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Recensione dello studio di Paolo Galluzzi, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di Galileo, Firenze, Olschki, 2011





               Recensione dello studio di Paolo Galluzzi, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di Galileo, Firenze, Olschki, 2011


                                                                                        di Davide Orlandi


L'obiettivo perseguito dall'autore all'interno del proprio studio è quello di analizzare le fasi evolutive della concezione galileiana della materia.

Un'analisi, quella di Galluzzi, condotta nel segno della continuità, poiché l'autore tiene a sottolineare più volte come il progetto galileiano, fin dal 1609, avesse raggiunto livelli di completezza estremamente avanzati, al punto da rendere possibile ritrovare, cinque anni dopo la condanna inflitta a Galileo, gli stessi teoremi elaborati nei primi decenni del Seicento pubblicati all'interno delle giornate dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638).

A proposito poi del progetto galileiano, del grandioso progetto galileiano di unificazione fra fisica terrestre e fisica celeste, Galluzzi ricorda più volte come la condanna del copernicanesimo inflisse a questo incredibile programma culturale un colpo quasi mortale, tale che Galileo fu costretto a occultare ogni riferimento alla connessione tra visione copernicana e concezione atomistica.

La possibilità di un'analisi puntuale sulla natura delle particelle ultime della materia (una materia che già dal titolo dello studio si intuisce essere sospesa “tra atomi e indivisibili”, e dunque definita “ambigua”) è un'impresa resa piuttosto complicata dal fatto che non sia possibile individuarne, in tutta l'opera di Galileo, una trattazione completa e dettagliata, poiché il suo interesse per la struttura della materia fu un riflesso dell'interesse galileiano per l'ipotesi copernicana e le leggi del moto. A questo proposito, Galluzzi tiene inoltre a precisare come Galileo sia stato costretto a occultare la programmatica connessione della concezione eliocentrica con le proprie ricerche sul movimento e sulla struttura della materia.

Appurate le cause di questa difficoltà, la ricostruzione della concezione della materia galileiana verrà dunque principalmente condotta attraverso l'analisi di tre scritti: il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua (1612), Il saggiatore (1623) e i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638).

Per quanto riguarda la prima opera citata, il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua (1612) rappresenta uno scritto nel quale il dibattito sul galleggiamento dei corpi diventa occasione per una discussione sugli elementi costitutivi della materia.

Il modello di Galileo è Archimede: l'unica causa del galleggiamento o dell'affondamento dei corpi sta, non nella forma e nella resistenza del liquido (come volevano gli aristotelici), ma nella maggiore o minore gravità specifica del solido in relazione all'ambiente, e l'unica ipotesi conciliabile con il principio di Archimede è che l'acqua si trovi in uno stato atomico.

Galileo fa, a questo proposito, specifico riferimento ai cosiddetti “atomi ignei” della tradizione degli atomisti greci (e di Democrito in particolare):


Passa poi al confutar Democrito, il qual, per sua testimonianza, voleva che alcuni atomi ignei, li quali continuamente ascendono per l' acqua, spignessero in su e sostenessero quei corpi gravi che fossero molto larghi, e che gli stretti scendessero al basso, perché poca quantità de' detti atomi contrasta loro e repugna.1


Per quanto riguarda invece Il saggiatore (1623), oltre all'occasione per rispondere a Orazio Grassi, rappresenta per Galileo anche l'occasione per esporre le proprie ipotesi corpuscolari, e in particolare la propria ipotesi corpuscolare riferita al calore.

Galileo postula infatti l'esistenza di particelle invisibili di materia che agiscono sugli organi sensoriali e provocano una risposta soggettiva chiamata calore (mentre per Aristotele il calore era proprietà reale del corpo):


Per tanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch'ella è terminata e figurata di questa o di quella figura, ch'ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch'ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch'ella si muove o sta ferma, ch'ella tocca o non tocca un altro corpo, ch'ella è una, poche o molte, nè per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch'ella debba essere bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l'imaginazione in se stessa non v'arriverebbe già mai. Per lo che vo io, pensando che questi vapori, odori, colori etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente la residenza nel corpo sensitivo, si che rimosso l'animale, sieno levate e annichilite tutte questa qualità [...]2


Ciò che esiste nell'oggetto e che produce una sensazione è dunque materia in movimento: particelle di varia grandezza, forma, quantità e velocità urtano contro gli organi sensoriali e danno origine a differenti sensazioni.

