa non solo di oggettivamente importante, ma anche di soggettivamente desiderato e orientano l’agire umano (es: mantenere la parola data).

 

Questo accade soprattutto in quel lasso temporale che comprende infanzia e adolescenza, nel quale siamo permeabili ad assorbire quelle informazioni che andranno poi a formarci in profondità e che ci diranno sempre da dove veniamo. Questi insegnamenti ed informazioni giungono fino a noi attraverso miti e storie, religioni antiche e cosmogonie, ma anche paure e necessità ancestrali che ci vengono trasmesse non solo attraverso un’educazione scolastica strutturata ma anche in modo indiretto o innocente attraverso giochi, storie, racconti, filastrocche, etc.

 

Fino a questo punto abbiamo parlato di fattori che contribuiscono a formare la struttura mentale di un gruppo o una collettività senza entrare nel merito delle differenze soggettive, all’interno di questo o quel gruppo, e senza considerare il mutamento al quale la nostra struttura di valori è soggetta.

 

Durante gli anni di crescita il mutamento dei valori avviene, in genere, tramite l’indebolimento del valore precedente (che si conserva rimanendo però inattivo) e l’introduzione di uno successivo. Pensiamo, per esempio, alla figura di Babbo Natale, la quale dopo una certa età (orientativamente versi gli 8 anni) tende a sbiadire e a trasformarsi in una credenza inerte per essere poi sostituita da una più credibile e consona ad un’età più matura. E’ facilmente comprensibile che questo mutamento di valori non solo è auspicabile ma è soprattutto necessario.

 

Consideriamo come secondo esempio il valore “Non uccidere” e il valore “Ubbidienza”.

Se li poniamo in un’ipotetica scala gerarchica nella quale “Non uccidere” si colloca in una posizione sovrastante rispetto al valore “ubbidienza”, si comprende facilmente come sarà altamente complicato indurre una persona a commettere omicidio. Se, al contrario le due posizioni gerarchiche si invertono (con il valore “Ubbidienza” sovrastante quello “Non uccidere”), la situazione cambia notevolmente.

Se il valore della salvezza è molto sentito e sta al vertice della piramide il comportamento ne sarà inevitabilmente influenzato. Cominceremo a pensare: “Non uccidere.… a meno che” e ad ammettere di conseguenza l’omicidio in presenza di determinate condizioni (per esempio in guerra, per legittima difesa, in nome di dio, oppure nella caccia). Si nota dunque come lentamente ci si allontana da una posizione univoca. Quando è legittimo pensare che sussistano questo tipo di condizioni? La risposta non può che essere soggettiva.

 

Possiamo dunque affermare che non è possibile attribuire ai singoli valori un’interpretazione univoca ed assoluta. A rendere la situazione più complessa è il fatto che i valori sono organizzati in un “sistema” che è munito di una propria logica, combinazione e gerarchia e con delle priorità.

Tale organizzazione interna è soggetta ad interazione ed è tenuta insieme dal linguaggio (verbale, non verbale, meta-verbale), il quale permette la comunicazione tra il “dentro” e il “fuori” e crea delle connessioni semantiche che organizzano i valori stessi. Watzlawick in proposito sostiene che l’essere umano si trova costantemente alla mercè di influenze di cui è inconsapevole (derivanti da una comunicazione indiretta e non verbale): “l’esperienza clinica suggerisce che questo meccanismo è presente soprattutto nell’interazione famigliare grazie all’intimità emotiva”.

L’ambiguità e l’astrattezza del linguaggio contribuiscono a spostare le varie voci nella gerarchia dei valori, creando lievi differenze anche tra persone che hanno non solo la stessa religione ma anche la medesima educazione, esperienze e background. A questo punto possiamo concludere che, quella struttura di valori iniziale che appartiene al gruppo, presenta grandi differenze sul piano soggettivo  e che queste differenze, con il trascorrere del tempo e le esperienze di vita, possono ulteriormente amplificarsi in quanto anche la struttura di un soggetto che ha raggiunto la piena maturità può subire variazioni.

 

 

L’uomo percepisce solo una parte del Tutto.  L’uomo, nella sua esperienza terrena, percepisce solo una parte del Tutto. Per entrare in contatto con il mondo che lo circonda l’uomo dispone di alcuni mezzi che sembrano però essere limitati. Gli strumenti dei quali egli dispone gli permettono di orientarsi nel suo ambiente, in quel mondo “solido” che sperimenta attraverso i 5 sensi (vista, olfatto, udito, gusto e tatto). Fin dalla nascita sono proprio questi strumenti, che gli insegnano a considerare ciò che vede/vive come “la realtà” e a considerare che tale realtà è unica e condivisa. Come possiamo essere sicuri che la realtà a noi famigliare, la realtà dei 5 sensi sia tutto ciò che esiste? E se esiste qualcosa al di là della nostra percezione cosa possiamo fare per averne esperienza?

