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La natura del numero

La natura del numero

di Giovanni Mazzallo

Qualsiasi attività compiuta dall’essere umano risente di una specifica base di formulazione, si oserebbe dire, quasi a-prioristica che ne determina lo svolgersi, il generarsi e l’effettuarsi compiuto e perfettamente esibibile e dimostrabile. Tale base di esplicazione delle azioni umane ne rappresenta la struttura radicale e fondamentale senza la quale non avrebbe alcun senso l’agire quotidiano e non avrebbe significato l’esito delle opere praticate in ogni tipo di contesto del vissuto. Il concetto ancestrale cui infine si riduce la realtà umana e naturale, più in generale, è costituito dalla definizione del numero. Il numero è il componente ultimo della struttura ultima delle cose che si può rivelare attraverso il ragionamento logico permeato esso stesso costitutivamente di operazioni concrete fondate sull’utilizzo del numero, poiché ogni singolo processo della mente, ogni particolare attività cognitiva, ogni fenomeno osservabile in natura può essere pienamente descritto in termini numerici, nel linguaggio di quella scienza del numero che sin dai tempi più remoti è stata posta a fianco della radice suprema di ogni sorgente conoscitiva, ossia la filosofia, come forma di comprensione elevata ed attingibile per pochi iniziati dotata quasi di un sapere di tipo mistico-sapienziale, per non dire esoterico: la matematica. La matematica, nelle catene di formule che ne determinano la natura più profonda, simbolizza le dinamiche dominanti soggiacenti al divenire degli eventi che si susseguono nella realtà, in quanto descrizione esplicativa in termini quantitativi del costante cambiamento, che l’uomo continuamente osserva, delle modalità di manifestarsi delle forme naturali del mondo che non trovano miglior espressione cognitiva se non nel linguaggio formale della matematica, che, pur non rispecchiando la natura intima delle cose nella loro interiorità ontologica, cionondimeno ne rappresenta in maniera oggettiva l’evolversi perenne dando l’opportunità all’uomo non solo di comprendere dapprima in che modo i fenomeni avvengano, ma anche di dedurre, a partire da tali considerazioni di carattere essenzialmente matematico, quali siano le ripercussioni a livello non solo quantitativo, ma anche soprattutto qualitativo di presentazioni del reale in specifici modi che concedono altresì la possibilità di tentare di individuare i costituenti  materiali imprescindibili che generano il divenire fenomenologico della realtà. Pertanto, la matematica, fondata sul numero, non è un puro esercizio di astrazione dalla realtà circostante e dal reame del contingente; non si limita ad imporre le sue leggi di formazione  e di formulazione algebrica, dalla prospettiva irriducibilmente necessaria, all’indole di pura fatticità dell’imposizione pratica ai sensi della realtà materiale nella quale l’essere umano si trova a vivere, ma diviene il punto di svolta capitale per l’acquisizione di deduzioni sempre più forti in merito ai funzionamenti meccanici che sottostano alle materializzazioni degli avvenimenti in natura per mezzo di strumenti astrattivi sempre più potenti che, dovendo rappresentare specie e generi di fenomeni quanto mai universali e/o specifici, sono indotti ad essere potenziati essi stessi, come quando si vuole esprimere la teoria, l’idea scientifica o filosofica più profonda e complessa possibile e non si possono usare altri mezzi di espressione linguistica per la comunicazione di queste verità se non un linguaggio adeguatamente opportuno e rafforzato al punto da saper contenere, comprendere ed esprimere con maggior agevolezza tali meditazioni. Il numero, per questa sua innata caratteristica di medium delle molteplici forme della realtà, non si arresta alle sole deduzioni, ma, lasciando a coloro che calcolano la possibilità di prevedere, sulla base dei calcoli effettuati, quale potrebbe essere con molta probabilità l’evolversi successivo di un dato fenomeno, ha nell’inferenza dell’induzione il suo mezzo più efficace di rappresentazione di tutto ciò che avviene nell’universo, che consente all’uomo di apporre delle previsioni di carattere probabilistico che nulla hanno a che vedere con profezie di tipo pseudo-scientifico, poiché basate sui principi essenziali del calcolo delle probabilità che, non a caso, rappresenta il nucleo matematico delle teorie fisiche moderne più avanzate, quale, naturalmente, la meccanica quantistica. Le generalizzazioni previdenti su base probabilistica