Più specificamente, sono gli elementi (la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria e la luce) a colpire gli organi di senso e a dare origine, rispettivamente, al tatto, al gusto, all'odorato, all'udito e alla vista.

A questo proposito, i passi tratti dalle pagine del Saggiatore di seguito citati descrivono il diverso modo di percepire le particelle da parte di ogni nostro organo sensoriale.


Il tatto:
Un corpo solido, e, come si dice, assai materiale, mosso ed applicato a qualsivoglia parte della mia persona, produce in me quella sensazione che noi diciamo tatto, la quale, se bene occupa tutto il corpo, tuttavia pare che principalmente risegga nelle palme delle mani, e più ne i polpastrelli delle dita, co'quali noi sentiamo piccolissime differenze d'aspro, liscio, molle e duro, che con altre parti del corpo non così bene le distinguiamo; e di queste sensazioni altre ci sono più grate, altre meno, secondo la diversità delle figure de i corpi tangibili, lisce o scabrose, acute o ottuse, dure o cedenti: e questo senso, come più materiale de gli altri e ch'è fatto dalla solidità della materia, par che abbia riguardo all'elemento della terra.3

Il gusto e l'odorato:

[…] quei minimi che scendono, ricevuti sopra la parte superiore della lingua, penetrando, mescolati colla sua umidità, la sua sostanza, arrecano i sapori, soavi o ingrati, secondo la diversità de' toccamenti delle diverse figure d'essi minimi, e secondo che sono pochi o molti, più o men veloci; gli altri, che accendono, entrando per le narici, vanno a ferire in alcune mammillule che sono lo strumento dell'odorato, e quivi parimente son ricevuti i lor toccamenti e passaggi con nostro gusto o noia, secondo che le lor figure son queste o quelle, ed i lor movimenti, lenti o veloci, ed essi minimi, pochi o molti. E ben si veggono providamente disposti, quanto al sito, la lingua e i canali del naso: quella, distesa di sotto per ricevere l'incursioni che scendono; e questi, accommodati per quelle che salgono: e forse all'eccitar i sapori si accommodano con certa analogia i fluidi che per aria discendono, ed a gli odori gl'ignei che ascendono.4


Per quanto riguarda l'udito, secondo Galileo il nostro percepire un suono dipenderebbe da una sorta di onda increspata e dal suo colpire la cartilagine del timpano del nostro orecchio, mentre riserva alla vista una descrizione simile a quella elaborata per gli altri sensi.

A proposito della vista, nella fisica galileiana la luce doveva avere una funzione importantissima, poiché Galileo pensava che la luce fosse fonte di vita, nonché il cominciamento universale della natura:


[…] parermi che nella natura si trovi una substanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale, diffondendosi per l'universo, penetra per tutto senza contrasto, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le viventi creature; e di questo spirito par che 'l senso stesso ci dimostri il corpo del sole esserne ricetto principalissimo5


La luce, dunque, quale ultimo stadio di risoluzione della materia alla quale spettano atomi speciali, ossia indivisibili:


E forse mentre l'assottigliamento e attrizione resta e si contiene dentro i minimi quanti, il loro moto è temporaneo, e la lor operazione calorifica solamente; che poi arrivando all'ultima ed altissima risoluzione in atomi realmente indivisibili, si crea la luce [...] potente per la sua non so s'io debba dire sottilità, rarità, immaterialità [...]6


Riassumendo, Galileo ne Il saggiatore sostiene che calore, suono, odore e sapore siano nozioni che non accompagnano necessariamente il concetto di corpo, e che non siano dunque realtà oggettive, ma soltanto nomi (il calore non sarebbe quindi altro che un semplice vocabolo).

Galilei afferma inoltre la sua inclinazione a credere che ciò che in noi produce la sensazione di calore «siano una moltitudine di corpicelli minimi in tal e tal modo figurati, mossi con tanta e tanta velocità»7 e che il loro contatto con il nostro corpo, da noi avvertito, sia ciò che chiamiamo “calore”: oltre alla figura e alla moltitudine di questi corpicelli, al loro moto, alla penetrazione e al toccamento di questi, non ci sarebbe dunque da ricercare nel fuoco altre qualità.

Il mondo reale è quindi per Galileo contesto di dati quantitativi, dunque misurabili, di spazio e di corpicelli minimi che si muovono nello spazio (e il sapere scientifico è in grado di distinguere ciò che nel mondo è oggettivo e reale e ciò che è invece soggettivo e relativo alla percezione dei sensi).

