1. Introduzione
Le fratture ossee, com'è risaputo, provocano, oltre al dolore, una discontinuità parziale o totale dell'osso interessato, separano un pezzo, in origine, unico. La metafora della frattura è indicativa per l'oggetto di queste pagine: il soggetto e il significato. Come ogni metafora, però, anch'essa ha i suoi limiti. Se da una parte, infatti, abbandonare/rompere una determinata immagine dell'umano, tramandataci dalle nostre tradizioni, può causare dolore, dall'altra, però, l'osso in questione, in origine, non era unico. Sarebbe riduttivo, oltre che irrispettoso, pensare davvero che lungo la storia dei pensieri, l'umano di ogni epoca abbia conservato intatta l'immagine di sé e delle sue pratiche esistenziali. Sebbene sia comodo suddividere la storia delle idee in tappe rappresentative non c'è dubbio che, sfogliando le opere di diversi autori di una stessa epoca, il panorama risulti essere variegato: insomma, come per il discorso concernente le transizioni dell'umano, anche quello delle fratture appare, in un certo senso, fuorviante.
Il motivo è semplice: checché se ne pensi l'umano è da sempre in transizione, è egli stesso che, attraverso il suo continuo divenire, provoca fratture e ricucimenti. L'umano, da questo angolo visuale allora, è da sempre fratturato, scomposto: ogni volta che egli tenta di accappararsi un centro, ogni volta che crede di raggiungere una mèta ecco che, per un motivo o per un altro, si ritrova, nuovamente, fratturato, scomposto, in transizione. È in quest'ottica che alcune analisi dello psicanalista Jacques Lacan e del filosofo Emiliano Bazzanella sembrano dare la stura a tutte quelle concezioni che vedono l'umano, i fenomeni e i significati che da essi emergono come un qualcosa di lineare, scandito nel tempo e/o riconducibili a qualche significato ultimo o primo che, ancora oggi, in specifici ambiti disciplinari vengono applicate andando a compromettere la comprensione di fenomeni odierni che, probabilmente, andrebbero inquadrati in cornici significanti più mutevoli e scomposte.
Il presente contributo, allora, seppur concentrandosi su tematiche apparentemente isolate, tenta di mostrare che, se il soggetto e i significati, siano un qualcosa costitutivamente fratturati, mutevoli, scomposti, allora, gli stessi fenomeni odierni, dalla politica alle nuove tecnologie, siano da interpretarsi, isomorficamente, in termini analoghi. È per un inizio, quindi.
2. Jacques Lacan
Nel «Il mio insegnamento e Io parlo ai muri», testo che raccoglie delle conferenze risalenti al 1967, sono presenti, seppur in modo generico, la maggior parte dei punti nodali del pensiero di Jacques Lacan; esso, al contrario dei «Seminari», si apre subito con alcune affermazioni lapidari che ci consentono di entrare direttamente al centro della nostra questione. Si legge, infatti: «il soggetto viene frabbricato tramite un certo numero di articolazioni che si sono prodotte e da cui egli è caduto come un frutto maturo della catena significante. Già quando viene al mondo cade da una catena significante […] alla quale, molto precisamente, è soggiacente quello che chiamiamo il desiderio dei genitori» (Lacan, 2014, p. 34).
Dinamica, questa, che consente di inquadrare, da subito, il piccolo di specie come un oggetto nelle mani dei genitori, è in questo senso che «l'Altro è onnipotente» (Lacan, 2004, p. 181): l'oggetto-umano, così, nasce in una dipendenza costitutiva che, a sua volta, «fonda ogni dipendenza psicologica del bambino dalla madre [da intendere anche come] grande Altro (storico, sociale, culturale, familiare) […] che definisce il luogo entro il quale l'umano si trova preliminarmente iscritto sin da prima della sua nascita. […] all'origine della vita non sono né l'Uno né il Due, ma il luogo dell'Altro» (Lacan, 2003, p. 209).
