La pervasività è una caratteristica peculiare che il potere intrattiene con la società che controlla. A un punto tale che quella del controllo è diventata un’azione preminente anche rispetto a quella della governance. Michel Foucault ha reso il concetto di “potere” talmente fluido, cangiante, adattabile da avere quasi favorito l’equivoco che nel mondo non esista più: il pegno teorico che dobbiamo pagare per accettare il passaggio da una ontologia del potere ad una epistemologia dello stesso, dalla sua forma repressiva a quella manipolativa, dalla sua sacralità alla sua continua mitopoiesi.
Il mito è, nella post-modernità, vistosamente declinato a funzione circolare dell’incantamento, perdendo la funzione, che aveva avuto nella classicità, di raccordo fra l’esperienza e l’ignoto. Nel mito della società capitalistica post-industriale si realizza alla perfezione la potenzialità meta-linguistica che Roland Barthes aveva descritto nel suo Miti d’oggi, sagace bestiario delle prime nefandezze della società dello spettacolo – per dirla con Debord – nella Francia del dopoguerra e della ricostruzione.
Di che si tratta? Il meta-linguaggio è un linguaggio che parla di un altro linguaggio: scrivo un libro, con il linguaggio dei segni verbali, per parlare (ad esempio) della LIS, la lingua dei sordomuti. Il linguaggio verbale (metalinguaggio espressivo) erge a suo contenuto la LIS (linguaggio-oggetto).
Solo, nel mito moderno e post-moderno la funzione metalinguistica è spostata dal piano del contenuto a quello dell’espressione: la LIS (ovvero una qualche sua manifestazione concreta) utilizzata in uno spot pubblicitario nel quale si proponga il concetto-equivalenza “handicap/riscatto”. Magari, che so?, per vendere una nuova linea di automobili dall’apparenza dimessa ma reclamizzata come l’occasione per avere qualcosa di sicuro, affidabile, serio, capace di proiettare lo status dell’acquirente nella regione di “coloro-che-contano-nonostante-lo-svantaggio-iniziale”!
Ecco, il mito – costantemente in assetto di servizio – opera così: un linguaggio (o anche solo un segno, usato come sineddoche, per rappresentare un intero linguaggio) riciclato, riconvertito, per significare un contenuto altro, in una ridda di connotazioni crescenti che sviluppano una sorta di relazione parassitaria con quello. E la perdita secca di ogni rapporto diretto, reale con l’originaria funzione semiotica (la LIS non è un linguaggio “handicappato”: la sua struttura formale è altrettanto complessa di quella di un linguaggio formale della logica matematica!).
Ma la straordinaria potenza del mito nel mondo rovesciato (sempre Debord) non finisce qui.
Foucault ci ha fatto intravvedere una dimensione nascosta, inquietante, ancora più pervasiva del potere: quella della sua infinitezza, della sua assimilabilità analogica ai sistemi matematici cosiddetti “densi” o “continui”: fra un elemento e il successivo della serie dei numeri reali è sempre possibile definire un elemento intermedio. E così all’infinito.
In un film del 1974, Francis Ford Coppola affidò al genio recitativo di Gene Hackman il ruolo di un ex agente della CIA che sviluppa un tragico vissuto paranoide di controllo. L’epilogo del film non lo sveliamo (qualcuno potrebbe non averlo visto, ancora), ma l’idea che il potere possa piazzare un microfono dentro un microfono e poi dentro un microfono (appunto: all'infinito), in una sorta di continuità logica e fisica, ci sembra sposarsi bene con l'immagine che il filosofo francese ci consegna delle tecniche proliferanti del discorso.
Non sappiamo se abbia visto il film. Ci piace pensare che lo avrebbe gradito.
Aggiunto il 10/02/2015 13:02 da Sandro Vero
Argomento: Altro
Autore: sandro vero
Confronto fra il ruolo delle donne nella teoria democratica di Rousseau e i
LE PASSIONI DELL’ANIMA NEL PENSIERO DI DAVID HUME
Riflessioni a margine del testo di Habermas: “Morale, Diritto, Politica” LA FORMA ASTRATTA E UNIVERSALE DELLA LEGGE “Vi sono 144 usanze in Francia