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L'ESSENZA DELLA RELIGIONE

L'ESSENZA DELLA RELIGIONE


da Sulla religione. Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher


di Davide Orlandi


Introduzione


L’obiettivo che il secondo discorso si pone è quello di fare luce circa le caratteristiche fondamentali della religione, concepita secondo istanze che dicono la vicinanza dell’autore alla nascente cultura romantica. Se in Schleiermacher sono presenti temi tipicamente legati a questo nuovo fenomeno culturale (si vedano l’importanza del sentimento e dell’intuizione, la tensione verso una dimensione infinita, una concezione della natura legata a motivi panteistici e spirituali), ciò non rende meno rilevante la sua volontà di confrontarsi con l’illuminismo, da cui da un lato attinge certi spunti, benché sia evidente, specie in alcuni passaggi, la sua lontananza da esso.

Vero trait d’union tra illuminismo e romanticismo, l’autore tenta di far capire l’importanza della religione a tutti quegli intellettuali che, come suggerisce il titolo, la denigrano, mostrando la centralità che essa deve assumere all’interno della loro formazione.

Questa prima parte di discorso affronta, nello specifico, i temi che riguardano la diversità della religione rispetto alla morale e alla metafisica, la centralità dell’intuizione e del sentimento nella proposta religiosa schleiermacheriana e la sua peculiare concezione di religione.


Che cos’è la religione?


E’ con questa domanda che inizia la riflessione schleiermacheriana1 e il suo secondo discorso. Riprendendo la vicenda del lirico greco Simonide2, narrata da Cicerone, Schleiermacher argomenta l’impossibilità di pervenire in tempi brevi ad una risposta che esaurisca il senso complessivo della religione ed afferma che il suo procedere non sarà pertanto affrettato.

Per approdare alla comprensione del divino è necessaria un’adeguata preparazione intellettuale, tanto che l’autore raccomanda al lettore impegno e concentrazione, affinché il suo messaggio possa essere recepito. E’ necessario porsi, dinanzi “al sacro circolo”3, con spirito libero da ogni sorta di pregiudizio e con la volontà di cogliere ciò che in quella sede viene rappresentato, altrimenti non sarà possibile una comprensione appropriata della questione.

Non va pensato che una raffigurazione esclusivamente antropomorfa del divino, tale che si possa “riconoscere immediatamente i suoi tratti, la sua andatura, le sue maniere”4, possa essere di aiuto per cogliere la sua essenza che, in quanto trascendente, non si lascia catturare da rappresentazioni umane. Per attingere la dimensione divina è preferibile invece ricorrere all’immaginazione, strumento mediante cui giungere all’individuazione delle caratteristiche proprie della religione, che “nel concreto si presentano soltanto disseminate e mescolate con molti altri elementi estranei”5.





A causare, all’interno della religione, una tale compresenza di elementi eterogenei è stata la modernità, tempo caratterizzato da una “cultura armonica”6 che propende verso valori quali quello dell’amicizia e della socialità, i quali rendono difficoltoso un rapporto dell’individuo con sé, condizione invece indispensabile per aprirsi alla dimensione religiosa.

Si rende perciò doveroso un ritorno a “quei tempi dell’infanzia, quando […] tutto era ancora più isolato, più individuale”7 per cominciare ad argomentare l’importanza della sfera religiosa.

Il primo passo che l’autore compie in questa direzione è quello che lo conduce a sfrondare la religione di tutto ciò che non le si attaglia.

Se essa condivide con due discipline, come quella morale e metafisica, lo stesso oggetto di indagine; ciò non toglie che vanno sempre distinte le reciproche diversità. In tal senso va letto il seguente invito schleiermacheriano:




Mettetevi dal punto di vista più alto della metafisica e della morale e vedrete che ambedue condividono con la religione lo stesso oggetto, cioè l’Universo e il rapporto dell’uomo con esso. Questa somiglianza è stata da molto tempo causa di tanti errori; a partire da essa metafisica e morale si sono insinuate in massa nella religione mentre altre cose che appartengono alla religione si sono camuffate sotto forma indebita, nella metafisica e nella morale8.




