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Il continuo del potere

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Sandro Vero

IL CONTINUO DEL POTERE

Una metafora del suo carattere “sistemico” in Foucault

 

 

 

Introduzione

 Quello che in questo scritto è proposto somiglia ad un’operazione retorica che sta fra la metafora e la metonimia. In realtà, oscillando fra la considerazione della dissomiglianza apparente (metafora) e della somiglianza conclamata (metonimia), il discorso sulla concezione del potere di Foucault incontra per la sua strada l’irresistibile tentazione di confrontarsi con la nozione di “sistema”, specie nell’accezione in cui questa è posta dentro al paradigma della complessità e in relazione a quella che i logici chiamano l’ipotesi del continuo. Queste ultime – e il cerchio sembra chiudersi –sembrano, con il filosofo francese,  qualità precipue del potere come sistema, sfrondato di ogni residuo soggettivismo, psicologico o filosofico.

Il solco percorso da Foucault, è – per non andare troppo indietro – quello impresso da Hegel (per la sua concezione dello stato), da Marx (senza le implicazioni dialettiche di questi), e – infine – dagli autori che a diverso titolo si ascrivono nel quadro dello strutturalismo.

 

1.       Un potere onnicomprensivo

 

1.1.  La concezione del potere di Foucault è pervasiva, si potrebbe perfino dire onnicomprensiva. Frequentemente annette al dominio semantico del termine quelle che potremmo qui definire “azioni” (vale a dire elementi attivi di ordine simbolico e comportamentale finalizzati al suo radicamento e alimento) e – contemporaneamente – ciò che invece potremmo definire “controreazioni” (vale a dire elementi in apparenza critici, avversativi, la cui natura e il cui fine sembrano limitativi rispetto al potere medesimo).

Un passaggio fondamentale del suo pensiero che spiega con una certa evidenza tale considerazione è quella in cui enumera una serie di proposizioni che sviluppano in modo analitico il suo concetto di “onnipresenza” del potere[1]:

-          le relazioni di potere sono immanenti ad altre relazioni (economiche, conoscitive, sessuali) e non esterne ad esse

-          il potere procede dal basso verso l’alto: le micro-divisioni del tessuto sociale supportano le macro-divisioni in cui si articola

-          le relazioni di potere sono insieme intenzionali e non soggettive: rispondono cioè ad un calcolo ma non sono riconducibili ad un soggetto individuale che le detenga sopra gli altri

-          la resistenza al potere non gli è esterna ma, anche in questo caso, immanente allo stesso[2].

1.2.  Ognuna delle proposizioni precedenti meriterebbe un approfondimento specifico.  L’economia complessiva del presente scritto rende parzialmente sufficiente riassumere i diversi piani introdotti (sociologico, psicologico, ontologico) nella seguente annotazione:

Foucault tratta la nozione di potere come se si trattasse di una nozione biologica: in essa i meccanismi della sua esistenza e della sua perpetuazione sono descritti alla stregua di meccanismi vitali, i quali ultimi hanno di certo bisogno di una finalità (una teleologia) ma non certo necessariamente di una soggettività[3]

La biologia si insinua nella trama fittissima delle relazioni di potere non solo a monte, nella descrizione del suo status ontologico, ma anche a valle, nella trattazione dei dispositivi mediante i quali esso si afferma, dilagando nel piano della fattualità: dispositivi di discorso (logos) e dispositivi corporali (bio-politica).

1.3.  Una contraddizione apparente (o che si è rivelata tale alla luce dei recenti sviluppi della filosofia delle forme di potere) del pensiero foucualtiano è quella relativa alla considerazione della non-soggettività del potere e, al contempo, del suo crescente ricorso a strategie diffuse, capillari, di “soggettivazione”, mediante la quale il potere penetra nel quotidiano degli individui e azzera la cesura fra piano delle forze oggettive e piano della partecipazione personale alle dinamiche del potere stesso.

La contraddizione è solo apparente, se si pone mente al fatto che la nozione di “soggettivazione” non implica necessariamente una dimensione di soggettività, nel senso in cui solitamente intendiamo quest’ultima, ovvero la dimensione in cui si ha coscienza di sé, dei propri bisogni e delle proprie risorse. Il concetto foucaultiano di “soggettivazione” sembra implicare  una mera dimensione di attivazione di meccanismi personali, individuali, di disponibilità, di esecuzione di compiti, di strutturazione del campo fenomenico di valori e di valorizzazioni rispetto a quanto il potere propone, richiede.

