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QUANDO GLI ESTREMI SI TOCCANO: ATTUALITÀ DELLA FISICA DI EMPEDOCLE.

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di Antonio Marino e Benito Marino

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Il movimento è un concetto che ha sempre affascinato i pensatori antichi e gli scienziati contemporanei.  

Dalle nostre esperienze quotidiane sappiamo che il perfetto equilibrio per un corpo non esiste, a causa di molteplici perturbazioni esterne che producono un incessante movimento. 

Consideriamo un esempio semplice: una penna su un tavolo è ferma per specifici periodi temporali, ma non per sempre, in quanto anche una piccola perturbazione, come il vento proveniente da una finestra, può farla rotolare perpetuamente e in modo irregolare sul tavolo.  Come si genera, dunque, il movimento?

Se ponessimo tale domanda ad un bambino, egli ci risponderebbe pressappoco così: “quando calcio un pallone…, quando spingo il mio compagno antipatico, …quando lancio un aereo di carta…”, tutte azioni in cui si imprime una forza di contatto iniziale. Questa stessa risposta l’avrebbe data Aristotele tanti anni fa, definendo quel movimento come violento e dicendo che qualsiasi forza causa un movimento, «"... che l’oggetto mosso sia mosso da qualcosa appare con chiarezza nelle realtà che si muovono ... perché è ben visibile quello che è mosso da altro» (Arist., Fsica, Ed. Bompiani, 2011, VIII, 4, 254 b 25) e per contro più avanti [255a] «… Ora una realtà che sia una e continua non per contatto, per ciò stesso non potrebbe subire <un’azione>, ma è <solo> in quanto per natura è separata che da una parte può agire e dall'altra subire [25] ... è necessario che in ciascun essere la causa del movimento sia separata dalla parte mossa ... a queste realtà capita sempre d’essere mosse da qualcos'altro e ciò risulta evidente a chi ben distingue le cause [20]».

Ma è veramente così? 

Ragioniamoci su con questo semplice esperimento: prendiamo la penna di prima e invece di poggiarla su un tavolo, poggiamola su un libro, dopo di che con un dito imprimiamogli una forza; quello che osserviamo è che la penna si muove, quindi saremmo tentati di dire che Aristotele ha ragione. Ripetiamo il semplice esperimento variando l’inclinazione del libro, senza imprimere alcuna forza. Quello che si osserva è che, raggiunta una certa inclinazione del libro, la penna scivola liberamente. Che cosa è accaduto? 

La penna scivola ad una precisa inclinazione del libro, perché la componente della forza di gravità (diretta verso il basso) e parallela al piano del libro è più intensa della forza d’attrito che è diretta verso la sommità del libro stesso e quindi opposta alla forza di gravità. Di conseguenza deduciamo che il movimento non è il risultato di una singola forza, ma è una contrapposizione di due forze di diversa natura: una forza di gravità che attira la penna verso il centro di gravità e l’attrito che si oppone al movimento della penna dal centro di gravità. Sarà Empedocle a sostenere, per primo, che le cause sono molteplici ed eterne non immortali in quanto autogenerantesi nel Caos dello Sfero, «… perciò sono in divenire e non è stabile la loro eterna vita; e in quanto questi non finiscono mai mutandosi di continuo, perciò in eterno sono questi esseri inamovibili, dentro il ciclo.» [Phys., 22] e gli enti non si generano dal niente e non si corrompono nel niente, il loro stesso divenire non può essere determinato dal niente, ma da una forza, anzi da un sistema di forze. Infatti fu un pensatore che basò il movimento e quindi la vita del cosmo su “forze contrapposte” una di attrazione chiamata “Amore” e l’altra di separazione chiamata “Contesa” o “Odio”.

A vicenda predominano [gli elementi] nel ciclo ricorrente,

periscono l’uno nell'altro e si accrescono nella vicenda del loro destino.

Questi soli, appunto, sono gli elementi, ma, precipitando l’uno nell'altro,

nascono gli uomini e le altre stirpi di fiere,

una volta riuniti ad opera dell’Amicizia in un solo cosmo,

una volta separati ciascuno per sé ad opera dell’odio della Contesa,

fino a che, combinandosi essi insieme, il tutto ne emerga unitario,

E così, come l’uno ha appreso ormai a nascere dal mol­teplice

e il molteplice, di nuovo, dal dissolversi dell’uno,

in tal modo essi divengono e la loro vita non è salda;

e come non cessano di mutare continuamente,

così sempre sono immobili durante il ciclo. [Simplicio, Phys. B 26]

A tal proposito si potrebbe a questo punto obiettare, che in realtà Empedocle concepiva il movimento non come una semplice lotta di Odio e Amore che ha come esito la vittoria di una delle due, ma come una “armonia”, una "commistione” in cui agiscono contrastivamente quali cause meccaniche, ossia una continua mutazione dell’una nell'altra. Ed infatti durante il moto della penna sul piano inclinato si verifica una continua trasformazione in calore, a causa della forza di attrito (Odio), di una parte dell’energia meccanica, prodotta sia dal movimento che dalla forza di gravità (Amore). In fisica tale fenomeno è chiamato dissipazione.