L’autore è consapevole di rivolgersi ad un élite intellettuale che disdegna la religione e che non ammetterebbe mai che essa possa procedere con forza argomentativa pari a quella della metafisica, né rinuncerebbe a non sottolineare l’ignominiosa storia delle istituzioni ecclesiastiche. Malgrado le diversità che separano la religione, la morale e la metafisica, il fil rouge che le lega è rappresentato dal volgersi di tutte e tre verso lo stesso oggetto – l’infinito o l’assoluto – , colto però in modi differenti. Ciò non toglie che il modus operandi di metafisica, morale e religione è diverso. Come l’autore argomenta: “[la metafisica] classifica l’Universo e lo suddivide in tante specie di essenze, ricerca le cause di ciò che esiste, deduce la necessità del reale, tesse dal proprio interno la realtà del mondo e le sue leggi”9.

La religione, invece, non può condurre un’analisi simile, non è suo compito farlo. Allo stesso modo, non è tenuta ad agire come la morale, che invece “dalla natura dell’uomo e dal suo rapporto con l’Universo sviluppa un sistema di doveri, proibisce e comanda azioni con autorità assoluta”10.

Nonostante l’evidenza della loro diversità, l’opinione corrente suggerisce che la religione non si componga che di frammenti attinti tanto dalla metafisica quanto dalla morale.

A giustificare questa confusione è l’idea che è sottesa ad entrambe le discipline, ossia l’idea di bene, che svolge il ruolo di fondare tanto la metafisica quanto la morale. Ma l’irriducibilità reciproca dell’una all’altra non viene mai meno ad uno sguardo attento, tanto che l’autore si rende conto di quanto caos circonda sia la nozione di Essere supremo sia l’idea di religiosità. Con fare provocatorio, Schleiermacher conduce la seguenti osservazioni:






E questo miscuglio di opinioni sull’Essere supremo o sul mondo e di comandamenti per una vita umana (o, magari, due!) lo chiamate religione! E l’istinto che va appresso a tali opinioni, insieme agli oscuri presentimenti che sono in definitiva la sanzione ultima di questi comandamenti, lo chiamate religiosità! […] perché non l’avete [la religione] subito sezionata nei suoi elementi scoprendo il vergognoso plagio?11




Il plagio di cui l’autore parla farebbe riferimento all’errata considerazione della religione, sottomessa o all’ambito teoretico o a quello pratico a seconda dei casi. Per riaprire il dibattito circa la relazione che lega morale, metafisica e religione occorre prima ridefinire la fisionomia della sfera religiosa. Se l’élite intellettuale svaluta la religione e si impegna nel farlo, deve condurre una battaglia che rispetti i parametri di correttezza. Come l’autore fa notare:



[…] Se conducete contro di essa una guerra leale […] non vorreste aver combattuto contro un’ombra come questa attorno alla quale ci siamo battuti; essa deve avere una sua realtà propria, che ha potuto nascere nel cuore dell’uomo; qualcosa che può essere pensato, di cui si può formulare un concetto, su cui si possa parlare e discutere. Trovo che sia proprio scorretto da parte vostra mettere su, da elementi così disparati, qualcosa di insostenibile che chiamate religione contro cui, poi, sollevare oziose obiezioni.12



Di fronte all’accusa, rivolta dagli intellettuali alla religione, di essere costitutivamente impregnata di morale e di metafisica, Schleiermacher risponde che è necessario prescindere proprio da quegli elementi che, in modo del tutto estrinseco ed illegittimo, le sono stati affibbiati, in modo tale da potere giungere alla vera religiosità. Se si obietta, poi, che i testi sacri sono contaminati di metafisica e di morale, non si può che rispondere affermativamente, secondo l’autore, ma con una precisazione: la superficie della Scrittura è certo rivestita da metafisica e morale che, secondo un’efficace immagine, costituiscono un guscio che va rotto per penetrare nel reale significato che il testo vuole veicolare, che è di tipo religioso ed è simbolicamente rappresentato da un diamante. Questo modo di procedere costituisce un “metodo ingegnoso”13 per avvicinare il futuro credente ad un messaggio che dapprima sembra essere solo morale e metafisico, ma che in ultima istanza lo aiuta nel dissotterrare quel diamante custodito così segretamente da essere rinvenuto con sicurezza da chi lo cerca.