sono lo strumento conoscitivo più inoppugnabile di cui l’uomo può attualmente disporre, perché, se ne fosse sprovvisto, non potrebbe inferire alcunché di consistente e rilevante riguardo alla natura da lui studiata, dato che il doversi limitare alle mere deduzioni, pur permettendo di capire il tipo di relazioni che sussiste fra due o più fenomeni, non lascerebbe però la possibilità di comprendere la legge generale che regola tali fenomeni, le loro relazioni, così come molti altri fenomeni, e le loro relazioni, per cui possa eventualmente valere la stessa legge o variazioni di essa che darebbero adito ad altre leggi fondamentali regolanti la natura che, senza la formulazione delle iniziali di cui sono una modificazione più o meno sostanziale, non avrebbero potuto essere formulate con la stessa facilità e sicurezza di pensiero. Il numero, in questo modo, ponendosi a faro illuminante dell’intelletto umano che tutto può comprendere, spiegare e descrivere nel linguaggio cifrario-simbolico della matematica, sembrerebbe, fra le scienze assoggettate nella visione aristotelica alla filosofia come scienza prima radice di ogni conoscenza (visione condivisa anche da Cartesio), l’unica, da cui dipendono tutte le altre scienze per la loro formulazione articolare interna consistente in termini di misure quantitative (numeri ed operazioni (equazioni, funzioni, etc…) con essi effettuabili), in grado di confutare apertamente le tesi scetticistiche di Gorgia, che voleva che nulla ci fosse, che anche se c’era qualcosa non fosse conoscibile,che  anche se era conoscibile non fosse comunicabile. Questo perché il numero è parte integrante irrinunciabile non solo nella comprensione della natura, ma anche, sostanzialmente, della natura del ragionamento stesso della mente umana. Si può benissimo evidenziare come qualsiasi cosa dall’uomo venga pensata, effettuata, ipotizzata, sognata, fantasticata, immaginata o fatta, tanto nel mondo reale quanto in quello dei sogni, sia passibile ineluttabilmente della pratica del conteggio. Il contare sta alla base di tutto quanto l’essere umano fa. Qualsiasi cosa, reale o immaginaria che sia, può essere contata individualmente e ovviamente in serie, qualora gli oggetti cui si attribuiscano i numeri si presentino in serie, così che l’uomo, col progredire degli oggetti, può avanzare nella sua catena di numeri che si scopre protrarsi potenzialmente all’infinito, giacché all’ultimo numero di una lunga serie se ne può sempre aggiungere un altro di modo che la serie numerica sembra non poter finire mai (come poi effettivamente avviene). È questo il principio dell’induzione completa che dimostra che il numero non ha natura esclusivamente deduttivo-analitica, ma, tutt’al più, è di origine principalmente induttivo-sintetica, in quanto si dà a prescindere sia dalle proprietà intrinseche degli oggetti esaminati trattati per mezzo del calcolo sia dai tratti salienti degli oggetti considerati con l’esperienza per il fatto che la capacità infinita del calcolo numerico è il cuore pulsante dei processi di svolgimento della mente umana. Il numero mostra quindi di essere legato non soltanto al dato empirico della realtà analizzata, ma anche in particolar modo all’attività cerebrale stessa dell’essere umano, non soltanto perché ogni fenomeno naturale (fra cui il cervello degli esseri) è spiegabile scientificamente attraverso indicazioni stechiometriche risalenti al calcolo matematico nelle sue diverse ramificazioni specializzate, ma anche perché l’intelletto stesso mostra di comportarsi, nella sostanza, in modo completamente matematico. Il numero, su cui si fonda la matematica, risulta essere il paradigma esemplare su cui si basa l’operatività della mente (molto probabilmente la mente stessa) e, essendo l’unica espressione effettuabile e mai effettuata storicamente, all’interno delle differenti scienze naturali, ai fini della comprensione e della spiegazione della realtà dell’universo, risulta anche essere l’unico linguaggio in cui l’universo stesso è trascritto (in maniera a dir poco galileiana) con tutte le sue manifestazioni più o meno universali o particolareggiate (ivi incluso l’intelletto). In quanto universale, pervade ogni evento generantesi nella realtà concreta della natura così come ogni fenomeno riguardante più da vicino le combinazioni di fattori psichici ed elementi spirituali di matrice cerebrale che avvengono all’interno di ogni organismo animale (fra cui, naturalmente, l’uomo non può che avere un posto di assoluto privilegio) come, ad esempio, i sogni, le fantasticherie, le