Lacan, a partire da questa prospettiva, indicherà l'alienazione come dinamica principe a partire dalla/nella quale il soggetto prende corpo intesa, però, come «mancanza» aprioricamente fondata e fondatrice senza la quale l'umano non potrebbe dirsi umano, un'alienazione da intendersi, meglio, come separazione (psichica e categoriale) da sé e dall'altro da sé, una dinamica fluttuante, da concepirsi, più precisamente, come un'alienazione/separazione «a partire dall'altro»: è dalla separazione che noi veniamo al mondo, concretamente e metaforicamente, uscendo dall'utero materno, separandoci dall'Altro iniziale che ci fonda. A tal proposito, per sintesi esaustiva e per una maggiore comprensione, è bene richiamare, già a quest'altezza discorsiva, alcune parole del filosofo Emiliano Bazzanella, abile interprete del pensiero lacaniano, il quale mette in evidenza come «alienato sin da bambino, l'uomo cerca delle vie di fuga: l'io, il soggetto, il desiderio, l'ideale dell'Io e l'Io ideale, l'oggetto-a causa del desiderio, il significante-maestro, il sintomo: cioè, in breve, gran parte dell'arsenale concettuale di Lacan non sarebbe altro che una descrizione fenomenologica di un meccanismo dialettico e zoppicante di difesa, nel quale ad ogni forma di protezione e disalienazione consegue necessariamente un fallimento» (Bazzanella. 2011, II, p. 12).
Si evince, allora, come la completezza del soggetto sia semplicemente «un miraggio» inventato, perchè utile, dalla nostra tradizione, un criterio orientativo a partire dal quale avventurarsi nel mondo ma, la sua «decompletezza» emersa dal suo essere infondato e continuamente Separato indica come, in realtà, esso sia più connotabile come una continua «mancanza-a-essere che nel desiderio ritrova la sua metonimia» (Lacan, 1974, p. 618). «Oggetto nelle mani dell'altro», «separazione da sé» e dall'altro-iniziale, continuamente «assoggettato», senza soluzione di continuità, alle dinamiche del sé e dell'altro; elementi e dinamiche che troveranno nel gioco del linguaggio, nel gioco dei significati, una sistematizzazione ulteriore. «Oggetto nelle mani dell'Altro», dove quest'ultimo è da intendersi anche e soprattutto come il plesso linguistico-significante in cui l'umano si trova a nascere.
Prima di apprendere e parlare il bambino è immerso nel linguaggio dell'Altro, egli è plasmato dalle sue parole, è assoggettato ai suoi significati, in questo senso può vedersi il complesso dell'esistere, come una scena all'interno della quale l'umano si trova a nascere, una scena definita da coordinate linguistico-significanti che strutturano in un certo modo la scena stessa attribuendole, così, una trama di senso articolata e specifica; a tal proposito, potrebbe dirsi, che è un'interpretazione della realtà che istituisce la realtà stessa. In questo senso può intendersi con Lacan come «non solo l'uomo nasce nel linguaggio, esattamente come nasce al mondo, ma nasce tramite il linguaggio» (Bazzanella, 2011, II, p. 12). Più precisamente, l'umano nasce, non solo dall'altro, ma «nel campo dell'Altro» inteso come il suo campo linguistico-significante, nasce all'interno della «catena significante» (Lacan, 2007, p. 269). dell'Alttro: «se il soggetto è quello che io vi insegno, cioè il soggetto determinato dal linguaggio e dalla parola, questo significa che il soggetto, in initio, comincia nel luogo dell'Altro, in quanto lì sorge il primo significante» (Lacan, 2003, p. 192).
Questo processo mette in risalto come il Significato, all'interno del quale l'umano nasce, fa sì che il soggetto «non sia padrone di questo linguaggio primordiale […] vi è stato gettato, impegnato, è preso nel suo ingranaggio» (Lacan, 2006, p. 386), egli si ritrova all'interno di una cornice significante di cui dovrà, al più presto, imparare le regole se vorrà esprimere al meglio ciò che sente e ciò che vuole, in questo senso può dirsi che «non c'è soggetto se non tramite un significante e per un altro significante» (Lacan, 2023, p. 16) e il piccolo di specie, come già accennato, troverà nell' «Altro come luogo della parola […] il luogo in cui l'asserzione si pone come veridica» (ivi, p. 111). La parola dell'altro, in questo modo, «definisce il posto di quella che viene chiamata la verità» (Lacan, 2014, p. 83) che il bambino assumerà come dato e solo successivamente, forse, sarà in grado di analizzare e mettere in discussione.