Partire dalla contrapposizione che separa la religione dalla metafisica e dalla morale è l’obiettivo che si pone esplicitamente Schleiermacher per definire con precisione i contorni della religione. Attraverso l’opposizione, infatti, essa riesce a depurarsi da quegli elementi che le sono stati indebitamente attribuiti, in modo tale che la differenza risulti chiara ed inequivocabile:



[La religione] non brama di determinare e di spiegare l’Universo nella sua natura, come fa la metafisica; non ambisce, come la morale, a svilupparlo e a perfezionarlo in forza della libertà e del divino arbitrio dell’uomo. La sua essenza non è pensare né agire, ma intuizione e sentimento.14




La centralità di intuizione e sentimento




L’importanza delle nozioni di intuizione e sentimento emerge dalla considerazione di entrambe come elementi che dicono dell’effettiva diversità di religione, morale e metafisica. E’ alla luce dei caratteri di passività e di recettività verso l’infinito che la religione si comprende in opposizione alle altre discipline. Come spiega l’autore, “essa vuole intuire l’Universo, mettersi in devota contemplazione delle sue manifestazioni e azioni; con infantile passività vuol farsi afferrare e riempire dei suoi influssi immediati”15. A differenza della morale e della metafisica, la religione non si fonda su una considerazione antropocentrica che vede l’uomo “centro di tutte le relazioni, condizione di ogni essere e causa di tutto il divenire […]”16.

Al contrario, essa considera l’uomo come rapporto con l’infinito, come apertura su di esso, cosicché la religione sottende una concezione dell’uomo come finito infinito, per cui l’individualità finita è infinita in sé e fonte di inesauribili prospettive sull’assoluto.

A differenza dell’antropocentrismo metafisico, che parte dal finito ed adatta a sé l’infinito, la religione vive nella natura, una natura vitale-panteistica, concepita secondo il modello greco dell’En kai Pan e apre alla contemplazione di quell’infinità che nel particolare è già rintracciabile.

Diversamente dalla morale, che vorrebbe un cosmo obbediente alle regole da lei poste, la religione considera l’universo già presente nell’uomo. In questo senso, essa si allontanerebbe sia dalla teoresi che dalla pratica e collaborerebbe proficuamente tanto con la speculazione quanto con la morale. “La pratica è arte, la speculazione è scienza, la religione è senso e gusto dell’infinito”17. La religione, attingendo l’infinito in forma immediata, si pone come elemento necessario per completare il quadro composto da speculazione e pratica: essa, infatti, sarebbe l’unica a rendersi conto dei limiti dell’uomo e a fungere, in tal senso, da promemoria critico per la morale e la metafisica, che senza di essa non sarebbero che discipline presuntuose ed incomplete. La vacuità che contraddistinguerebbe la morale e la metafisica sarebbe diretta conseguenza del loro contrapporre l’uomo all’universo e del disconoscimento della facoltà del sentimento quale tramite con cui l’uomo si connette armonicamente con il tutto.

La necessità di interagire con la religione, da parte della metafisica e della morale, è testimoniata efficacemente dall’enucleazione dei risultati che si otterrebbero nel caso opposto:


Perché per tanto tempo la speculazione anziché un sistema vi ha dato illusioni, parole anziché pensieri? Perché altro non è stato che un vuoto gioco di formule che ritornavano sempre in modo diverso e alla quale non corrispondeva mai nulla? Perché le faceva difetto la religione, perché non l’animava il senso dell’Infinito […]18.


E ancora:


Come andrà a finire il trionfo della speculazione, l’idealismo perfetto e arrotondato, se la religione non lo equilibra e non gli lascia presentire un realismo più alto di quello che esso temerariamente e incondizionatamente si subordina? Annienterà l’Universo, proprio mentre sembra formarlo, lo abbasserà a una mera allegoria, a una vana ombra della nostra stessa limitatezza.19




Se la speculazione necessita del sentimento dell’infinito è perché questo non può essere un prolungamento di istanze finite, ma va letto e pensato nella sua circolarità con la finitezza, come aveva già sostenuto Spinoza, al quale Schleiermacher rivolge parole di sincera ammirazione.

La centralità dell’intuizione, già sottolineata in precedenza, viene ribadita dall’autore che fa di questo concetto, per sua stessa affermazione, il cardine del suo sistema filosofico. Nel descrivere il processo in cui tale facoltà si esplica, sostiene che in esso non ci sia una vera e propria attività nell’uomo, che risulta essere attivo soltanto nella dimensione in cui è recettivo della totalità che a lui di dispiega:




Intuire l’Universo […] è il cardine di tutto il mio discorso, è la formula più universale e più alta della religione […] Ogni intuizione comincia da un influsso di ciò che è intuito su colui che intuisce, da una azione originaria e indipendente del primo che poi è recepita, afferrata e compresa dall’altro secondo la propria natura […] Così è la religione: l’Universo è in una incessante attività e in ogni momento si rivela a noi.20