immaginazioni, i voli pindarici che sono descrivibili matematicamente a partire da considerazioni di tipo neurologico, che si servono di nozioni di chimica avanzata poggianti su una forma molto progredita di matematica, e il cui contenuto di fondo è pur sempre, com’è ovvio, passibile di conteggio numerico in quanto l’intelletto è, per sua natura, predisposto ad applicare allo studio delle cose, in maniera del tutto spontanea, la considerazione matematica in serie. Il numero è quindi il principio del ragionamento umano. Da esso discende quell’isomorfismo strutturale radicato fra l’intelletto e il mondo, la realtà e il pensiero, l’essere e l’idea, la cui armonia è pienamente traducibile in linguaggio matematico poiché i due termini stessi di tali coppie, all’apparenza antitetiche ontologicamente, si rivelano invece, col numero della matematica, gnoseologicamente affini e quindi ontologicamente inscindibili l’uno dall’altro poiché tutto, essendo astrattivamente comprensibile numericamente, è materialmente misurabile, perciò costituito da un’intrinseca matematica che, allo stesso tempo, per la sua natura astratta nelle considerazioni delle forme della realtà che le conferisce il suo carattere universale che si estende anche dal reale all’immaginario, non è però presente concretamente nella materia osservata (il numero, materialmente, non esiste), benché ne costituisca la misurazione della costitutività già formatasi di cui si possono rintracciare le origini per mezzo della capacità induttiva della matematica stessa. La visione a-posteriori della realtà può lasciar indurre nella tentazione di considerare la matematica come una mera scienza delle misure che non si addentra nell’ontologia delle cose, quando invece le cose stanno ben diversamente: se così fosse, la matematica sarebbe solo deduttiva; invece, come dimostrato, la matematica è principalmente induttiva ed è questa sua proprietà fondamentale a definire il procedimento della ricerca dell’inizio del formarsi di una data realtà od oggetto, perché il numero, pur non essendo empiricamente rilevabile, è alla base del funzionamento a-priori della mente umana che si serve liberamente della matematica costituente la meccanica delle sue istituzioni procedurali per la comprensione e previsione (quindi per l’apprendimento universale) della realtà, quindi, attraverso il pensiero, che è di indole essenzialmente matematica, si può ipotizzare ciò che non è effettivamente materializzato nella natura delle cose, ma che, alla luce del raffronto empirico dato dal calcolo di tali entità di natura esclusivamente intellettuale (i numeri e le loro operazioni) con le forme di manifestazione del reale, si svela saper spiegare quanto più approssimativamente possibile il perché ultimo delle cose cui viene applicata la matematica così come il loro futuro svolgersi sulla base della manifestazione di un dato carattere esibito precedentemente. È per questo che la mente può comprendere il mondo, perché funziona in maniera matematica e la matematica, pur essendo compibile in linea di principio solo in un numero finito di passi e con un numero ben preciso di mezzi finiti, con questi stessi mezzi finiti può dare vita alla formulazione di concetti che oltrepassano la finitezza stessa del concretizzarsi apparente delle procedure di pensiero (come quello di infinito), che, pur non essendo constatabili empiricamente, ciononostante risultano necessari per la corretta misurazione dei fenomeni rapportata ad un criterio regolativo di quantificazione che tenga conto delle minime variazioni a livello misurativo della materia e per un nuovo genere di concezione dell’universo che può sempre rinnovarsi grazie al linguaggio della matematica, l’unico in cui l’uomo abbia potuto mai parlare dalla notte dei tempi per riferirsi all’universo che lo circonda poiché trattantesi della lingua, del mezzo di comunicazione, di tutta quanta la realtà, fra il materiale e l’immateriale, il reale e l’immaginario, l’universale e il particolare, l’astratto e il concreto, che è in grado di conciliare rendendo la sua natura ancora più misteriosa. È possibile supporre che la matematica, in quanto scienza del numero per l’appunto, possa essere il fondamento metafisico della realtà fisica dell’universo nonché l’unico vero a-priori della mente umana (come ipotizzato da Hilbert, che si scagliò nei passi più densi di filosofia della sua intensa attività di pensiero logico-matematica contro l’a-priori kantiano per rendere conto della matematica come della scienza concernente l’impostazione