1.4.  Ancora, lo stesso Foucault fornisce un chiarimento esaustivo di ciò che il potere è, esattamente in termini oggettivi, sottolineandone il carattere di corpo, di “organismo”, di sistema complesso[4] dotato di leggi interne (che regolano il suo funzionamento strutturale) ed esterne (che sovrintendono al suo rapporto funzionale con un intorno definibile)[5

Vedremo più avanti come una considerazione simile del potere sia riformulabile in termini sistemici.

1.5.  Il punto di maggiore originalità della teoria del potere in Foucault è probabilmente nella centralità che egli assegna, fra le “tecniche” mediante le quali il potere controlla e dirige, a quella della generazione, del radicamento e – soprattutto – della proliferazione dei discorsi, i quali ultimi, ancora una volta, non implicano l’ipostasi di una realtà soggettiva. Per l’Autore infatti non c’è un’istanza del parlante che semina e poi raccoglie frutti linguistici in ordine al suo bisogno e scopo: egli spesso riassume il suo concetto di “discorso” con l’espressione “c’è pensiero”, ovvero un discorso fluttuante, che a stento si posa nei contesti concreti e molto più spesso volteggia, libero nell’aria, a moltiplicarsi senza sosta[6].

Il paradigma storico di un tale dispositivo è l’istituto della confessione, che dalla fine del XVIII secolo ai giorni nostri vede una crescente proliferazione. Specie in un ambito particolare quale quello della sessualità, nozione problematica e affatto contemporanea.

 

2.       La nozione di “sistema”

 

2.1.  Un sistema è un insieme di unità interagenti che sono in relazione fra loro[7]

Questa è una definizione generale di sistema i cui elementi lessicali forniscono, ognuno per suo conto e insieme, i contenuti di aggancio per la nostra argomentazione:

-          Insieme: la totalità di un paradigma che, in un certo momento storico, struttura il sapere[8]

-          Interazione: ciò che caratterizza una “struttura”

-          Relazione: La forma stabile di un’interazione.

 

2.2.  Per introdurre alcuni concetti basilari della teoria dei sistemi, che vedremo essere molto utili per comprendere la natura “sistemica” della concezione foucaultiana di potere, tornerà interessante partire dalla definizione che del sistema dà Miller, nel suo saggio prima citato (vedi nota 5), in particolare là dove si distingue fra:

 

-           sistemi locali o dispersi, questi ultimi essendo caratterizzati da:

 

 - Un maggior grado di comunicazione fra le sue parti cosicché possa funzionare

 - Un maggior grado di energia circolante richiesta

                    -       sistemi integrati o non integrati, questi ultimi caratterizzati da:

                             - un numero >1 di “decisori”, ciascuno dei quali controlla un sottosistema o un componente[9] 

 2.3. Entrambe le definizioni precedenti sembrano coincidere con la caratterizzazione che Foucault dà del potere: come – appunto – di un sistema diffuso, disperso, capillare, la cui centralizzazione non gli è consustanziale, necessaria, in quanto i dispositivi mediante i quali esercita il suo controllo tendono inesorabilmente a soggettivizzarsi (nel senso in cui egli intende la “soggetivazione”), richiedono cioè una quantità decrescente di energia fisica e – al contempo – una quantità crescente di informazione (comunicazione) circolante. Per Foucault, poi, il sistema-potere è non integrato, vale a dire che i nodi decisionali, i punti focali di maggiore investimento sono mobili, dinamici, attribuiti a più “agenzie” dislocate nello spazio: ad esempio i media, la pubblicità, le istituzioni mediche, quelle educative, e così via.

                      

 

 

3.       Il continuo del potere

 

3.1.   Il concetto di “continuo”, nella sua accezione matematica e meta-matematica, è un’altra potente metafora che si gioca nella interpretazione sistemica della teoria di Foucault.

Il continuo matematico caratterizza quei sistemi numerici cosiddetti densi, non enumerabili, cui cioè non è possibile associare, in una corrispondenza biunivoca, punto a punto, la successione numerica decimale. L’insieme dei numeri reali è un esempio di sistema denso, appunto continuo, non enumerabile, distinguendosi dall’insieme dei numeri razionali.

