Nella cultura contemporanea, dominata dalla visione scientifica del mondo e dalle straordinarie possibilità offerte dalla tecnologia, il concetto di informazione è andato via via assumendo una importanza sempre più centrale. Non c’è campo del sapere o della vita concreta dell’uomo che non sia investito dal fenomeno della informatizzazione, cioè della riduzione in bit, della memorizzazione in enormi database, nella prospettiva di successive elaborazioni, integrazioni o confronti con altri dati.
E’ l’effetto della diffusione sempre più spinta delle tecnologie informatiche, le quali consentono indubbiamente di semplificare e migliorare l’esistenza dell’uomo, giungendo a risultati che altrimenti sarebbero al di fuori delle nostre possibilità.
Ma l’importanza assunta dal concetto di informazione nella vita pratica, nelle applicazioni concrete, ha finito per investire anche la sfera della conoscenza in generale, vale a dire quella delle concezioni relative al mondo che ci circonda e a noi stessi.
Oggi c’è chi arriva a paragonare l’intero universo a un enorme computer le cui leggi di funzionamento andrebbero viste, né più né meno, come algoritmi di calcolo (1). Nel campo della mente, il cognitivismo, ovvero la concezione del cervello come elaboratore d’informazione, nonostante i gravi limiti teorici già emersi (2), continua a godere di grande di prestigio, tanto da essere ritenuto da molti autori il miglior modello di spiegazione dei fenomeni mentali oggi disponibile.
All’interno di simili prospettive è quasi inevitabile cedere alla tentazione di considerare il contenuto veicolato dall’informazione come qualcosa di intrinseco, vale a dire dotato di valore assoluto e non una proprietà conferita dalla logica dello specifico linguaggio in base al quale l’informazione si costituisce come tale. Quello che intendo dire è che l’informazione, almeno all’interno dei sistemi costruiti dall’uomo, non è significativa di per sé, ma soltanto in riferimento alle modalità di codifica con cui essa è stata confezionata.
Qualsiasi contenuto informativo può essere ridotto a sequenze più o meno lunghe di 0 e di 1. Tali sequenze, per acquistare significato, devono però essere riconvertite in forme intelligibili per l’uomo mediante apposte interfacce, oppure in forme capaci di dare a esse un seguito operativo, come avviene normalmente nelle macchine controllate da sistemi informatici.
Ci si può rendere conto della totale relatività dell’informazione osservando che i simboli 0 e 1, che ordinariamente compongono le sequenze, potrebbero essere reciprocamente scambiati senza che il loro contenuto vada perduto. Affinché ciò avvenga, è sufficiente che i sistemi di codifica e di decodifica vengano opportunamente modificati. Supponiamo di trasformare il numero 26, del sistema decimale, nel sistema binario: otterremo la sequenza 11010. Chi ci vieta di sostituire gli 1 con altrettanti 0, e gli 0 con altrettanti 1? Avremo così la sequenza 00101. Se i sistemi di codifica e di decodifica vengono modificati per funzionare secondo questa nuova logica, nulla cambierà nel contenuto di informazione.
Del resto, tutti i sistemi utilizzati per crittografare i messaggi e renderli indecifrabili da chi non sia in possesso del codice per la decodifica, funzionano su principi analoghi, anche se ovviamente assai più complessi.
Da queste brevi considerazioni ci si può render conto che l’informazione presente nei sistemi da noi realizzati è sempre relativa al sistema utilizzato per codificarla, e quindi il suo contenuto emerge solo facendo riferimento ai significati attribuiti ai simboli con cui essa si esprime.
Da questa prospettiva appare quanto mai inconsistente, o per lo meno azzardata, l’idea di poter comunicare con ipotetici esseri extraterrestri inviando nello spazio messaggi elettromagnetici o artefatti contenenti informazioni sulla nostra civiltà (dischi con tracce ottiche o magnetiche che, qualora decodificate opportunamente, possono tradursi in suoni o immagini). In realtà, l’unica informazione che simili messaggi sono in grado di trasmettere è che essi sono stati costruiti da esseri intelligenti. Quanto ai contenuti dei messaggi, essi rimangono del tutto inaccessibili, non conoscendo – gli ipotetici esseri extraterrestri – le modalità precise con cui le diverse forme di segnali possano essere tradotte in suoni e immagini.
La mancata presa di coscienza della relatività dell’informazione, ossia del suo essere legata indissolubilmente a uno specifico sistema di decodifica, è – secondo me – uno dei principali motivi della sua supervalutazione nella cultura contemporanea, che sfocia, in alcuni casi, in vere e proprie forme di mitizzazione. Credo sia venuto il momento di ricondurre il concetto di informazione nell’ambito che gli compete, sgomberando il campo da pericolosi fraintendimenti, come quelli che hanno indotto alcuni autori a ritenere che esso sia utile, o addirittura indispensabile, come fattore esplicativo di tutte le nostre capacità mentali.
