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Il tempio greco

Nel 2022 l’editore Solferino ripropone la stessa antologia pubblicata l’anno precedente dal Corriere della Sera con una nuova presentazione di Nicoletta Cusano che attribuisce a Severino l’ambizione di superare il dualismo tra l’essere di Parmenide e il divenire di Epicuro con l’eternità delle cose (Emanuele Severino, Il dito e la luna. Riflessioni su filosofia, fede e politica (1979-2014), Presentazione di Nicoletta Cusano, Milano, Solferino, 2022). Se fosse vero sarebbe falso. Se fosse vera l’oscillazione della filosofia tra l’essere e il divenire, sarebbe falso: all’essere di Parmenide Severino preferisce il divenire di Erodoto. Il filosofo, che pretende di ritornare a Parmenide, riprende da Hegel e Gentile il superamento della metafisica cristiana e al Dio trascendente che promette il paradiso in cielo sostituisce il Dio immanente che realizza il paradiso in terra con il progresso della tecnica e il divenire dello spirito. 

Il paradiso dell’Apparato, dell’Apparato industriale-tecnologico, va oltre i limiti attuali della civiltà tecnica e risolve le contraddizioni del nichilismo occidentale: «Quando si tenta di gettare uno sguardo sul paradiso dell’Apparato, si deve innanzi tutto evitare di attribuirgli i limiti che ancora oggi condizionano la configurazione della scienza e della tecnica. Superata la conflittualità ideologica e l’impotenza che essa introduce nell’Apparato, non esistono motivi per escludere che l’Apparato possa non solo liberare l’uomo dai bisogni materiali e allontanare sempre di più l’incubo della morte, ma abbia anche la capacità di predisporre le condizioni che consentono all’uomo di raffinare la propria sensibilità per la tolleranza, la gentilezza, l’amore, la felicità e per ciò che da sempre sta al di là di ogni orizzonte raggiunto e intravisto» La filosofia futura 99). Ovviamente Severino conosce i disastri provocati dalla scienza e dalla tecnica nell’epoca che promuove l’onnipotenza della produzione e della distruzione. E pensa soprattutto alla bomba atomica e all’inquinamento industriale (La filosofia futura 169 «Si teme non solo la catastrofe ecologica, ma anche l’annientamento nucleare»), ma confida nell’astuzia della ragione per rimediare agli errori della storia e garantire agli uomini il progresso del benessere e della felicità (La filosofia futura 157 «La civiltà della tecnica viene spesso dichiarata incapace di soddisfare i bisogni più profondi dell’uomo. Ma […] il paradiso dell’Apparato può predisporre le condizioni che rendono possibile la soddisfazione non solo dei bisogni “materiali”, ma anche dei bisogni “spirituali”, della bontà, della giustizia, della bellezza, della cultura»).

            Nella storia del nichilismo dai filosofi greci ai giorni nostri Severino attribuisce ai filosofi greci sia l’invenzione del divenire, il nulla o non-essere, sia l’invenzione dell’essere, Dio o la verità. Ma al senso greco del divenire (Il dito e la luna 38 «La civiltà della tecnica è il modo in cui oggi domina il senso greco della cosa») oppone il senso greco della verità (Tecnica e architettura 57 «il senso greco-tradizionale della verità e di Dio»). Il doppio senso greco? nella storia dell’Occidente domina il senso greco del divenire o il senso greco dell’essere? Sembra più verosimile un’altra storia che distingue due periodi, l’uno dai Greci ad Hegel e l’altro da Hegel ai giorni nostri: nel primo domina la storia dell’essere o della verità (La filosofia futura 62 «Tuttavia la tradizione epistemico-metafisica, dai Greci a Hegel, afferma l’esistenza di un Senso unitario, immutabile e diverso dalla realtà, perché ritiene che senza di esso il divenire del mondo sarebbe impensabile»), nel secondo la storia del divenire o del nulla che pone fine alla tradizione filosofica dell’Occidente (Tecnica e architettura 55 «il tramonto della verità non solo in quanto mezzo per la realizzazione della felicità, ma in quanto scopo dell’agire dell’uomo. Tramonta la stessa scienza della verità, il cui contenuto, lungo l’intera tradizione dell’Occidente, è il divino, l’Essere eterno e immutabile»). La storia del nichilismo non precede la storia dell’essere, ma cova all’interno dell’Occidente, nel sottosuolo della storia e si manifesta pienamente soltanto in epoca moderna. Il nichilismo sotterraneo che Severino attribuisce ai greci e ai cristiani non appartiene né agli uni né agli altri, ma dipende dalla grande filosofia contemporanea a cominciare da Leopardi e Nietzsche (Tecnica e architettura 58 «La potenza invincibile della filosofia contemporanea ha dunque il carattere del sottosuolo. […] Qui limitiamoci ad affermare che verso i primi passi di questo cammino ci fa rivolgere Nietzsche»). Del resto la storia del nichilismo in Severino prevede anche un terzo periodo per il futuro in cui l’essere della verità e il divenire delle cose coincidano nel trionfo del progresso e della tecnica secondo le indicazioni dell’idealismo tedesco e italiano che suggeriscono la conciliazione del divenire con l’essere, perché diviene ciò che esiste ma nello stesso tempo esiste ciò che diviene.