3. Effetti di rimbalzo
Si è detto, separazione da sé e dall'altro-iniziale, per il tramite dello stadio dello specchio lacaniano. Qui il concetto di separazione potrebbe assumere un carattere problematico se assunto nei termini della logica comune; separazione da sé? Separazione dall'altro-iniziale? Più che una separazione, lo stadio dello specchio, appare essere un momento di vera e propria creazione simbolica-significante, un contromovimento che, il piccolo di specie, effettua andandosi ad identificare nel se stesso dall'Altro indicato, essendo, il soggetto, un ni-ente non-identificato. Egli crea l'idea di sé a partire dall'idea che l'Altro, nel corso della prima infanzia e non solo, gli ha provato, attraverso l'educazione, ad imprimere. In questo senso Lacan afferma: «la funzione dello stadio dello specchio si presenta quindi secondo noi come un caso particolare della funzione dell'imago, che è quella di stabilire una relazione dell'organismo con la sua realtà» (ivi, p. 90); in questo passaggio Lacan sembra confermare ciò che si è detto, assumendo «l'organismo» come il piccolo di specie ni-entificato e la «realtà» come il plesso immaginario-simbolico dell'Altro, all'interno del quale esso nasce.
In questa prospettiva non c'è prima l'io e poi la sua immagine che l'altro assumerebbe ma, al contrario, prima viene l'immagine impressa e poi «l'io che ne è un effetto di rimbalzo» ovvero l'inversione di soggetto e predicato: se da Aristotele in poi, «l'occidentato è abituato a pensare prima il soggetto, come sostanza individuale, e poi il predicato, come suo attributo […] l'incontro [invenzione] con il simbolico[-significante] significa dismettere questo abito tradizionale» (ivi, p. 93). Il venire al mondo all'interno del campo dell'altro come luogo della parola implica già la spaccatura del significato e del significante, in questo senso, il soggetto, l'io, appartiene al mondo del simbolico-significante, esso è «una funzione immaginaria» (Lacan, 2006, p. 47) e ricordando Nietzsche può dirsi, che sia una nostra invenzione. Un'invenzione, quella simbolica (ivi, p. 39) che si presenta come un tutto e che «funziona […] e noi siamo all'interno […] siamo talmente all'interno che non possiamo uscirne» (Lacan, 2007, p. 40). In questo senso la soggettività viene interpretata da Lacan come un «sistema organizzato di simboli, che tende a coprire la totalità dell'esperienza, ad animarla, a darle un senso» (Lacan, 2006, p. 52), è questa la funzione specifica del soggetto: significantizzarsi infondendo senso e significato al reale circostante per dirsi e muoversi in esso più agevolmente: «per fare la realtà»; questo è propriamente lo spazio abitato dall'umano, ovvero, «un rapporto di frontiera fra il simbolico e il reale» (ivi, p. 103), tenendo presente che, per Lacan, il Reale è essenzialmente un «qualcosa fuori-controllo, out-of-joint, dis-connesso, che non si lega a nulla e che resta nella sua autonomia priva di senso» (Bazzanella, 2011, II, p. 67).
«Il reale è l'impossibile», inteso come «ostacolo logico a quel che del simbolico si enuncia come impossibile» (Lacan, 2001, p. 152); in questa prospettiva, per Lacan, la realtà è ciò che l'umano istituisce come realtà-simbolica-significante, mentre il reale è assenza, «buco del linguaggio», ciò che non ha significato: la natura inerme, la natura non imbelletata dai significati che l'umano le affibbia. Il significato, in questo senso, veicolato e istituito dal linguaggio è ciò che « finisce per avvolgere come una coperta tutto il reale» (Bazzanella, 2011, II, p. 77): il reale, quindi e meglio, «è ciò che si nasconde al di sotto della pellicola significante che ricopre tutti gli oggetti» (ivi, p. 88). A partire da queste analisi si può infliggere un altro colpo all'ontologia e alla metafisica e, seguendo Bazzanella, vediamo che, «Lacan introduce un'altra nozione abbastanza curiosa: il significante-maestro. Nel défilé dei significanti e nel gioco indefinito dei loro rimandi si consolidano dei significanti privilegiati che tendono a dominare gli altri e impongono un significato. Tutta la nostra cultura è dominata da questi significanti che forniscono l'orizzonte del nostro sapere» (ivi, p. 36). In questo senso può assumersi che «l'essere non è che un significante-maestro che organizza il linguaggio e evita il deragliamento infinito» (ivi, p. 67) che non permetterebbe fare del reale una realtà.