Durante tutta la discussione sulle qualità primarie e secondarie Galilei evita di ricorrere al termine “atomo” e parla piuttosto di “corpicelli minimi”, “minimi ignei”, “minimi del fuoco” e “minimi quanti”: questo a causa della teoria teologicamente pericolosa che nega il miracolo della transustanziazione nell'Eucarestia e che è insita nell'utilizzo di questo vocabolo (a questo proposito può essere utile ricordare come già padre Orazio Grassi avesse messo in rilievo la vicinanza fra le tesi di Galileo e quelle di Epicuro, così da bollare Galileo come un negatore di Dio e della Provvidenza).

Il Concilio di Trento aveva sancito, nel 1563, l'impossibilità di ogni tentativo di conciliazione fra l'ortodossia e ogni forma di atomismo: «Se qualcuno afferma che nel Santissimo Sacramento dell'Eucarestia permane la sostanza del pane e del vino insieme con il corpo e il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo e nega questa miracolosa e unica conversione di tutta la sostanza del vino nel sangue che lascia sussistere le apparenze del pane e del vino – conversione che la Chiesa cattolica appropriatamente chiama transustanziazione – sia anatema».

La riduzione delle qualità sensibili al piano della soggettività conduce invece ad un aperto conflitto con il dogma dell'Eucarestia: quando le sostanze del pane e del vino vengono transustanziate nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo sono in esse presenti anche le apparenze esterne quali il colore, l'odore e il gusto, ma per Galilei il colore, l'odore e il gusto sono solo nomi per riconoscere i quali non occorre certo l'intervento miracoloso di Dio.

Nel suo ultimo libro, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638), Galilei torna sull'argomento della costituzione della materia, tuttavia cambiando la versione data nel Saggiatore: secondo Redondi8 per paura che l'antica denuncia per eresia venga nuovamente alla luce, mentre Galluzzi la giudica una scelta coerente al progetto galileiano di sempre, ossia quello di stabilire una stretta corrispondenza tra natura e matematica poiché il libro della natura è scritto in caratteri matematici.

La prima occorrenza del termine “ultimi indivisibili” è rintracciabile all'interno della definizione delle particelle nelle quali i metalli sono risolti dall'acquaforte: “un metallo resta nell'acqua forte senza descendere, perché la mistione è fatta per gli ultimi indivisibili”, e questo termine verrà largamente impiegato nella Giornata Prima dei Discorsi per indicare i componenti ultimi della materia, privi di estensione e infiniti, i quali, inframezzati da vuoti, anch'essi inestesi e infiniti, compongono corpi materiali di dimensioni diverse.


Salv. Passo ora ad un’altra considerazione, ed è, che stante che la linea ed ogni continuo sian divisibili in sempre divisibili, non veggo come si possa sfuggire, la composizione essere di infiniti indivisibili, perché una divisione e subdivisione che si possa proseguir perpetuamente, suppone che le parti siano infinite, perché altramente la subdivisione sarebbe terminabile; e l’esser le parti infinite si tira in consequenza l’esser non quante, perché quanti infiniti fanno un’estensione infinita: e così abbiamo il continuo composto d’infiniti indivisibili.9


I corpi dei Discorsi sono dunque composti da un numero infinito di piccole particelle infinitamente indivisibili, a loro volta intervallate da un'infinità di vuoti infinitamente piccoli.






  • 1G. Galilei, Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua, in Opere, vol. I, a cura di F. Brunetti, Torino, UTET, 2005, p. 504.


2G. Galilei, Il saggiatore, in Opere, vol. I, a cura di F. Brunetti, Torino, UTET, 2005, p. 777-778.

3Ivi, p. 779.

4Ivi, p. 780.

5Lettera a P. Dini, 23 marzo 1615.

6G. Galilei, Il saggiatore, in Opere, vol. I, a cura di F. Brunetti, Torino, UTET, 2005, p. 783.

7Ivi, p. 781.

8P. Redondi, Galileo eretico, Laterza, 2009.

9G. Galilei, Discorsi intorno a due nuove scienze, in Opere, vol. II, a cura di F. Brunetti, Torino, UTET, 2005, p. 605.




Aggiunto il 04/06/2017 10:00 da Davide Orlandi

Argomento: Storia della Filosofia

Autore: Davide Orlandi



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