Un passo importante per un salutare ridimensionamento dell’importanza attribuita al concetto di informazione è – a mio avviso – la presa d’atto che nel mondo inanimato l’informazione non esiste come tale. Pure errata è la credenza che il mondo sia di per sé informativo, come ha acutamente osservato Heinz von Foerster. (3)
Ancora più importante è il riconoscimento delle differenze sostanziali che l’informazione, e soprattutto il significato, assumono, rispettivamente, negli esseri umani e nei sistemi artificiali da essi realizzati.
Nell’uomo, il concetto di significato ha una connotazione assai ampia e variegata. Infatti, esso non è legato soltanto al gruppo sociale di riferimento, e in particolar modo all’influenza dell’ambiente culturale in cui l’individuo si trova immerso, ma deriva anche dalla propria esperienza personale. In questa seconda prospettiva, qualsiasi cosa può assumere un significato per un determinato soggetto: non solo immagini, suoni, parole, ma anche oggetti, persone, eventi, situazioni che, in un modo o nell’altro, richiamano esperienze vissute in passato o sono in relazione a specifici bisogni. Ci troviamo di fronte, in molti casi, a una capacità evocativa di oggetti, eventi e situazioni, i quali divengono simboli, portatori di significati, che spesso sono molto differenti da quelli ad essi attribuiti ordinariamente. Significati che derivano da contenuti o stati coscienti sperimentati in precedenza e che comunque sono in grado di suscitare nel presente nuove esperienze, cioè nuovi vissuti a livello cosciente.
Per un sistema artificiale, e segnatamente per una macchina basata sulla computazione, il “significato” (ammesso che sia ancora lecito utilizzare tale termine) è invece da porre in relazione con le operazioni che l’ideatore di un dato linguaggio di programmazione ha associato ai simboli che costituiscono il linguaggio stesso. Qui, il significato ha natura strettamente operazionale, essendo legato alle azioni da effettuare, in maniera del tutto automatica, sulla base di procedure predeterminate. Non c’è nulla che possa essere messo, neppure lontanamente, in relazione con una qualche forma di esperienza, e tanto meno di consapevolezza.
Il carattere distintivo del comportamento di tutte le macchine computazionali, anche quelle più complesse, è dunque l’automatismo che contraddistingue la loro attività. “Significato” è ciò a cui certi simboli condurranno, con necessità più o meno stringente: le operazioni da compiere, secondo modalità ben definite. Ciò vale pure per i sistemi connessionistici, dotati della capacità di modificare le loro risposte in base all’esito dei comportamenti precedenti. In questo caso, la “necessità” si trasferisce a un livello superiore: a quello degli algoritmi che codificano le modalità di apprendimento del sistema. Anche qui, però, tutto avviene in maniera completamente meccanica, al di fuori di qualsiasi traccia di consapevolezza di ciò che accade.
In definitiva, si può dire che ciò che distingue essenzialmente l’informazione (e quindi il significato) negli esseri viventi da quella che si realizza nei sistemi artificiali è la presenza dell’esperienza cosciente in un caso e la sua assenza nell’altro. Questa differenza è talmente grande, da far pensare di trovarsi davanti a forme fondamentalmente inconfrontabili, al punto da rendere opportuno l’utilizzo di termini diversi.
Nella concezione contemporanea dell’informazione, tuttavia, una simile differenza viene in genere sottovalutata, minimizzata, spesso del tutto ignorata, poiché, tenerne adeguatamente conto riproporrebbe problemi di non facile soluzione, che riguardano soprattutto la natura del rapporto che lega la coscienza alla sua base materiale e il ruolo svolto dalla coscienza nel processo di adattamento degli organismi all’ambiente.
Ecco perché i più preferiscono trattare l’informazione con modalità molto simili, sia che essa riguardi i sistemi computazionali, sia che si riferisca agli esseri viventi, e in particolare all’uomo.
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NOTE
(1) Wheeler ha coniato l’espressione “it from bit” per sottolineare che ogni particella o campo di forze dell’universo derivano il loro significato e la loro stessa esistenza da un apparato che può essere ricondotto a un sistema binario (John A. Wheeler, A Journey into Gravity and Spacetime, Scientific American Library, New York, 1990).
(2) Cfr. Il mio breve articolo “Il cognitivismo alla resa dei conti”, su Sitosophia
(3) Cfr. Heinz von Foerster: «L’ambiente non contiene informazioni; l’ambiente è quello che è […] Quello di “informazione” è un concetto relativo che assume un significato solo quando viene posto in relazione con le strutture cognitive dell’osservatore» (Heinz von Foerster, Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma, 1987, pag. 158).
Aggiunto il 01/01/1970 01:00 da
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