3. L'echologia bazzanelliana
A tal proposito Bazzanella provando a scardinare i contorni tradizionali del Significato, in alcuni luoghi dei suoi scritti, tende «verso un'ipotesi relazionistica: ciò significa privilegiare un piano di immanenza che non conosce il principio di contraddizione e per il quale sia l'io che il tu o l'Altro, nella loro accezione più ampia, sono indefinitivamente permutabili e compenetrati. Non è possibile un'identità assoluta, una coincidenza in cui il soggetto si “ritrovi”, poiché questi si articola in una perenne instabilità che è la sua diffusione “omeopatica” in “nessun luogo”, ovvero perennemente eflessa. Il proprio echologico, l'oikeios a-ontologico e anti-economico, è proprio tale dis-centramento, un nomadismo che non è il vagare di qualcuno, ma puro flusso, rilancio, debordamento» (Bazzanella, 1999, p. 118).
Andando alla ricerca di un modo diverso di guardare al reale e all'umano, Bazzanella, ritrova nel neologismo «echologia» uno spazio-altro in cui a farla da padrone è una «relativizzazione [di ogni] struttura categoriale» in cui la realtà non appare più «il prodotto di un definitivo processo di eterogenizzazione» ma, piuttosto, un meccanismo «di divisione basato a sua volta sulla simpatia e sulla mescolanza» ovvero, una dinamica di «tensionalità e rapporti che non possono essere ricondotti alla monoliticità della sostanza, ma dispiegano il territorio dell'echologia, tutto giocato su offuscamenti, sulla labilità dei confini e delle delimitazioni categoriali, sull'infinita permutabilità» (ivi, p. 32). L'echologia, «istanza relazionale che […] eccede la categorialità stessa» (ivi, p. 22), cerca di raccogliere il disomogeneo provando a «prescindere dal piano dell'essere: ciò significa escludere sin dove è possibile l'assetto gerarchico del nostro sistema linguistico e della nostra concezione del mondo, […] conquistando il piano alogico e orizzontale degli slittamenti e delle variazioni infinite” dove non sussistono differenze radicali, distinzioni ma, soltanto, «un campo d'immanenza assoluta, […] una pura relazionalità […] in cui c'è un rapportarsi senza rapportarsi, una relazionarsi senza relati, un avere senza avente e senza avuto» (ivi, p. 70).
In questo senso può vedersi l'echologia bazzanelliana come un metodo investigativo che tenta di «analizzare i momenti di passaggio dall'abitare all'essere, cioè di comprendere la genesi del senso alla luce del fatto che le nozioni di “identità”, “realtà”, “esistenza”, ect. costituiscono delle categorizzazioni senza alcuna priorità nei confronti delle altre, puri fattori finzionali o “figure” all'interno di un plateau completamento liberato da ogni trascendenza e nel quale ogni meta-linguaggio si dimostra esso stesso finzionale» (Bazzanella, 2004, p. 218). Tutte queste dinamiche, come si evince, sono eredi di tutti quegli autori che, inconsapevolmente o meno, potrebbero andare a costituire delle sorti di filosofie del disordine, dell'irreparabile e che «a partire dalla transvalutazione dei valori di Nietzsche in campo filosofico, ma anche dalla teoria della relatività di Albert Einstein e dal princpio di indeterminazione di Werner Heisenberg nel campo della fisica, dal teorema di incompletezza di Kurt Godel in logica e dal concetto di arbitrarietà del segno in Saussure» consegnano, a noi cittadini del XXI secolo, un mondo totalmente «scompaginato che un tempo era fatto di certezze rassicuranti e che ora appare assumere caratteri sempre più farraginosi» (Bazzanella, 2012, II, p. 18): un mondo, in cui «non esiste più una “verità” ma, molteplici verità indefinite e tutte quasi equivalenti nella loro portata esplicativa; non ci sono certezze, cioè identità fissate una volta per tutte, ma tutto è “relativo”, ovvero contestualizzabile, localizzato, laterale, derivato e mutevole nel tempo» (ivi, p. 96). Inoltre, non pochi esiti del pensiero logico del Novecento insegnano come «nessun sistema formale può dimostrare la propria non-autocontraddittorietà; la nozione di “verità” è indefinibile perchè abbisogna di una sequenza infinita di metalinguaggi; in un sistema logico la contraddizione è altrettanto fondante della tautologia in quanto entrambe non significano nulla; la verità non è univoca ma parziale e graduale; ciò che non ha senso in quanto enunciato contraddittorio in un determinato linguaggio formale, può tuttavia averlo in un mondo possibile o impossibile» (Bazzanella, 2012, I, p. 19).
