Questo breve articolo costituisce essenzialmente un invito a leggere il saggio del filosofo scozzese Simon Critchley dal titolo originale Tragedy, the Greeks, and Us, tradotto ed edito in italiano con il titolo A lezione dagli antichi (giugno 2020).
Il saggio costituisce un’opera di profonda riflessione e analisi sull’origine e il significato rappresentativo della tragedia greca o attica, una forma d’invenzione artistica che, nel V secolo dell’evo antico, raccoglie l’intera eredità culturale, e quindi la tradizione del Mito; ma anche che, agli albori del nuovo evo, moderno, nasce si sviluppa e giunge fino al secolo ventesimo scorso, incentrato sul modello delle poleis di Platone e Aristotele e in fine dell’imperium del divus Cesare e di Ottaviano. Un modello unico, a diverse scale di grandezza: commensurabile. Ovvero un modello in cui l’uomo, homo, è pensato, e quindi nell’idea rappresentato come misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono.
Ma il fulcro dell’opera, come precisato, è bensì la tragedia attica. E l’autore ha sopra tutti il merito di renderlo esplicito sin dall’inizio, anticipando la sua conclusione analitica sin dall’introduzione e sottoponendola nel corso dell’opera a una critica ferrea e invasiva: la tragedia ci permette di guardare negli occhi ciò che noi non sappiamo di noi stessi (ndr: e che non sapremo mai in quanto uomini), e che tuttavia ci rende esattamente ciò che siamo. Ciò che i moderni hanno chiamato “verità” e gli antichi, saggiamente, hanno chiamato invece “fato” (A tale proposito, vi potrebbe tornare senz’altro molto utile leggere l’opera complessiva di Giorgio de Santillana e qui, relativamente al tema specifico, Fato antico e fato moderno, 1968).
Il nodo gordiano della tragedia - antica, moderna e postmoderna - concerne la relazione tra la giustizia divina, così come esattamente rappresentata dalla Dike di Parmenide, e l’esperienza o meglio la condizione umana, di cui rimane traccia essenziale e storicamente significativa, relativa alla tragica esperienza vissuta durante l’epoca del nazionalsocialismo hitleriano, nell’opera di Hannah Arendt, in particolare Vita activa pubblicata negli Stati Uniti d'America nel 1958 con il titolo più appropriato di The Human Condition.
Azzardo, personalmente, che nella tragedia la figura dell’(antico) eroe del mito è assunta dal (moderno) capro espiatorio. A differenza del Socrate di Platone, a cui anche Simon Critchley cede l’interpretazione, io credo invece che il vero Socrate (contemporaneo di Aristofane e non di Platone), e quindi il pericolo che egli simbolicamente rappresentasse in ordine al progetto moderno di edificazione della polis fosse significato (non certo dall’arte della maieutica, questo è ciò che serviva alla costruzione nuova dell’antico personaggio di cui si serve Platone al fine di mantenere una tradizione che fosse la tradizione dell’antichità) dal sacrificio della propria vita in ragione dell’esercizio o arte, appresa - viceversa questa sì (!) - dall’antichità, di sapere di non sapere. Il nuovo Socrate costituisce quindi l’emblema e l’inizio del moderno. Così come il Nazareno rappresenterà la continuità cristiana del nuovo modello della modernità, rispetto all’antichità giudaica e nella forma più estesa dell’imperialismo romano. Che giunge fino all’avvento dell’attuale postmodernità.
Scrive l’autore che: Nella Repubblica Socrate (ndr: Platone) appare ossessionato dalla questione della tirannide e del legame tra democrazia e teatro, dove la democrazia è quella che nelle Leggi (701a) Platone chiama teatrocrazia, un ordinamento teatrale – quasi una società dello spettacolo – che lascerà sempre la porta aperta alla tirannide. Per questo Platone è convinto che l’unico vero antidoto alla teatrocrazia sia la filosofia. Giudizio sintetico e assertivo, che però, per la nostra comprensione e relativa critica, richiede almeno che noi postmoderni cerchiamo di capire (?) cosa fosse e rappresentasse la tragedia per i Greci del V secolo e.a.
D’accordo con Vernant e Vidal-Naquet, Critchley trascrive il giudizio in base al quale: La tragedia propone allo spettatore un interrogativo di portata generale sulla condizione umana, i suoi limiti, la sua necessaria finitezza. Ma, come questa forma di rappresentazione possa comportare un reale pericolo di tirannia per le sorti e il destino della polis è, evidentemente, un interrogativo che occorre piuttosto spiegare. Come Alessandro, sciogliere il nodo gordiano che, qui, a mio parere, diversamente da Platone e d’accordo con Critchley, sembra invece legare l’antichità alla modernità e, entrambe, alla postmodernità: munnu era e munnu è.
La forma di governo - introdotta tradizionalmente dalla filosofia o meglio dall’arte della filosofia (e dialettica) di Platone - è quella, come anticipato, della democrazia del V secolo dell’evo antico; a immagine e somiglianza di ogni idea di democrazia passata, presente e futura. Il filosofo scozzese obietta però, saggiamente: Ma questo interrogativo (di cui appena detto, proposto anche a noi in qualità di attuali spettatori) di portata generale non aspira, come invece fa gran parte della filosofia, a elaborare una trama di concetti che sappia restituirci un’immagine del reale vera e, in virtù della sua intellegibilità, razionalmente accessibile.
Nell’era della postmodernità, al rischio della “tirannia” si contrappone sistematicamente, secondo il modello idealtipico platonico-pitagorico, quello della “demagogia”, come forme entrambe, viceversa irriducibili e incommensurabili, e quindi divine, di un’originaria e perenne separazione e divisione (come tra i Persiani di oriente e i Greci di occidente), che, legata alla condizione umana, è, mediante il Fato, destinata a restare.
Così che, e qui in fine, l’autore scrive: Alla luce di tutto ciò – ed è la mia scommessa in questo libro – possiamo ritenerci come nessun altro contemporanei di quegli altri scettici, quegli altri realisti che sono i tragici attici, e forse, passando un po' più di tempo in loro compagnia, potremmo imparare qualcosa. Buona lettura!
Aggiunto il 13/08/2020 19:41 da Angelo Giubileo
Argomento: Storia della Filosofia
Autore: Angelo Giubileo
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