 

 “La musica, quest’arte complessa e misteriosa, precisa come l’algebra e fluttuante come un sogno, fatta di matematica e di brezza, non nasce se non dalla strana proprietà di una piccola membrana. Se questa membrana non esistesse, non esisterebbe il suono, dato che il suono stesso non è che una vibrazione. Senza l’orecchio potremmo noi indovinare la musica? No. Ebbene! Noi siamo circondati di cose di cui mai avvertiremo l’esistenza, perché ci mancano gli organi atti a segnalarle”. Con queste parole Guy de Maupassant ipotizza con grande efficacia l’esistenza di un mondo che va al di là della nostra percezione.

 

E’ interessante collegare, a tal proposito, due concetti espressi da due personaggi completamente diversi tra di loro, sia per cultura che per esperienze personali. Uno è il filosofo, Ludwig Wittgenstein, e l’altro lo sciamano don Juan Matus, il famoso “brujo” studiato negli anni sessanta da Carlos Castaneda. Wittgenstein, nel Tractatus logico-philosophicus, con la sua famosa frase I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”, ci ricorda come l’uomo continui a sbattere contro la gabbia che segna il limite del suo mondo. Seppur con parole differenti il filosofo austriaco sembra, tuttavia, descrivere le medesime conclusioni sulla realtà sostenute da don Juan e riportate da Castaneda: i nostri pensieri creano il mondo così come lo vediamo e fermare il pensiero  significa “fermare il mondo” e vedere le cose come sono veramente: pura energia.

 

Lo sciamano don Juan sostiene che la realtà sia costituita da campi di energia da lui definiti “le emanazioni dell’aquila”. Queste innumerevoli emanazioni si riuniscono in fasce e ogni fascia costituisce un mondo separato. Due di queste fasce, quella che raggruppa la vita organica e quella che raggruppa strutture prive di coscienza come liquidi, gas e minerali, sarebbero le sole percepibili all’uomo. La banda di emanazioni degli esseri organici è però molto più ampia. Il genio e la stupidità, le sensibilità particolari o le percezioni extrasensoriali sarebbero da attribuire al fatto che il soggetto non percepisce in modo corretto tutte le emanazioni della banda dell’uomo. Le nostre percezioni abituali dunque sono molto ridotte rispetto a quelle possibili e noi viviamo come animali con i paraocchi. L’universo consisterebbe di due mondi paralleli, il primo di questi chiamato tonal (il mondo delle cose materiali) e il secondo nagual (il mondo delle cose non materiali). Confidando nei mezzi di cui dispone (i cinque sensi), l’uomo è capace di esprimere una prima attenzione che gli permette di comunicare con il mondo materiale. Tuttavia per diventare capaci di percepire il nagual egli deve necessariamente sviluppare la seconda attenzione. E chi non vorrebbe imparare a farlo?

 

Disponiamo di qualche indicazione per arrivare alla chiaroveggenza. Nella vita quotidiana è la posizione di ciò che Castaneda chiama “punto d’unione” a determinare quale banda di emanazioni verrà selezionata dalla nostra percezione. La percezione del nostro mondo quotidiano è data dall’usuale posizione di tale punto, localizzabile all’incirca dietro e ad una certa distanza dalla nostra testa. Ogni volta che focalizziamo un oggetto fissiamo il nostro sguardo in un certo punto (più in alto, più in basso, a destra, a sinistra, sopra o dietro tale oggetto). Questo determinerebbe il nostro punto vista, la nostra realtà abituale. Esercizi particolari di focalizzazione ci aiuterebbero a spostare il punto di unione permettendo l’allineamento di emanazioni della banda dell’uomo che in genere vengono scartate. Ad ostacolare questo processo sarebbe però il nostro pensiero che ricrea costantemente il mondo così come lo vediamo (o meglio, così come ci è stato insegnato a vederlo).

Una prima conclusione potrebbe essere che il nostro linguaggio esprime i nostri pensieri senza poterne superare i limiti, ma i nostri pensieri, limitando la nostra percezione ad una limitata banda di emanazioni e senza necessariamente essere espressi, creano in tal modo la nostra prigione.

I pensieri che attraversano la nostra mente, quindi, finiscono per renderci liberi come un treno lanciato a tutta velocità sulle rotaie.