Questi esiti mostrano come il logos e i significati che esso istituisce sono costitutivamente intramati da una sorta di «αλόγος» e di non-senso e in quest'ottica può vedersi come, il logos, rappresenti «l'incessante tentativo di addomesticare l'Altro che tuttavia sostanzia la logica stessa, le sue leggi e i suoi simboli» ovvero, esso «tenta di controllare – integrandolo – il reale e il non-senso» (ibidem). Ma ci sono alcuni aspetti del reale che il logos tradizionale non riesce a comprendere e a sviscerare, andando incontro ad una crisi concettuale che mette in risalto, ulteriormente, come esso abbisogna di continui aggiornamenti e modificazioni, con relativi cambi di senso e significato, pena la non comprensione del nuovo che incombe. A tal proposito la fisica quantistica che, studia la natura subatomica, mostra tutta la contraddittorietà del nostro linguaggio: non è il fenomeno che crea paradossi ma, al contrario, è il nostro linguaggio, limitato nella comprensione/descrizione, a non riuscire a restituirci una comprensione degli stessi, perchè abituato, da Aristotele in poi, a pensare per principi fissi ricercanti la linearità/stabilità.
Ad esempio, seguendo Bazzanella, può vedersi come «l'esperimento di Young dimostra che la luce ha proprietà sia corpuscolari sia ondulatorie; […] attraverso Feynman comprendiamo [che] nel mondo microscopico [il moto di un corpo] dipende dall'integrazione di tutte le onde di probabilità» (ivi, p. 25); insomma, attraverso «il dualismo onda-particella, l'indeterminismo, l'effetto tunnel, l'entanglement, la materia oscusa, le superstringhe», apprendiamo come la logica tradizionale viene «inficiata alle fondamenta». I fenomeni della fisica quantistica, quindi, «ci offrono un universo in cui i principi di identità, di non-contraddizione, di località non valgono più» (ivi, p. 33), essi mostrano ancora una volta la loro convenzionalità e la loro relazionalità. Può dirsi, quindi e ancora una volta, che i principi logici tradizionali «riguarderebbero più il nostro pensiero e le sue convenzioni che la sfera del mondo esterno» (ivi, p. 49). Tutto questo bagaglio concettuale porterà Bazzanella, ad affermare che «la contraddizione dipende dal tipo di mondo o “gioco” che ci troviamo a praticare, senza alcuna pretesa dunque che “questo” gioco che stiamo giocando sia l'unico a essere vero, esistente e verificabile» (ivi, p. 52) ed è in questa precisa prospettiva che ritorna l'echologia inquadrando, quindi, «l'uomo inabitato nel suo intimo dal timore del divenire e [come se] fingesse una certa stabilità o permanenza attraverso la sosta reiterata nella tranquillità di significati via via alternantisi». In questo modo «il senso echologico [appare costituire] una composizione di fattori eterogenei e contrapposti: è il puro scivolamento del significante, ma attraverso i punti di soggezione-significato via via supposti, cioè si costiuisce come una paradossale mistione di senso e non-senso» (Bazzanella, 2004, p. 48).
