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L'ANTICO TESORO

Come dice Heidegger, l'uomo - invece di poetare l'enigma dell'essere - l'ha ridotto a un rapporto di forze. Rischiando così di perdere definitivamente se stesso. 

 

 

Aristotele dice in un passo poco noto della sua Metafisica (da G. de Santillana- H. von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi 2000, p. 183) che gli uomini hanno dato in origine all'<essere> il nome di <dio> (l'oscuro) e che pertanto <divine> debbano intendersi "tutte le cose"; e così significando che tutti gli <uomini> sono destinati per sempre a portare in dote, in quanto <uomini>, la propria incapacità o capacità di "ne rien comprendre à notre sort" (P. Valery). 

Ed è questa la <verità> che, riguardo a ciò che definiamo <umano>: “è” (ed è de-stinata a re-stare). Per sempre o meglio fintantoché discorriamo del de-stino, inteso per l’appunto come “lo stare dell'essere e l'essere dello stare medesimo” (E. Severino), di ogni uomo in quanto tale. 

In vero, <nulla> che riguardi o <altro> che riguardi ogni “atto” (secondo lo schema del discorso aristotelico che arbitrariamente separa "potenza" e "atto") di qualsiasi <arte> o  <tecnica>, che attiene viceversa alla conoscenza o meglio "scienza del sapere" epi-stemica (che dice <riguardo a> - e non invece - ciò che <sta> o <è>); “atto” che, così inteso, schiavizza l’uomo e lo sottomette a una <forza> sia essa "artistica", "tecnica", "religiosa" o "scientifica" - secondo l’<ordine> o <struttura>  del <tempo>. Sì che, ogni <arte> o <tecnica>, intesa quale sommatoria di singoli “atti”, attiene alla struttura del tempo e pertanto a un moto, sia circolare che lineare, piuttosto simile a quello di una zangola, macchina utilizzata in passato ad esempio per la produzione del burro.

Ma, la <verità> - e cioè "il sapere di non sapere", noto comunemente ed erroneamente ai più come il detto di Socrate - sovrintende alla summa della conoscenza epistemica e nel <discorso> (su ciascuna <parte> e l'<intero>, il <finito> e l'<infinito>, il <tempo> e l'<eterno>, etc.) "dimora" (sta) heideggerianamente al-di-là di questo stesso moto, altresì detto <divenire> e quindi, aldilà del <tempo> stesso, nell'<eterno>. Mediante la struttura temporale del linguaggio artistico o tecnico, l'umanità provvede quindi continuamente alla costruzione di ogni falso sapere scientifico o religioso, che è <magia> ovvero la capacità di imporre una volontà all’<essere> mediante parole, simboli, riti. 

Sì che gli storici (della suddetta scienza epistemica), tra cui lo stesso Giorgio de Santillana, finiscono altresì con il distinguere tra diverse narrazioni relative ad epoche di <significato> - in origine invece <senso> (di direzione o marcia) - diverso, attribuendo al termine "epoche" una valenza di significato estranea all'essenza del termine <epochè>, di cui tra i tanti dice in particolare Plutarco nel suo adversus Colotem. E infatti: il discorso <umano> “è” e si sviluppa sempre nel medesimo modo; mentre la distinzione cultu-(r)-ale tra "antico" e "moderno" (e innanzitutto in relazione al concetto di <Fato>, oltre che mediante una moderna e rinnovata nozione di "progresso scientifico") "agisce" (in ordine all’arbitraria separazione tra “potenza” e “atto”) del tutto falsamente. 

E allora, secondo il detto di Parmenide: “di via (che legge e interpreta viceversa correttamente il movimento del divenire) resta soltanto una parola - definitiva, eterna, metamatematica, sovraordinata, sovrastrutturale ma contrariamente al comune e diffuso significato marxista) che: è”. Questo detto (nella sua forma più estrema: <è>, senza alcun valore di predicato nominale e/o verbale) è ripreso da Heidegger.

Il filosofo tedesco - dopo aver evidenziato come l'umanità abbia e ha finito per "ridurre" l'"enigma" dell'"essere" a una mera ed esclusiva relazione di "forze" (così che il <dio> e il <divino> dell'inizio dell'inizio del discorso siano poi divenuti il <Dio> di tutte le nostre latine "superstitiones") - nei suoi Sentieri interrotti e in conclusione dell’intero discorso, dalla forma del <mythos> a quella del <logos>, senza alcuna divisione o “rivelazione” o “interruzione” - dubitando, finisce con l’affermare: “Ma se l’essere, nella sua stessa essenza, man-tenesse l’essenza dell’uomo? E se l’essenza dell’uomo riposasse nel pensare la verità dell’essere? Allora il pensiero deve poetare l’enigma dell’essere. Esso porta l’aurora del pensato nella vicinanza di ciò che è da pensarsi”. 




Aggiunto il 13/11/2022 17:11 da Angelo Giubileo

Argomento: Filosofia della storia

Autore: Angelo Giubileo



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