finitaria dell’intelletto funzionante matematicamente alla stessa maniera di tutti i fenomeni e i più grandi segreti irrisolti della natura, che solo con la matematica possono essere risolti, descritti, compresi e spiegati). La matematica può quindi realizzare l’ideale della risoluzione di ogni problema contro ogni forma di Ignorabimus. Il numero è sempre stato una questione al centro dei pensieri dell’uomo, sin dai tempi dell’antica Grecia. I pitagorici, che formavano a suo tempo una setta dal carattere più mistico che scientifico nonostante il loro comune interesse per il numero, diedero inizio alla matematica come vera e propria scienza con cui spiegare ogni tipo di fenomeno, fisico, antropologico o metafisico che fosse. Il numero fu da loro posto a fondamento di tutta quanta la realtà, come principio della materialità delle cose, che potevano essere ricondotte alla loro costituzione numerica di base con cui spiegare la loro conformazione, che però, in quanto principio assoluto di ogni cosa, era al contempo svincolato da queste stesse in considerazione del fatto che, a differenza dei principi trattati dai primi filosofi fisicisti greci, il numero non era un elemento naturale presente nella realtà materiale, ma era proprio in questo suo essere astratto che risiedeva l’assolutezza del suo essere principio di ogni cosa, poiché, in quanto astratto, era meglio adattabile dal loro punto di vista ad essere il fondamento di tutte le cose poiché di natura astratta (quindi universalmente estendibile senza limiti spaziali od empirici di sorta) e non esclusivamente concreta, come nel caso dei quattro elementi della natura (terra, fuoco, aria, acqua) che potevano essere presenti, come non esserlo affatto, in misure diverse nei differenti corpi della realtà. Ogni oggetto, a prescindere dalle sue proprietà estrinseche ed intrinseche, era perfettamente riconducibile al numero, di modo che la scuola pitagorica, si può sostenere, abbia fornito il primo esempio di sintatticizzazione della realtà inevitabilmente per mezzo del numero, stante a fondamento di ogni impresa di simbolizzazione delle forme della natura svelantisi come comprimibili ai loro costituenti ultimi (da cui si originano le forme geometriche della realtà) rappresentati dai numeri che, in tal senso, ne sono il principio, in quanto sono in tutto, definiscono tutto, esprimono (rendendolo comprensibile all’uomo) tutto e, poiché astratti, saranno eternamente onnipresenti in tutto. I pitagorici, pertanto, anticiparono in un certo senso Platone nel porre l’idealità del numero a principio della realtà sensibile, come rappresentanti di una prospettiva logico-ontologica propensa a dare ad ogni realtà una sua specifica forma. Nella loro figura della “tetratti”, costituita da quattro piani numerici che, sommati, configurano il numero 10 (numero della perfezione per i pitagorici), si può dire che l’1 (punto) sia l’uomo, il 2 (linea) sia l’Altro, il 3 (triangolo) sia la realtà nel suo complesso data dall’assommarsi dell’uno col due, il 4, infine, rappresenti la piramide formatasi, quindi l’universo nella sua totalità (il cosmo pitagorico come un tutto armonico e ben organizzato). Platone, che nel Timeo riprese la concezione pitagorica del mondo già accennata nella Repubblica con l’enunciazione dell’esistenza di idee matematiche fungenti da archetipo ideale nell’Iperuranio delle figure geometriche riscontrabili nella realtà nello loro imperfezione ( di cui le idee matematiche sono il modello perfetto) e delle nozioni matematiche regolanti le catene interne del ragionamento logico soprassedente alle formulazioni del pensiero di tipo matematico (uguaglianza, proporzione, etc…), cercò di superare la visione dei pitagorici che si era arrestata, nella loro metafisica sintattica della realtà, al concetto assiomatico di numero per includere questa stessa in un orizzonte di più largo respiro che includesse il numero come il principio ideale della molteplicità delle cose considerate nella loro unitarietà ontologica sottostante ai “generi sommi” che rispondevano dei due principi ontologici assolutamente trascendentali dell’Uno e della Diade da cui dipendeva l’unitarietà ontologica, nel numero, delle cose molteplici derivanti da una differenziazione nella concretizzazione dei poliedrici aspetti della realtà a partire dalla mescolanza e separazione empedoclea dei quattro elementi della natura. In tal caso, Platone radicalizza, in un senso conciliante la realtà sensibile della molteplicità con la realtà intelligibile dell’unitarietà, la filosofia