L’intuizione è così rapporto con l’universo infinito, apertura all’assoluto. E così la “religione è sempre prendere ogni individualità come parte del tutto”21, nel senso che il tutto è già contenuto nelle parti e di conseguenza esse sussistono indipendentemente da esso. Se l’intuizione è influsso, compreso secondo la propria personale natura, essa non è però indagine circa l’essenza dell’universo: di nuovo Schleiermacher distingue nettamente tra religione e la “vuota mitologia”22 verso cui si degenererebbe nel caso in cui la religione, tradendo se stessa, nutrisse velleità teoretiche che non le si confanno. A queste istanze cerca di rispondere la ricerca metafisica, non l’esperienza religiosa23.

Se le intuizioni possono essere molteplici, ciò non vuol dire che sia possibile connetterle all’interno di un sistema, anzi: “l’intuizione è e rimane sempre qualcosa di singolare, distinto […] collegarle per comporle in un tutto, già non è più affare dei sensi ma del pensiero astratto […] Ciascuna di esse è un’opera a sé stante, non collegata né subordinata alle altre; di deduzione e relazione non sa nulla”24. L’impossibilità di sistematizzare le intuizioni25 è legata alla loro natura, direttamente connessa all’infinità di cui hanno fatto esperienza. Non è possibile nemmeno pensare di organizzare l’infinito, tanto più che ogni particolarità è sguardo su di esso e dunque ognuno è possibile artefice di prospettive differenti le une dalle altre26. E’ sulla base di queste premesse che si origina quel “caos infinito dove ogni punto rappresenta un mondo”27: questa definizione si presta bene a descrivere la religione, nella quale è valorizzata la dimensione individuale, finita e allo stesso tempo infinita, che ha accesso con l’intuizione ed il sentimento ad un’infinità non razionalizzabile. E’ il sentimento di infinito il solo che deve accompagnare qualsiasi esperienza religiosa e ad esso Schleiermacher si appella per fondare la sua idea di tolleranza:



Ciascuno deve avere consapevolezza che la sua è solo una parte del tutto, che sugli stessi oggetti che gli provocano una impressione religiosa, ci sono visioni ugualmente religiose eppure totalmente differenti dalla sua […] Vedete come questa bella modestia, questa amichevole invitante tolleranza scaturisca immediatamente dal concetto di religione e come gli si adatti intimamente28.



La religione non perseguita o opprime, non intraprende guerre né fonda partiti che la difendano. Certo nella storia si sono verificati episodi di questo genere, ma non derivano dalla religione e da una sua presunta volontà totalizzante. Piuttosto scaturiscono nella dimensione in cui la religione viene ricoperta di speculazione, riducendosi a sistema. Gli intellettuali dovranno quindi incolpare la metafisica, la morale e la filosofia come vere responsabili di divisioni e guerre di religione. L’attività speculativa, infatti, aborrisce ogni elemento che essa non può in qualche misura comprendere, motivo per cui non esita ad espungere ogni difformità da sé. Le varie forme finite possono entrare in conflitto solo nel finito, in quanto privo di uno spazio assoluto che possa armonicamente comprenderle: ecco perché le varie individualità possono esprimersi liberamente solo nell’assoluto, all’interno del quale “tutto è uno e tutto è vero29.

La vera religione è sempre tollerante ed aperta ad accogliere le infinite intuizioni prodotte dalle innumerevoli individualità. Ecco perché “la nuova Roma […] fulmina scomuniche e bandisce gli eretici; quella antica […] era ospitale verso ogni Dio e in tal modo si riempì di Dèi”30. A ribadire la sua volontà di mettere fine ad una religione filosoficamente intesa – con la relativa pretesa di sistematicità e totalità – Schleiermacher sostiene che:



Chi vuole pensare soltanto in modo sistematico e vuole agire con un principio e un fine e vuole regolare nel mondo questo o quello, inevitabilmente limita se stesso e viene sempre a trovarsi in opposizione a tutto ciò che non richiede il suo agire, il suo affaccendarsi. Solo l'impulso a intuire, se è rivolto all'Infinito, pone lo spirito in una libertà illimitata, solo la religione lo salva dalle volgarissime catene delle opinioni e della cupidigia. Tutto ciò che è, è per lei necessario, e ciò che può essere, è per una autentica, ineludibile immagine dell'Infinito: solo che si trovi il punto dal quale si possa scoprire il suo rapporto con esso31.




