ARTICOLI

Il Cielo del Nord e la corsa dell'Orsa

Il Cielo del Nord e la corsa dell’Orsa

Al principio dei tempi esisteva solo il Ginnungagap, l’immenso abisso. La sua estensione era talmente vasta che non era esistita né sarebbe mai esistito nessuno capace di conoscerne i limiti. Eppure qualcosa esisteva.

Nel suo saggio, Orione (ed. ECIG 1991), Lokamanya B.G. Tilak (1856-1920) assevera, immediatamente in apertura, che i termini “sacrificio” e “anno” sono da ritenersi sinonimi. Il sacrificio è tutto ciò che contraddistingue la vita: la vita è sacrificio; la vita è altresì un rito, cioè qualcosa che si ripete, ciclicamente: l’anno rappresenta quindi la misura del ciclo vitale di riferimento. Anche noi, oggi, calcoliamo la nostra vita in base al numero degli anni trascorsi. Ma: in che modo l’anno è considerata la misura a cui fare riferimento? In realtà, occorre fare riferimento, innanzitutto, a qualcosa che più comunemente appare ripetersi nel corso della vita naturale, e dunque senz’altro l’alternanza quotidiana di giorno e notte – Parmenide dirà luce e tenebre – e anche la ripetizione del ciclo solstiziale delle stagioni. Pertanto: i punti equinoziali e solstiziali costituiscono gli eventi naturali considerati fondamento di una teoria, che diciamo “iniziale”. Ma: è proprio in ordine a questo punto, “iniziale”, che dobbiamo soffermarci: la determinazione dell’“inizio”, infatti, può essere verificata e tracciata in due diversi modi. Facendo riferimento alla teoria che fonda l’osservazione sulla linea immaginaria dell’equatore, l’osservatore rileva semplicemente la posizione degli astri nel cielo rispetto alla linea dell’orizzonte - oppure alla teoria che fonda l’osservazione sulla linea immaginaria dell’eclittica e quindi la teoria meglio nota della precessione degli equinozi relativa al moto della Terra il cui asse di rotazione subisce un graduale e lento spostamento.

Il punto di dibattito è fondamentale. La teoria della precessione calcola uno spostamento dei punti rispetto al polo dell’eclittica, e cioè al cerchio del sole intorno alla terra, pari a 1° ogni 72 anni. E quindi uno spostamento che sarebbe stato più difficile comprendere da un comune osservatore o comunque un osservatore che non avesse avuto a disposizione una serie di relative annotazioni, per almeno un numero multiplo di un “secolo”. In linea teorica, questa seconda ipotesi non può essere esclusa. Ma: gli elementi raccolti da Tilak e altri, come vedremo, fanno ritenere assai probabile, diremmo piuttosto certa - se non fosse che i nostri più antichi progenitori ci hanno tramandato e insegnato a essere “scettici” - la tesi che ripete l’osservazione “iniziale” in ordine alla posizione degli astri nel cielo rispetto alla linea dell’orizzonte e quindi alla linea immaginaria dell’equatore. Il che non significa affatto che la terra fosse considerata piatta. A un più antico osservatore, il moto di ciascuna stella, ammesso che fosse reale, appariva così tale da consentire a essa stessa di occupare occupasse sempre lo stesso posto nel cielo. Da qui la terminologia di stella e stelle “fisse”. Lo spostamento di 1° ogni 72 anni, possiamo dire che, almeno all’“inizio”, non fu notato. Ma: vi è prova di questo ragionamento “iniziale” nei testi sacri antichi, e in particolare nell’antichità dei Veda? Così che sia anche possibile risalire a una datazione dei testi stessi?