dualistica dei pitagorici, che, a partire dalla loro concezione del concetto di differenza sulla base della distinzione fra numero pari e numero impari, vedevano la realtà come perennemente oscillante fra le principali coppie di contrari caratterizzanti l’esplicazione della realtà, che solo nell’unità rappresentata dal numero 1 poteva essere vista nella sua immutabile ed immortale unità prescindente dal carattere transeunte e mortale delle manifestazioni sensibili del reale, poiché l’1 era numero “parimpari” che univa in sé l’impari (il finito) e il pari (l’infinito). Una prospettiva assai più naturalizzata e vicina al senso comune empirico degli investigatori dei misteri della natura fu data da Aristotele, il quale considerò il numero più semplicemente come il numero del movimento secondo l’ordine di successione del prima e del dopo, anticipando, per certi versi, la concezione relativista del tempo di Leibniz. Per Aristotele, che rifiuta ogni forma di metafisica idealistica o di radicalismo aritmetico di tipo metafisico-misticheggiante (la matematica stessa, per lui, era materia di secondaria importanza), l’unica cosa che conta all’interno dell’unica scienza da lui accettata (la fisica) è il movimento, poiché la natura altro non è che l’essenza delle cose cui è impresso il principio del movimento che in lui si articola in quattro modi (alterativo, generativo (o corruttivo), accrescitivo (o diminutivo) e traslatorio), e il numero è da correlare esclusivamente al moto senza che abbia una sua autonomia gnoseo-ontologica né tantomeno una sua consistenza propria che prescinda da altre nozioni fisico-teoriche o fisico-sperimentali per proprietà proprie. La concezione aristotelica del numero (e della matematica in generale), quindi, è quella che con più imponenza si è consolidata nel corso della storia, poiché la matematica, a parte qualche raro caso eccezionale, è sempre stata considerata perlopiù un’appendice per certi versi utile, per certi versi fastidiosa (per non dire eccessivamente superflua alle volte) delle scienze naturali (in particolare della fisica), di cui poter fare eventualmente a meno dato il suo carattere di strutturazione complicativa delle modalità di raffigurazione dei fenomeni naturali che si crede possano essere compresi, prima ancora che su basi matematiche, in modo puramente intuitivo. Tale pregiudizio non tiene però in conto che la matematica, essendo per sua natura di carattere induttivo prima ancora che deduttivo, non esclude l’importanza dell’intuizione, anzi, la accetta appieno e la richiede necessariamente per la comprensione delle forme della realtà, poiché senza intuizione non si attiverebbero le normali procedure del pensiero umano la cui attività cognitiva di carattere essenzialmente matematico non avrebbe modo di esplicarsi (senza pertanto che possa avviarsi il processo della comprensione). In verità, come Hilbert ha più volte tentato di dimostrare, l’intuizione, come voluto invece da Poincaré, non è una proprietà di tipo metafisico dell’intelletto da cui dipende direttamente il principio dell’induzione completa, ma è assiomatizzabile ed esprimibile in modo puramente matematico perché la mente, in lui, è di indole profondamente matematica e, pertanto, anche l’operazione stessa dell’intuizione, che non dipende, come in Kant, da forme a-priori della sensibilità (spazio e tempo), ha carattere esclusivamente matematico e, pertanto, la matematica non potrà mai essere esclusa dalle scienze, perché il numero coincide col pensiero e con la natura (quindi con l’essere) ed escludere il numero sarebbe possibile solo nel caso in cui il nulla prendesse il sopravvento sul tutto. Ogni operazione che si compie è matematica in esecuzione, il numero regola ogni attività non soltanto perché ogni cosa è passibile di essere numerizzata, ma anche perché tutte le azioni compibili sono quantificabili sovrastrutturalmente, strutturalmente ed infrastrutturalmente in un certo numero di proprietà scomponibili in un certo numero di passi riconducibili ad un certo numero finito e ben preciso di mezzi altrettanto esprimibili matematicamente a partire dalle leggi della natura e della mente che si servono di caratteri matematici (numeri ed operazioni numeriche). La matematica, la scienza del numero, è quindi il linguaggio dell’universo che, nella sua costituzione numerica oscillante fra fisica e metafisica, mostra la sua autoreferenzialità che non potrà mai trascendere il principio invalicabile del numero, che risulta il vero a-priori conoscitivo della realtà e dell’universo. Come