 

 

3.2.  La tecnica logico-matematica che permette di dar conto di questa caratteristica precipua dei sistemi densi è il metodo diagonale, introdotto dal logico inglese George Cantor. Non è questo il contesto in cui illustrare nei dettagli il metodo in questione, per cui ci limiteremo a tratteggiare i punti salienti che intuitivamente esprimono la dimostrazione di come tali sistemi siano “diversi” dagli altri, di come – cioè – gli insiemi continui siano totalmente altro rispetto a quelli discreti.

 

-          Dati due elementi di una successione continua, è sempre possibile provare l’esistenza di un elemento intermedio, che sta fra i primi due, e così via all’infinito

-          Trattandosi in ogni caso di insiemi infiniti (sia nel caso dei numeri razionali sia in quello dei numeri reali), quella dell’infinitezza non è la qualità discriminante, come dimostra anche il fatto che

-          Qualunque sottoinsieme proprio di un insieme infinito (come ad esempio quello dei numeri pari rispetto ai numeri naturali) sia esso stesso infinito (ed enumerabile, cioè associabile punto a punto alla successione dei numeri naturali stessi)[10].

 

3.3.   La metafora è pronta per essere fatta agire dentro al pensiero di Foucault. Ma per farlo ci avvarremo di un’altra metafora a sostegno, di stampo “figurativo”, che renderà la caratteristica continua del potere ancora più evidente.

Se il potere sorveglia[11],

 ascolta moltiplicando i discorsi[12],

 dicotomizza e separa[13],

 allora si può provare a immaginarlo come uno spazio disseminato di strumenti di captazione, per esempio microfoni, che registrino costantemente ciò che circola nell’aria. La qualità continua del potere si esprime mediante l’ipotesi che tali microfoni (figure metaforiche del potere) siano capaci di ospitare, al loro interno, dispositivi di captazione più fini che abbiano la funzione di registrare l’attività dei microfoni stessi. Si immagini, ancora, che tale “collocazione” sia replicata all’infinito, che sia cioè ripetuta in modo che dentro l’n-esimo dispositivo sia inserito l’n+1-esimo, ad ogni passaggio e in ogni livello inferiore ripetendo la funzione di captazione al fine di cogliere quanto al livello superiore avviene nell’interazione fra il microfono e l’”ambiente” in cui opera.

3.4.  Il dispositivo non deve essere necessariamente di captazione, dunque passivo. Può essere di “produzione”, dunque attivo, ad esempio un generatore di rumore. Per il quale si può pensare ad una gerarchia infinita (infinitamente decrescente) esattamente come per il caso del microfono.

In realtà il modello figurativo più consono all’idea che Foucault ha del potere è più simile ad un dispositivo completo in cui siano co-presenti la funzione di ascolto e quella di produzione. In ogni caso caso la metafora riproduce uno dei principi fondamentali del sistema-potere in Foucault: il suo essere un potente generatore di discorsi. I quali ultimi presuppongono una correlazione con l’esperienza del dicibile e dei suoi confini.

3.5.  Si assuma, a questo punto, che rispetto al dicibile è possibile distinguere

-          Una posizione orizzontale, vale a dire: non c’è niente che non possa essere detto, significato

-          Una posizione verticale, vale a dire: ciò che può essere detto può essere ri-formulato in modo da comprendere anche l’esperienza stessa del dire quella cosa[14].

La seconda definisce in modo più convincente (ed esauriente) la funzione logo-poietica del potere e il carattere continuo (cioè denso) della sua estensione[15].

 

 

 

 

4.       Lo spazio logico-semantico globale

 

4.1. Un passaggio, apparentemente poco significativo, del Trattato di Semiotica di Umberto Eco ci introduce alla considerazione della semioticità dell’ideologia, ovvero la concezione che le visioni del mondo che si organizzano a partire da presupposti storici, e dunque transitori e cangianti, ovvero le ideologie, sono – per quanto disperse nella rete semantica globale – strutture costituite intorno a fuochi valoriali precisi e si dispongono  come percorsi interpretabili[16].