 

 

Il nostro mondo e tutto ciò che esiste è un’illusione. Sono veramente i pensieri e la coscienza gli artefici della realtà che viviamo? Accettare quest’idea implica che il nostro mondo e tutto ciò che percepiamo è una illusione. Se si considera quanto esprimono in materia le varie teorie mistiche e teologie si constata che la maggioranza di esse sostiene quest’idea e provi a dare una risposta in questa direzione. La cosmogonia cinese descrive l’uomo come un essere di luce incarnato. La meditazione buddista arriva a dichiarare gli aggregati materiali irreali, perchè non persistenti. Ma stiamo parlando della stessa cosa? La pura energia di cui sarebbe fatto il mondo descritto dagli sciamani è lo stesso Qi di cui parlano buddismo e taoismo? E’ il Prana degli indiani che tutto pervade e tutto collega? Anche per l’antica tradizione Veda tutto è un flusso di energia.

 

A sostegno delle ipotesi espresse dalle filosofie orientali ci sono diverse argomentazioni “scientifiche”. Un atomo è per il 99,999999999% spazio vuoto e anche il nostro corpo è quasi completamente spazio vuoto. Possiamo aggiungere che, noi non siamo la materia della quale siamo fatti in quanto non siamo solo corpo fisico ma è il qualcosa di più che ci dona la vita. E ancora, la maggior parte degli atomi dei quali eravamo fatti, che componevano il nostro corpo fisico quando eravamo bambini, non è più parte di noi una volta divenuti adulti. Quindi, cos’è un essere umano?

 

La Tradizione Orientale, in generale, vede l’uomo come un’entità energetica e sostiene che l’universo è retto dalla luce e l’uomo è luce incarnata. La luce ha un comportamento duale: come onda nella sua manifestazione Yang e come particella nella sua manifestazione Yin. L’unità, deriverebbe dall’unione/complementarietà della luce corpuscolare Yin con la luce ondulatoria Yang. Partendo da questi concetti si arriva all’Ottogramma di Fu-Shi che contiene la struttura di base che sta dietro la creazione dell’uomo. Quattro trigrammi della non-forma rappresentanti il Cielo Anteriore contengono “l’idea dell’idea dell’uomo”. Quattro trigrammi della forma che rappresentano il Cielo Posteriore contengo “l’idea della forma dell’uomo”.

 

Tutto ciò assomiglia terribilmente alle tante teorie New Age che spopolano nelle nostre palestre.

Se non fosse che la Medicina Tradizionale Cinese è praticata con efficacia da alcune migliaia di anni e nella pratica medica portare alla guarigione significa riportare l’uomo a vivere in modo adeguato (il non fare questo ha generato la malattia), poiché si è persa la relazione/connessione con l’Universo. E’ necessario dunque riallineare l’idea e la forma dell’uomo ipotizzata nell’Ottogramma di Fu-Shi.

 

 

Esiste una realtà superiore che contiene tutte le singole realtà. Tradizioni antiche e lontane, sviluppatesi in modo originale, arrivano a conclusioni simili sull’esistenza di una sorta di mondo matrice e descrivono l’azione di un qualche ingannevole meccanismo a causa del quale siamo tutti condannati a condividere la percezione di un mondo “solido”. Superare il confine del mondo solido, scostare il “velo di Maja”, è prerogativa di pochi saggi, eletti o iniziati. Sono soltanto loro, al momento, a parlarcene e a raggiungere tali confini tramite pratiche di meditazione, pratiche mistiche e di estasi. Poter intervenire e modificare la realtà su un piano superiore significa quindi modificare le nostre condizioni terrene.

 

E’ la Maja, il velo dell’inganno che ricopre gli occhi dei mortali, e fa loro vedere un mondo, di cui non si può dire che sia né che non sia, giacché è come il sogno….” Schopenauer.

Per Maja si intende generalmente l’illusione del mondo materiale. Secondo la teologia Vedanta però tale concetto è più elaborato e profondo. La capacità illusoria di Krishna si manifesta in Mayadevi, conosciuta semplicemente come “Maja”, ed ha il compito di far apparire normale la vita materiale. L’energia di Maja, in assenza della quale l’universo sarebbe in constante disordine, è reale ed è necessaria come la gravità che ci fa rimanere ancorati a terra. Potremmo dire che Maja è la gravità psichica. Tramite la meditazione si può imparare a scostare leggermente il velo della fisicità in modo che il Sé veda la illusoria realtà che ci circonda e raggiunga l’auto-realizzazione.

 

Anche la Kabbalah, nel tentativo di dare una risposta all’interrogativo di quale sia il significato ultimo della vita, dirige la propria attenzione a come la consapevolezza umana influisca sulla realtà. Noi non viviamo in un mondo di cause ma in un mondo di effetti. Viviamo al livello del ramo ignorando che la radice di ciò che avviene in questo mondo si trova nel mondo spirituale superiore (ne esisterebbero cinque) di cui noi non abbiamo alcuna percezione. Siamo circondati da una realtà oggettiva ma il nostro software ci permette di percepirne, attraverso i 5 sensi, solo alcuni aspetti.