Solo la religione salva dalla dogmaticità e dall’unilateralità di pensiero e rende nobile, per lo spirito religioso, anche ciò che è umile e mondano. Essa sta alla base di intuizione e sentimento, legati da un rapporto per il quale la prima non risulta mai prevaricare il secondo, la cui forza connota il grado di religiosità dell’individuo. Se Schleiermacher ha insistito, nelle pagine precedenti, sulla distanza tra morale e religione, adesso sembra riavvicinare le due discipline a proposito dell’agire umano: afferma infatti che la religione può rappresentare un accompagnamento della morale, benché l’approccio religioso induca, di per sé, alla passività e alla contemplazione in ragione della sua dimensione sentimentale. Se la religione conduce l’agire umano, questo non potrà che dar luogo ad azioni rette e pie, che contraddistinguono gli uomini buoni. Gli spiriti cattivi, infatti, sono responsabili dello scuotimento dell’animo umano che, turbato, può sempre cercare conforto nell’azione caritatevole di Dio, richiamata dall’autore in riferimento alla vicenda evangelica delle tentazioni di Gesù nel deserto32.





Conclusione


Attraverso il duplice riferimento a intuizione e sentimento, al rapporto mistico e dialettico a cui è sottesa la sua proposta religiosa e mediante la sua considerazione della religione quale elemento centrale nella formazione degli intellettuali, Schleiermacher riesce a dar voce a istanze ancora illuministiche (come l’antidogmatismo) ma cercando di raccordarle in un nuovo panorama culturale, nel quale vengono rese autonome e libere dal rimando alla morale al quale erano precedentemente soggette, fino ad approdare ad una fondazione autonoma della religione.












1 Schleiermacher coltiva, per tutta la vita, interessi di ordine religioso e teologico, a partire dal suo primo scritto di rilievo, i Discorsi (1799), fino a La fede cristiana (1821-1822).

2 «Se mi chiedi che cosa o chi sia Dio, citerò Simonide, il quale chiese un giorno per riflettere su questo stesso argomento postogli dal tiranno Gerone; avendogli domandato la stessa cosa il giorno seguente, Simonide chiese due giorni; poiché continuamente raddoppiava il numero dei giorni, a Gerone che gli domandava stupito perché facesse così, Simonide rispose: Perché quanto più a lungo indago, tanto più oscura mi appare la cosa» (Cicerone, De natura deorum 1,60). Citato in F.D.E. Schleiermacher, Sulla religione. Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano, Queriniana, Brescia 1989, p. 65.

3 Ivi, p. 66.

4 Ibidem.

5 Ibidem.

6 Ibidem.

7 Ivi, p. 67.

8 Ibidem.

9 Ivi, p. 68.

10 Ibidem.

11 Ivi, p. 69.

12 Ivi, p. 71.

13 Ivi, p. 72.

14 Ivi, p. 73. Corsivo autore.

15 Ibidem.

16 Ibidem.

17 Ivi, p. 74.

18 Ivi, p. 75.

19 Ibidem.

20 Ivi, p. 76.

21 Ibidem.

22 Ivi, p. 77.

23 Come chiaramente argomenta l’autore: “Rappresentare tutto ciò che avviene nel mondo come azione di un Dio è religione perché esprime la sua relazione a un infinito Tutto. Ma rompersi il capo sull’essere di questo Dio prima e fuori del mondo può essere una cosa buona, anzi necessaria, per la metafisica, ma per la religione anche questo non è altro che mitologia […] (Ibidem).

24 Ivi, pp. 77-78.

25 “Un sistema di intuizioni: ma vi immaginate qualcosa di più fantasioso?” (Ivi, p. 78).

26 “Proprio dietro di voi o accanto a voi potrebbe stare qualcuno al quale tutto potrebbe apparire diverso. O i possibili punti di vista dai quali uno spirito può mettersi a contemplare l’Universo si possono per così dire regolare a una certa distanza […]? (Ibidem).

27 Ivi, p. 79.

28 Ivi, pp. 80-81.

29 Ivi, p. 81. Corsivo autore.

30 Ivi, p. 81-82.

31 Ivi, p. 82.

32 1 Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. 2 E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. 3 Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane». 4 Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». 5 Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio 6 e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».7 Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo». 8 Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: 9 «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». 10 Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto». 11 Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano. (Mt 4,1-11).




Aggiunto il 05/08/2017 15:14 da Davide Orlandi

Argomento: Filosofia delle religioni

Autore: Davide Orlandi



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