mostrato anche in puro ambito logico, nel progredire della scala logica delle concettualizzazioni linguistico-scientifiche, dal grado 0 (gli oggetti materiali) si passa al grado 1 (le classi degli oggetti) e da questo al grado 2 dei numeri. Il numero è ciò in cui tutto nasce, è definibile, si risolve e si dissolve. Benché non coincida con la causa ontologica prima della realtà, esso, come puro mezzo gnoseologico, è il carattere alfabetico dell’unico linguaggio che può avvicinarsi alla radice ontologica del tutto poiché, come mostrato, è il più primitivo e radicale concetto cui può arrivare il pensiero nel ricercare la causa profonda e recondita di ogni cosa. Anche per questo la corrente del platonismo, che vede nel numero quell’entità astratta e reale al contempo che si sostanzia nelle forme del reale, concepisce il numero come l’anima e lo spirito della natura nella sua più profonda interiorità comprensibile da parte dell’uomo. Ma il far equivalere il pensiero alle procedure numeriche della matematica può ingenerare l’incubo della creazione di automi (anticipati dall’ipotesi estesa di Church-Turing) capaci di riprodurre il comportamento dell’essere umano (sentimenti compresi), di cui diverrebbero veri e propri cloni meccanici riproduttivi (i cosiddetti “androidi”). Ma, se si considera che molto probabilmente la mente si comporta quantisticamente, e che quindi , se la mente sottosta al formalismo matematico della fisica dei quanti, allora anche per essa vale il teorema del no-cloning (non si può clonare uno stato quantico), e se si considera che una macchina, a differenza dell’uomo, per quanto perfettamente possa rassomigliarlo nei suoi componenti, non potrà mai avvicinarsi con i suoi circuiti alle infinite combinazioni prevedibili nel caso del comportamento neuronale umano (in quanto pur sempre costruita, dall’uomo, in maniera ineluttabilmente finita meccanicamente) che possono portare l’uomo a potenziare i mezzi finiti della sua matematica per arginare il limite di Godel, tale incubo sembra svanire. Nel caso delle macchine, superare il limite di Godel non si potrebbe fare perché implicherebbe che la macchina possa ammettere anche infinite soluzioni ad infiniti limiti che possono solo essere immaginati senza poter essere meccanicamente calcolati. L’uomo, invece, di mente prettamente matematica, può immaginare e tale suo immaginare è esprimibile matematicamente perché il numero sta alla base del funzionamento del suo pensiero che, a partire dalla matematica e dai suoi calcoli, può idealizzare e ipotizzare l’infinito, mentre la macchina vede nella matematica il suo punto di approdo e non di partenza per la formulazione di un suo ipotetico “pensiero “ (la macchina non può quindi immaginare, mentre nell’uomo la matematica è la sorgente della facoltà dell’immaginazione così come di ogni altra capacità cognitiva umana). La natura del numero sembra essere ineffabile, non pienamente carpibile né in termini esclusivamente fisici né in termini esclusivamente metafisici, perché afferisce ad ambedue gli ambiti simultaneamente. La sua concezione come mera “misura” assoluta (alla maniera un po’ aristotelica) è stata messa in forte discussione dalla relatività einsteiniana, che ha mostrato, nella sua matematica della relatività generale, come il numero non possa ridursi al puro concetto di misura, poiché questo stesso è relativo. Il numero sembra precedere trascendentalmente la misura per collegarsi alla struttura tetradimensionale fondamentale dell’universo. In questo modo la relatività di Einstein, configurante una reale geometria dello spazio-tempo, sembrerebbe dare sostegno alle tesi dei platonisti sul numero. La sua natura ultima e definitiva sarà molto probabilmente destinata a rimanere un mistero, ma l’aver quantomeno intravisto la sua natura assiomatica come principio concettuale irriducibile della realtà potrà aiutare l’uomo a comprendere l’universo sempre più profondamente e, chi può dirlo, ad avvicinarsi quanto più possibile alla verità ultima del tutto. Del numero, benché non si possa dire in maniera assoluta cosa sia, si può dire che cosa definisca. Può in conclusione il numero portare all’assoluto? Questo è ancora da scoprire.       

                                                                                                                                                                 




Aggiunto il 18/10/2015 11:33 da Giovanni Mazzallo

Argomento: Filosofia della matematica

Autore: Giovanni Mazzallo



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