 

 

La presenza di un osservatore, l’Ego, modifica la realtà, che per essere sperimentata necessita della presenza della coscienza. In assenza di questa nulla può esistere. Prendiamo come esempio i nostri sogni notturni: essi non scorrono incessantemente nella nostra mente (come un televisore lasciato acceso), bensì è vero l’esatto contrario e cioè essi si attivano solo grazie alla nostra coscienza, senza la quale ne verrebbe minata la loro stessa esistenza. La vita dell’uomo è dunque come un sogno notturno? Tutti contribuiscono con la loro consapevolezza a confermare il mondo così come lo vediamo. Potremmo ipotizzare che come un corpo di massa maggiore attrae quello di massa inferiore, anche la sommatoria delle consapevolezze crea una attrazione per la singola mente che tenta di uscire dalla consapevolezza ordinaria? La coscienza però non solo conferma il mondo solido ma sembra creare anche il Tempo lineare. Come in una pellicola di un film, ogni singolo nanosecondo sulla linea del tempo è una nuova realtà, non perchè non è mai esistita ma nuova per la nostra coscienza. Ogni fotogramma è quasi uguale a quello precedente. Non siamo noi a muoverci in un mondo esterno, o sulla linea del Tempo lineare, ogni nanosecondo bensì cambia il mondo dentro di noi ogni nanosecondo.

 

 


CONCLUSIONI:

La realtà è una nostra creazione e la creazione della realtà avviene prima di tutto nell’interiorità dell’individuo, in uno stato di coscienza più profondo di quello di cui siamo ordinariamente consapevoli. Esiste un mondo solido, il mondo che percepiamo nella vita quotidiana, che non ha un’esistenza propria ma è tale in quanto creato dai nostri pensieri e dalla nostra coscienza. E’ il dialogo interiore a creare o a suggerire i pensieri che a loro volta creano il mondo, la prigione all’interno della quale ci muoviamo. Questa è la realtà quotidiana nella quale siamo immersi.

 

Per il don Juan di Castaneda il segreto di ogni stregone sta nel fermare il dialogo interno. Inibirlo o bloccarlo significa fermare i pensieri che a loro volta creano la prigione. Le meditazioni orientali indicano la meditazione e il vuoto mentale come mezzo per raggiungere l’illuminazione. La vibrazione del Tamburo utilizzato nelle sedute sciamaniche interrompe i pensieri e permette l’accesso al mondo superiore.

 

Accettare una realtà alternativa fatta di flussi di energia rende impossibile affermare “questa è la realtà” perché tutto è in continuo movimento. Ogni realtà esistente, a dispetto della nostra visione statica del mondo, cambia anche impercettibilmente di attimo in attimo, e non è più ciò che era un momento prima. Non è possibile neppure stabilire ciò che le cose sono veramente, stabilire cioè la realtà servendosi della linea del tempo lineare, poiché anche questa sembra essere una costruzione della nostra mente. D’altra parte ipotizzare un’immobilità assoluta nel mondo superiore sembra del tutto illogico ed irragionevole. Ma se davvero tutto muta continuamente ed incessantemente allora l’intera realtà è riducibile ad un eterno gioco di ombre visto che ogni cosa non è più ciò che era prima ma non è ancora ciò che sarà un attimo dopo.

 

Una realtà che non si arresta mai ci riempie di terrore e il divenire non soddisfa la maggior parte di noi. Ma perché? Il mutamento della realtà ci preclude la sua conoscenza? In fondo solo questo permette all’uomo di divenire ciò che è. Immaginiamo un essere senza divenire e senza evoluzione. Oppure un mondo, una vita dove tutto è permanente, in completa stasi, nell’immobilità senza evoluzione né progresso. Dovremmo immaginare una vita basata su aspettative diverse. Cosa faremmo? A cosa tenderebbe l’uomo? A cosa servirebbe faticare per migliorare se stessi e l’umanità?

 

Gabriele Baroni

 

Bibliografia:

 

1)      Bandler Richard e Grinder John, Programmazione Neurolinguistica, Astrolabio

2)      Castaneda Carlos, Las enseñanzas de don Juan, FCE

3)      Eliade Mircea, Sciamanismo, Edizioni Mediterranee

4)      Padilla Corral José Luis, Curso de Acupuntura, Miraguano Ediciones

5)      Watzlawick Paul, La realtà della realtà, Astrolabio

6)      Watzlawick Paul, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio

7)      Wittgenstein Ludwig, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi




Aggiunto il 30/09/2015 16:46 da Gabriele Baroni

Argomento: Antropologia filosofica

Autore: Gabriele Baroni



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