Abbiamo anticipato che avremmo fatto riferimento anche a elementi raccolti da altri, e in particolare, leggendo Platone, innanzitutto alle rilevazioni che Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend (cfr. Il mulino di Amleto, Adelphi VIII ed.) operano in ordine ai nomignoli dell’equatore, che per Platone è appunto “il Medesimo”, e dell’eclittica, che Platone chiama viceversa “l’Altro”. Tilak sostiene che se l’osservatore antico dei Veda avesse fatto riferimento al cielo dell’Altro, e non del Medesimo, le immagini e quindi gli asterismi riportati nei più antichi testi dovrebbero far pensare a una datazione e conseguente redazione degli antichi testi risalente a circa 24.000 anni fa. Il traduttore e commentatore dell’edizione citata, Giuseppe Acerbi, contesta questa impostazione teorica, affermando che Tilak sia stato precipitoso nel difendere la sua impostazione o chiave di ricerca e che abbia piuttosto confuso il significato degli asterismi trattati in Orione, ritenuti peraltro comuni a tutte e tre le tradizioni arie di derivazione: indiana, persiana e greca. Parere che Tilak non condivide, perché ritiene, invece, che sia la tradizione parsi che quella greca abbiano ignorato o confuso il significato originario delle più antiche rappresentazioni astrali. A tale proposito, è difficilissimo confrontare le opposte tesi sulla base delle diverse rappresentazioni e quindi analizzare e confrontare in dettaglio i diversi linguaggi del mito; personalmente, non ne ho le capacità, e quindi preferisco fare piuttosto riferimento a un significato delle immagini così come spiegato, a emblema, dalla letteratura norrena. In particolare, essa chiama “kenning” (plurale: kenningar) una frase poetica che sostituisce, rimpiazzandolo con una perifrasi, il nome di una persona o cosa.

Cito soltanto un esempio tratto dai due Autori di Il mulino di Amleto, che tuttavia, almeno a me, sembra piuttosto eloquente. Si tratta dell’immagine delle Sette Stelle dell’Orsa, che gli autori definiscono “punto di riferimento obbligato in tutti gli allineamenti cosmologici sulla sfera stellata. Queste stelle dominatrici dell’estremo Nord sono legate in modo singolare ma sistematico con quelle che vengono considerate le potenze operative del cosmo, cioè i pianeti, nel corso del loro moto in diverse disposizioni e configurazioni lungo lo zodiaco”. Così che, la cognizione dei pianeti potrebbe ritenersi, agevolmente, un’acquisizione più recente o meno antica rispetto a un’altra lettura o interpretazione mitica dell’immagine della costellazione. In nota, i due Autori precisano: “La denominazione <Orsa Maggiore> - femminile sulla base del greco η árktos, da cui deriva il termine <Artide> - è sostanzialmente più diffusa rispetto a quella di <Gran Carro>. Tolomeo (Almagesto, 7, 5) enumerava 27 stelle-orse. Inoltre l’orsa corre nella direzione opposta a quella del carro: il timone del carro corrisponde alla coda (zoologicamente inappropriata alla specie) dell’orsa. Storicamente è più antica la concezione di un urside circumpolare, mentre il carro risale all’ambito mesopotamico, e precisamente al MAR.GID.DA, il carro da trasporto a quattro ruote dei Sumeri”.

Breve annotazione, significativa: anche Tilak nello sviluppo della sua tesi fa riferimento all’osservazione più antica di un cielo stellato suddiviso e rappresentato interamente da 27 stelle (Nakshatra) o asterismi. La nozione di asterismo, legata a una diversa interpretazione dei segni delle costellazioni, potrebbe essere quindi la causa della supposta separazione e divisione – ritenuta da Tilak – di un’unica tradizione, originale. Ma, quando sarebbe avvenuta questa separazione? E cosa l’avrebbe causata? Si tratta o si è trattato, davvero, di una diversa lettura e quindi interpretazione delle stelle? E infine, se così è stato, dove e come questo è avvenuto?

E allora, i nostri due Autori fanno riferimento all’Epopea di Gilgamesh e in particolare a una diversa via tracciata dall’eroe, il cui esito è quello di non aver potuto riportare in vita il suo amico fraterno Enkidu. All’immagine d’immortalità, più antica, delle stelle pertanto “fisse” viene sostituita l’immagine nuova della loro mortalità in quanto corpi celesti soggetti anch’essi al moto precessionale. L’astronomo-sacerdote farà d’ora in poi i suoi calcoli visivi in base all’eclittica (Altro) e non all’equatore (Medesimo). Addio al sistema delle stelle fisse, la Polare, Sirio e quant’altro … Marduk dice a Erra: “Quando mi alzai dal mio seggio (kenning) e lasciai irrompere il diluvio (kenning), allora si scardinò il giudizio della Terra e del Cielo (kenning: l’asse terrestre è inclinato, l’albero del mondo è divelto dai due poli, l’eclittica subentra all’equatore, il Grande Pan è morto) … Gli dei (rectius: astri) che tremavano, gli astri del cielo – mutò la loro posizione e io non li ricondussi indietro” (Ibidem).