È chiaro che in proposito possono essere fatti molteplici esempi, come l’attrazione o la repulsione di corpi carichi o di corpi magnetici, ma sarebbe troppo riduttivo per quello che afferma Empedocle. Si potrebbe ancora contestare che, per Empedocle, Amore e Odio sono due principi fondamentali, cioè all'origine di tutte le cose, di conseguenza devono essere leggi innate nella materia circostante e non dipendere solamente da casi particolari.

Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna delle cose

mortali, né fine alcuna di morte funesta,

ma solo c’è mescolanza e separazione di cose mescolate,

ma il nome di nascita, per queste cose, è usato dagli uomini [Plutarco, adv. Col. 10, 1111f].

Ma possiamo subito altrettanto ribattere che Amore e Odio risiedono anche nella natura delle particelle elementari e il loro ciclo dà vita a continue trasformazioni, chiamate in Fisica: trasformazioni di fase. Le particelle possiedono un momento di rotazione intrinseco chiamato spin (dall’inglese = trottola) che viene rilevato nel momento in cui si accende un campo magnetico. Il valore intero o semintero dello spin dà vita ad una diversa distribuzione delle particelle tra i suoi stati energetici. Le particelle con spin intero si chiamano bosoni e quelle con spin semintero fermioni. I bosoni sono “socievoli” (Amore), perché a temperature vicino allo zero assoluto si portano tutte nello stato di energia minima (E = 0), formando così il condensato, mentre i fermioni sono “asociali” (Odio) a causa del principio di esclusione di Pauli che li fa sistemare ognuno su stati energetici diversi fino ad uno stato di energia superiore, chiamata energia di Fermi. La mescolanza tra Amore e Odio, ad esempio, può essere vista come origine di fenomeni fisici quali la superconduttività. Le vibrazioni reticolari di un materiale superconduttivo, portato a bassissime temperature, sono tali da permettere un accoppiamento di due elettroni (coppia di Cooper) e favorire un trasporto di corrente, nel materiale, senza dissipazione. In questo caso due fermioni si trasformano in un unico bosone, generandosi così una correlazione tra le particelle che non è altro che manifestazione di una mescolanza originaria delle 4 radici empedoclee tra due interazioni contrapposte, generate dalle due forze, Amore e Odio.

 Un’altra obiezione è che Empedocle non parla mai di particelle ma di elementi o radici: acqua, terra, aria e fuoco. Bene, potremmo rispondere che il filosofo non attribuisce un vero significato ai nomi di questi elementi, infatti in altre fonti troviamo nomi di divinità [31 (B6) DK, Sesto Empirico:

Per prima cosa ascolta che quattro son le radici di tutte le cose:

Zeus splendente e Era avvivatrice e Edoneo

e Nesti, che di lacrime distilla la sorgente mortale.”],

ma intuisce che le particelle possono aggregarsi in modi differenti per dare vita ai quattro stati della materia: liquido (per l’acqua), solido (per la terra), gassoso (per l’aria) e (per il fuoco) plasma. Quest’ultimo è poco conosciuto anche oggi, infatti ci vogliono elevate temperature, come quelle del Sole, per realizzare un plasma che sarebbe un “brodo” di elettroni e atomi ionizzati (ossia privati degli elettroni stessi).

È sorprendente come pensatori antichi senza osservare i fenomeni naturali in maniera diretta, come facciamo oggi con il microscopio o con diverse e più sofisticate apparecchiature, abbiano già intuito la corrispondenza dell’infinitamente piccolo con l’infinitamente grande. Un contesto da cui non è escluso il pensiero o la retta ragione (ὀρθός λόγος), perché nel filosofo agrigentino è sempre presente la considerazione piena dell’Essere. «Rispetto a ciò che è presente cresce infatti agli uomini la mente» [Aristotele, De anima, III ,3,427a 32; Methaphica, IV, 5, 1009b 19]. L’intelligenza cresce negli uomini in forza del progressivo rivelarsi dell’Essere. Il pensiero appartiene immediatamente alla fisicità, perché nasce e dipende, come tutte le altre attività vitali, dalla combinazione delle sostanze nel corpo. «Da questi elementi infatti tutte le cose in armonia sono composte e, per essi, <gli uomini> pensano, gioiscono e soffrono» [Teofrasto, De sensu, 10]. E il nostro fu talmente preso dalla natura, così intimamente legato e teso nell’approfondire ogni conoscenza, da colpire tanto la fantasia di chi lo conobbe, che i contemporanei ce lo tramandarono come un medico guaritore o un dio, e dopo aver curato una certa Pantea di Agrigento, data come spacciata dai medici, - racconta Diogene Laerzio [VIII, 67 - 71] - «levatosi dal convito, si era diretto verso l'Etna, e poi, giunto al cratere di fuoco, si gettò dentro e scomparve, volendo confermare la fama nata intorno a lui, che era diven­tato un dio; ed in seguito il fatto fu confermato, perché uno dei suoi calzari fu rilanciato in alto; infatti era solito usare calzari di bronzo. Ma Pausania si schierò contro questa tradizione




Aggiunto il 04/06/2020 17:57 da Benito Marino

Argomento: Filosofia della scienza

Autore: Antonio Marino e Benito Marino



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