4.2.  L’argomentazione di Eco comincia dall’errata considerazione dell’ideologia come residuo extrasemiotico, sostanzialmente estraneo ad ogni codifica e pertinente solo ad una presupposizione pragmatica. Eco è esplicito:

“Ma ciò che deve essere presupposto – senza che il codice lo registri – è che l’emittente aderisca a una data ideologia: invece l’ideologia stessa, tema della presupposizione, è una visione del mondo organizzata che può essere soggetta all’analisi semiotica”[17].

D’altra parte, secondo lui “un sistema semantico costituisce un modo di dare forma al mondo”. Quando tale sistema non è sottoposto al controllo metasemiotico (che può essere compito della scienza o – più verosimilmente – della filosofia nel suo asset critico), e si afferma e dilaga come visione universale, non opzionabile, ciò dà luogo a quello che Marx intende con “falsa coscienza”, ovvero l’occultamento teorico (o anche solo “discorsivo”) di concreti rapporti (materiali) di potere.

4.3.   Il sistema-potere che ci propone Foucault è aggredibile, nei suoi reticoli discorsivi, come un sistema di senso attraverso cui è possibile – come in filigrana – scorgere le concrete, dinamiche declinazioni dei rapporti di forza agenti in una società. Foucault lo fa utilizzando soprattutto strumenti storici; la semiotica – emancipata dalle sue radici formali e rigenerata da un diverso rapporto fra codici e mondo – può fare il resto[18].
              

 

  

     


[1]M. Foucault, La volontà di sapere, tr.it. Feltrinelli 2008¹³, p. 82: “onnipresenza del potere: non perché avrebbe il privilegio di raggruppare tutto la sua invincibile unità, ma perché si produce in ogni istante, in ogni punto, o piuttosto in ogni relazione fra un punto ed un altro.”

[2]Ivi, pp. 83-86.

[3]Una caratterizzazione, quest’ultima, che può valere anche per la concezione hegeliana della storia, in cui si realizza il percorso dello “spirito del mondo” senza che questo consista mai in una precisa volontà individuale: G. W. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, Laterza 2003⁵.

[4]“ Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo (corsivo nostro) in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraverso lotte e scontri incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte…..”: La volontà di sapere, p. 82. Una tale caratterizzazione è debitoria verso lo strutturalismo come verso la teoria dei sistemi.

[5]La distinzione fra sistemi strutturali e processi funzionali, in debito allo strutturalismo, è una delle chiavi di volta della semiotica di ispirazione saussuriana quale quella formulata da Umberto Eco nel suo Trattato di semiotica Generale, Bompiani 1975. Cfr. anche J.G. Miller, La teoria generale dei sistemi viventi, tr.it. Angeli, 1978², pp. 131-133.

[6]M. Foucault, L’ordine del discorso, tr. it. Einaudi, 1972⁶.

[7]Miller, cit. p. 48.

[8]M. Foucault, Archeologia del sapere, tr. it. BUR 1988.

[9]Miller, cit., pp. 99-100.

[10]Il metodo diagonale è centrale nella complessa costruzione delle prove gödeliane dell’indecidibilità dei sistemi mediante i mezzi sintattico-semantici interni. Per questo si veda  Francesco Berto, Tutti pazzi per Gödel, Laterza, Bari 2008², pp. 38-42. Per l’ipotesi del continuo si veda anche  Andrea Sani, Infinito, La Nuova Italia 1998, pp. 115-121.

Interessante la proposta di Emil L. Post, nel suo Insiemi ricorsivamente enumerabili di interi positivi e loro problema di decisione, di presentare il teorema di Gödel in una forma più discorsiva e sintetica: in Armando De Palma (a c.), Linguaggio e sistemi formali, Einaudi 1974, pp. 115-119.

[11]M. Foucault, Sorvegliare e punire, tr. it. Einaudi 1975.

[12]La volontà di sapere, cit.

[13]M. Foucault, Le parole e le cose, tr. it. BUR 2009⁹.

[14]S. Vero, Le strutture profonde della comunicazione, Bonanno 2006, pp. 44-45.

[15]Diremo funzione “logo-poietica” quella di un dispositivo che favorisce, genera costantemente discorsi e – mediante questi – classificazioni, gerarchie, strutturazioni.

[16]U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani 1975, pp. 359-371.

[17]Ivi, p. 359.

[18]Paolo Fabbri, La svolta semiotica, Laterza 2003².




Aggiunto il 18/02/2015 12:37 da Sandro Vero

Argomento: Filosofia politica

Autore: sandro vero



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