Ha ragione Tilak. E lo dimostra il fatto che nell’epica indiana assistiamo a un regolare, e quindi ciclico, ritorno degli avatara. Ancora una volta, i nostri due Autori sembrano condurci per mano: “Dal momento che la funzione di Visnu è appunto quella di fare ritorno a intervalli di tempo fissi, nel poema (Mahabharata) non vi è alcun bisogno di dare grande spazio alla vendetta di Krsna sullo zio Kamsa. In Occidente invece, dove la continuità dei processi cosmici narrati dal mito è stata dimenticata – insieme con la conoscenza del fatto che gli dei sono astri -, a questa stessa vendetta viene data una notevole importanza, poiché si tratta di un evento non ripetuto, compiuto da un’unica figura, eroe o dio, il quale, inoltre, viene ritenuto creazione di qualche fantasioso poeta”.

Ritorniamo ora al calendario iniziale di Tilak. Oltre all’anno e al “giorno” – e in particolare vi consiglio di riflettere sul fatto che “un anno duri un giorno e una notte” (kenning relativa a un’ipotesi di dimora al Polo) -, quel più antico sacerdote-astronomo fissò altresì la durata ciclica del “mese” – quanto alla “settimana” ci affidiamo all’Orsa -, avendo riguardo alle fasi del ciclo della Luna. L’osservazione non poteva prescindere innanzitutto dai due più grandi corpi celesti: il Sole e la Luna. E quindi, il termine mese fu introdotto nel calendario facendo riferimento alle circa 12 fasi diverse comprese in un intero ciclo lunare ovvero un anno sidereo.

In definitiva: il ciclo lunare (o sidereo), annuale, misura 354 giorni; quello solare (o eliaco) misura 365,25 giorni. Il sacerdote-astronomo non pensò affatto di abbandonare uno dei due riferimenti sistematici: il Sole o la Luna. Egli pensò piuttosto di conservare entrambi e quindi introdusse nella calendarizzazione annuale dei giorni un cosiddetto “mese intercalare”. Si trattava di un metodo semplice, forse anche banale, ma è uguale al metodo che usiamo anche oggi con riferimento all’“anno bisestile”.

 

Si segnalano per approfondimenti:

L. B. G. Tilak, Orione, Ecig 1991

G. De Santillana-H. von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi 1983

S. Sturluson (a cura di G. Dolfini), Edda, Adelphi 1975

G. Drioli, Iperborea, https://www.academia.edu/23189156/IPERBOREA_PATRIA




Aggiunto il 28/01/2021 17:18 da Angelo Giubileo

Argomento: Filosofia della scienza

Autore: Angelo Giubileo



Approfondisci l'argomento

Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo Giorgio De Santillana, Hertha Von Dechend 21,85 €
Orione. A proposito dell'antichità dei Veda Gangadhar Tilak Bâl 18,05 €
Edda Sturluson Snorri 18,05 €

Altri articoli

L'uso onorifico di scienza nella critica di Susan Haack
Filosofia della scienza L'uso onorifico di scienza nella critica di Susan Haack

La critica all’uso onorifico di “scienza” in Susan Haack Susan Haack è una delle più innovative epistemologhe degli ultimi anni, grazie alle innovazioni apportate alle conc

Riccardo Cravero Cravero
Riccardo Cravero Cravero 03/03/2019
Passione, fede e alienazione: dalla teologia alla scienza sperimentale.
Filosofia della scienza Passione, fede e alienazione: dalla teologia alla scienza sperimentale.

“Anche se ammettiamo che l’età moderna cominciò con un’improvvisa e inesplicabile eclissi della trascendenza, della fede in un’aldilà, da ciò non consegue affatto che questa perdita abbia r

Alberto Cassone
Alberto Cassone 22/09/2020
Modernità delle Confessioni di Sant'Agostino
Filosofia antica Modernità delle Confessioni di Sant'Agostino

« Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l'uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo des

Mariella Chessa
Mariella Chessa 30/01/2015