4. Essema e significazione
In questo modo, come potrebbe intuirsi, l'analisi echologica vera e propria «risulta impossibile», poiché essa sarebbe il luogo puro dell'indeterminato o, richiamando Lacan, il Reale ni-entificato; proprio per questo Bazzanella individua, attorno alle dinamiche dell'eflessione intese come «figure miste», la possibilità di «un'analisi essematica» (Bazzanella, 1999, p. 73), un metodo investigativo che supponendo l'esistenza dell'indeterminato tenta «lo studio delle relazioni e dei meccanismi che poi conducono alla costruzione di cose, identità, oggetti, categorie, etc.» (Bazzanella, 2023, p. 175). Bazzanella fa derivare il termine Essema «dall'échein echologico», mostrando come esso «individua una formazione di senso composta da un nocciolo di sedimentazione (blocco, soggezione, soggetto, significato) e da un alone di debordamento», esso richiama il «tentativo di circoscrivere uno spazio […] riempito da tensioni, relazioni, pertinenze» motivo per cui, il compito dell'essematica coinciderebbe con il «misurare il carattere provvisorio e finzionale di ogni concetto o idea ai quali così fiduciosamente spesso ci appoggiamo» (Bazzanella, 2004, p. 219).
In questo contesto d'analisi uno dei meccanismi che, attraverso l'analisi essematica, risulta fare da base portante alle pratiche esistenziali umane è il processo normotipico «che funziona da elemento normativo e normalizzante e che stabilisce il senso stesso del senso» (ivi, p. 15); detto altrimenti, la struttura stessa del linguaggio/senso «tende a essere normotipica cioè, stabilisce una qualche norma e una legalità rispetto alla quale ciascun flusso-senso idiosincratico deve rapportarsi» (ivi, p. 213). In questo modo, da un punto di vista echologico, potrebbe dirsi che «nominare e normare costituiscono un plesso unico» (ivi, p. 24) che va a formare, attraverso i reiterati movimenti linguistico-agentivi, le grandi costruzioni di senso all'interno delle quali l'umano istituisce realtà, tenendo presente, però, che tali realtà (normotipiche) sono costituite da vari sensi e significati «imperativi che introducono una sorta di modello di conformità o, se vogliamo, di normalità […]; costituiscono un piano di referenza, cioè divengono ciò-rispetto-a-cui un'altra costruzione di senso [di realtà] ha senso […]; sono assolutamente arbitrari e dipendono da un particolare processo di astrazione che probabilmente può essere datato e soprattutto circostanziato» (Bazzanella, 2009, p. 152). In questo modo il linguaggio, istitutore di significati, istitutore di realtà, appare essere «un sapere con una propria evoluzione storica [e la logica] si pone alla base di ogni processo di normotipizzazione, [nonché] un dispositivo normotipico che implica un accordo sociale, un'istituzionalizzazione e un'applicazione microfisica del potere che si insinua sin nella comunicazione intra-famigliare o nei monologhi di cui è anche intessuto il nostro pensiero». (Bazzanella, 2012, II, p. 21)
Se le cose stanno così, allora, il senso o, meglio, questa «modalità rituale e tecnico-sistemica con cui l'uomo affronte il reale» (Bazzanella, 2010, p. 94), appare essere un «sistema molto raffinato e sedimentato di addomesticamento del non-senso» cioè, «un dispositivo collettivo di creazione di “sfere” simboliche» (ivi, p. 15) atte, attraverso processi di «immunizzazione e autoimmunizzazione», a costituire «l'antropotecnica dell'addomesticamento» (ivi, p. 16) di cui l'umano si serve per sopravvivere. Da questo punto di vista, allora, può dirsi che «il bambino non venga soltanto al mondo-reale; egli viene anche – e soprattutto - al senso-in-quanto-reale» (Bazzanella, 2011, I, p. 266), dinamica che comporta il suo divenire «as-soggettato al reale[-processo di significazione]» che implica «il segno di una sottomissione originaria dal momento che [la sua esistenza] ovunque è intaccata dall'Altro [inteso lacanianamente] e controbilanciata da un assoggettamento poliforme, multiplo e sempre cangiante» (ivi, p. 194). Nascendo all'interno di queste specifiche pratiche sensopoietiche, il bambino, viene immesso nel gioco delle continue relazioni realificatrici in cui, inizialmente, si abbandona «all'ossessione e alla psicosi» ma, il suo comportamento «dev'essere immunizzato innanzitutto dai suoi eccessi» per venire poi «reincanalato in sistemi autoimmunizzanti […] adattivamente perfezionati». Possiamo affermare allora, che «si passa da ossessioni e psicosi assolutamente personali e individuali a ossessioni e psicosi collettive paradossalmente» normotipicizzate, con le quali il piccolo di specie «si scontra come se fossero delle realtà vere e proprie» (Bazzanella, 2012, I, p. 188), poste come indiscutibili.