Se la storia dell’Occidente fosse la storia del nichilismo, come suggerisce Severino in modo ambiguo e contraddittorio, sarebbe difficile comprendere o giustificare il tramonto dell’Occidente, della stessa tradizione occidentale che implica l’affermazione della tradizione. Se non ci fosse piuttosto la costruzione dell’Occidente non ci sarebbe alcun tramonto né alcuna crisi dei valori. Nella storia dell’Occidente, almeno nel primo periodo, sul nichilismo dei valori prevale la costruzione dei valori, come testimoniano l’arte e la cultura. E in particolare l’architettura, come sostiene lo stesso Severino negli scritti sull’architettura, che l’editore Mimesis ripropone nel 2021 con una introduzione di Renato Rizzi che attribuisce lo squallore delle periferie all’assenza di Dio e del tempio greco (Emanuele Severino, Tecnica e architettura (2003), a cura di Renato Rizzi, prefazione di Luca Taddio, Milano-Udine, Mimesis, 2021). «Per costruire una casa bisogna distruggere il prato o il bosco» (Filosofia futura 168), ma gli uomini non costruiscono case per distruggerle, sebbene non abbiano esitazioni nella distruzione del prato.

In Severino il tempio greco diventa il simbolo della perfezione che rappresenta Dio in terra e il modello per la bellezza di ogni edificio antico e moderno (Tecnica e architettura 135 «Nell’architettura tradizionale la bellezza appartiene all’essenza della bellezza, perché concentra in sé gran parte della forza simbolica con cui l’edificio mostra di essere rivolto e inscritto nell’Ordinamento eterno e divino del mondo»). Secondo Severino l’architettura trasforma le cose in case dai tempi degli Egizi fino ai nostri giorni per offrire agli uomini un riparo contro le insidie della natura selvaggia, fino al Novecento quando la storia urbanistica dell’Occidente si interrompe con il nichilismo moderno che al tempio greco oppone il grattacielo americano che vuole sfidare il cielo con la tracotanza degli uomini, una sfida diabolica che prima o poi Dio vendicherà. Come sostiene Severino il tempio greco è differente dalla piramide egizia e la cupola italiana è differente dal grattacielo americano, ma Dio preferisce il tempio greco alla piramide egizia e la cupola italiana al grattacielo americano che per suo maggior degrado dipende dal ferro e dal cemento armato. Se avesse visto anche le torri medievali accanto ai teatri antichi e l’ambiziosa cupola sul duomo di Firenze, Severino avrebbe potuto concludere che Dio non si accontenta della geometria greca, orizzontale e quadrata (Tecnica e architettura 130 «la misura e l’armonia geometrico-matematica»). Del resto il Dio di Severino a Monet preferisce Leonardo, che nell’Ultima cena parla di Dio per dimostrare la superiorità ideologica della pittura antica sulla pittura moderna che invece parla agli uomini. Nel San Giorgio Maggiore al crepuscolo Severino non vede la presenza di Dio, ma la degenerazione narcisista della coscienza moderna. Nel crepuscolo di Monet legge il crepuscolo della tradizione artistica dell’Occidente e non vede il fascino del crepuscolo (Dike 260 «Tra il XIX e il XX secolo l’arte mostra nelle proprie opere il disfacimento delle forme che nel mondo rispecchiano la Forma immutabile»).

Negli scritti sull’architettura Severino ripete le consuete critiche al progresso tecnico che provoca la distruzione della terra, senza tuttavia rafforzare la polemica perché prevede piuttosto la fine del capitalismo che la fine della tecnica destinata in futuro a consolidare il benessere dei popoli (Tecnica e architettura 85 «È prevedibile che le energie alternative non inquinanti divengano disponibili sino al punto di rendere possibile una produzione economica capace di essere, insieme, capitalistica e non distruttiva»). In modo analogo è inevitabile un ritorno all’architettura classica dopo le illusioni del modernismo novecentesco che confonde il contenuto con la forma e antepone l’utile alla bell(Tecnica e architettura 134 «al di sotto del rifiuto del passato da parte della cultura, dunque dell’arte, dunque dell’architettura moderna agisce una forza incontenibile, una necessità inevitabile che non consente di porre sullo stesso piano tutte le forme culturali»). Alle macchine per abitare concepite da Le Corbusier per liberare il contenuto moderno dal soffocamento della forma antica Severino preferisce le macchine teatrali che esibiscono la decorazione della tradizione occidentale sia pure a svantaggio dei residenti.

            Secondo Severino si può uscire dalla follia del nichilismo, ma non si può uscire dall’Occidente, dalla sua storia e dai suoi valori, con un processo di integrazione che concilia l’essere con il divenire, la conservazione con l’innovazione, «perché l’abbandono della tradizione occidentale può essere qualcosa di autentico solo se esso è insieme la conservazione di tale tradizione, cioè solo se la dimensione da cui ci si allontana continua a rimanere in qualche modo presente nella nuova dimensione in cui l’Occidente si porta» (Tecnica e architettura 154-5). Con una sorta di Aufhebung hegeliana il superamento della storia accoglie in sé la verità del passato e supera il dualismo tra antico e moderno, come la città moderna accoglie la città antica.

 

Bibliografia

Emanuele Severino, Il dito e la luna. Riflessioni su filosofia, fede e politica (1979-2014), a cura della Redazione Cultura, Milano, Corriere della Sera, 2021; poi Emanuele Severino, Il dito e la luna. Riflessioni su filosofia, fede e politica (1979-2014), Presentazione di Nicoletta Cusano, Milano, Solferino, 2022

Emanuele Severino, La filosofia futura (1989), Nuova edizione riveduta, Milano, Rizzoli, 2006

Emanuele Severino, Tecnica e architettura (2003), a cura di Renato Rizzi, prefazione di Luca Taddio, Milano-Udine, Mimesis, 2021

Emanuele Severino, DikeMilano Adelphi, 2015

 




Aggiunto il 29/03/2022 09:02 da Bruno Telleschi

Argomento: Filosofia contemporanea

Autore: Bruno Telleschi



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