Questo, come già emerso, indica il potere del linguaggio e dei significati che esso istituisce, imponendo inoltre e inevitabilmente determinate regole: «Sia il bambino quando gioca con i soldatini o con i suoi pupazzetti, sia l'adulto quando gioca a ramino, a dama […] (o quando pratica il linguaggio) in-è in un mondo di regole artificiali che divengono però la sua realtà, con-è insieme ad altri con cui gioca, […] e, infine, giocando non fa che iterare e ri-petere quelle stesse regole conferendole una sorta di realtà oggettiva» (ivi, p. 86). In questo contesto di discussione emerge come «la parola sia in grado di produrre effetti nel reale che mutano l'assetto del mondo» (ivi, p. 153); crea/muta il mondo in modo da far apparire «il linguaggio come strumento capace di agire performativamente nella/sulla realtà»: «il senso […] la parola non sostituisce soltanto l'oggetto che significa, ma è anche una soggettivazione oggettuale, cioè un assoggettamento che manipola e controlla» (ivi, 213). Questo è la dinamica in cui l'umano è immesso e della quale si serve: l'antropotecnica della significazione.
5. Conclusione
Pensare in termini di costante fratturazione, di costante transizione obbliga, quantomeno, a prendere consapevolezza di come l'umano e i significati che esso realizza nascano già fratturati, transitivi e bisognosi, quindi, di divenire continuamente immortalati in fermi immagine destinati, con il passare del tempo, a ri-fratturarsi: non appena un senso, un fenomeno, viene realizzato porta sul retro la sua data di scadenza; nasce già morto. Il periodo di vita, però, è quello che interessa. In questo lasso temporale, esso, andrà ad influenzare le condotte di vita dell'umano, le sue pratiche esistenziali vengono a mutare, si ri- adattano in- conformità al nuovo con- cui esistono. Gli essemi, messi in evidenza da Bazzanella, spingono ad interrogarsi sul «come» di questi lemmi relazionali che, inevitabilmente, cambiano nel tempo. Da questo punto di vista l'essematica costringe ad interrogarci sulle relazioni che l'umano instaura, subisce, pratica con l'Altro, inteso lacanianamente, da cui non può sottrarsi.
Ad esempio, per un breve accenno, potremmo concentrare l'attenzione sul coessema che, oggi, difronte alle nuove tecnologie ci consentirebbe di interpretarle in modo differente. Il relazionarsi umano con la tecnologia è sempre cambiato nel tempo, ha sempre scomposto l'immagine che l'umano aveva di sé per crearne un'altra e, quindi, anche oggi il «con» della tecnologia sembra mutare a tal punto che, forse più che mai, sembra tramutarsi contemporaneamente nell'«in». Intelligenza Artificiale, robotica, tecnologie indossabili, metapresenza, sembrano porci difronte a relazioni fratturate: oggi ci relazioniamo «con» la tecnologia e siamo anche «in» essa.
L'intuizione, a partire da queste analisi, è quella di sviscerare e capire il «come» del nuovo «con» e il «come» del nuovo «in»: crediamo sarà questo a consetire di comprendere il nuovo mondo all'interno del quale l'umano, da almeno un ventennio, abita e del quale sembra sprovvisto di coordinate.
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Aggiunto il 05/06/2025 23:57 da Matteo Spagnuolo
Argomento: Filosofia contemporanea
Autore: Matteo Spagnuolo
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