La figura di Agostino suscita un fascino che supera limiti temporali e culturali, e richiama l’attenzione di studiosi come di semplici estimatori, di persone legate alla fede cristiana, di cui rappresenta un esponente di altissimo profilo, ma anche di individui mossi da interessi di tutt’altro genere. Per quanto riguarda la filosofia, Agostino, per la sua esperienza biografica e intellettuale, potrebbe essere considerato un modello, non certo l’unico, ma sicuramente un modello che esprime con chiarezza ed immediatezza che cosa significhi fare filosofia, che cosa implichi essere un filosofo. Qualcosa di simile, evidentemente, pensava Jaspers, quando lo ha inserito tra i grandi creatori della filosofia, insieme a Platone e Kant, paragonando la sua produzione immensa ad una miniera, all’interno della quale con masse di pietra improduttiva si trovano vene d’oro e pietre preziose [1].
Tre le sue opere, in particolare, le Confessioni sono molto lette e non solo da persone credenti, proprio per la straordinaria potenza con la quale esprime quella passione che lui ha sperimentato in prima persona, per sua la capacità di analizzare i fatti con lucidità e introspezione psicologica; caratteri che ne fanno un modello esemplare di quanti sentono il bisogno di capire se stessi, di far luce fra i propri tormenti interiori. Evidentemente, ancor oggi molti pensano che Agostino abbia qualcosa da trasmettere in merito ai tanti quesiti posti dalla vita e che possono talvolta lasciare un senso di smarrimento.
La novità o l’eccezionalità del vescovo di Ippona sta nell’aver fatto della ricerca filosofica o della ricerca della verità una vera e propria ragione di vita, un impegno e un’esigenza non procrastinabili dell’esistenza umana. Possiamo, pertanto, cercare di astrarre dall’opera e dall’esperienza personale di Agostino una figura, una sorta di affresco che identifichi i connotati del filosofo. Lo facciamo cercando di capire che cosa egli ha scoperto studiando i filosofi, qual è stato il suo modo di condurre la ricerca e quali esempi ci ha lasciato.
In seguito alla lettura dell’Ortensio di Cicerone, Agostino ha approfondito i suoi studi filosofici, stimolato da quel testo, che lo indirizzava – così ci racconta – non verso una particolare scuola, «ma ad amare, a cercare, a raggiungere, a possedere, ad abbracciare strettamente quella sapienza per se stessa, qualunque essa fosse» [2].
Egli più volte ha mostrato di apprezzare l’etimologia, la definizione di filosofia come “amore della sapienza”, una realtà da lui identificata con Dio stesso, il bene più alto, e pertanto con la conoscenza e il possesso del sommo bene [3]. Giunge, quindi, a concludere che la ragione del filosofare è la beatitudine, il fine del bene [4]. E «la felicità della vita è il godimento della verità» [5]. Questa premessa ci induce a riflettere su come la filosofia si focalizzi nell’oggetto più sublime e nobile che si possa concepire – la sapienza – abbia come finalità il bene e lo star bene, la felicità che, non casualmente, coincide proprio con la conoscenza della verità. Quest’ultima non deve essere intesa come un obiettivo già prefissato, un porto finale dove ci si placa da ogni angustia e trepidazione, poiché un bene così grande si cerca per trovarlo e lo si trova per cercarlo [6]. La ricerca della verità (e della sapienza) è una condizione permanente, condotta in vista della beatitudine, che caratterizza costantemente la vita e l’azione del filosofo o, se vogliamo, dell’uomo in quanto tale. La filosofia è un continuo muoversi verso, un ininterrotto cercare che avvolge l’esistenza di chi si apre ad essa. Un circolo all’interno del quale ricerca e risposta si rincorrono continuamente e reciprocamente si additano l’un l’altra. Ci esorta lo stesso maestro: «cerchiamo con l’animo di chi sta per trovare e troviamo con l’animo di chi sta per cercare» [7].
Alla luce di tutto ciò, intuiamo che la speculazione in Agostino non è qualcosa di astratto e costruito oggettivamente, ma è tutt’uno con la sua persona, la sua vita, il suo modo di essere. In particolare, il suo filosofare nasce da un’esigenza legata alla sua debolezza, alla sua crisi e all’inquietudine esistenziale. La filosofia, ci insegna l’esistenza di Agostino, non è per intelligenze superiori, per persone realizzate, per chi non ha nulla a cui pensare nella vita, per chi possiede sicurezze da ostentare all’esterno. All’opposto, essa si salda bene con la problematicità dell’esistenza semplice di ogni essere umano. Infatti, egli cerca innanzitutto chiarezza e una risposta di senso su se stesso, sulla sua condizione di uomo. Non è allora un semplice caso se i primi passi del suo cammino speculativo sono mossi dal “dubbio”, un sentimento diverso dalla meraviglia, che secondo Aristotele è il motivo per cui gli uomini hanno iniziato a filosofare [8]. Il dubbio, sintesi concisa dell’insicurezza, della precarietà, del limite, rappresenta gli inizi della ricerca, poiché se l’uomo «dubita, vive […] se dubita, vuole arrivare alla certezza; se dubita, pensa; se dubita, sa di non sapere; se dubita, giudica che non deve dare il suo consenso alla leggera» [9]. Il dubbio è un impulso alla ricerca e l’uomo Agostino ne risulta coinvolto in tutta la sua interezza. Risulta comprensibile come la sua metodologia di ricerca sia intrisa di elementi propri della sua soggettività, ma la verità che lui cerca non è soggettiva, per questo l’esperienza agostiniana può essere considerata paradigmatica. Se l’uomo nella sua totalità di essere è in ricerca, questa ricerca non è più una semplice esigenza razionale, non appaga solo il suo lato intellettuale, ma soddisfa e concede sollievo a tutte le esigenze umane, innestandosi nel bisogno stesso di felicità, caratteristico di ogni persona. Ecco perché porsi delle domande e iniziare un percorso di ricerca tipico del filosofo non è un’esigenza elitaria ma costitutiva dell’essere umano.
Il linguaggio della filosofia agostiniana è il linguaggio dell’interiorità. Esplorare il proprio mondo interiore, tornare, rientrare in se stessi. Si tratta di un ritorno diverso da come lo intendevano i platonici, che Agostino stava seguendo, poiché essi ne facevano un connotato esclusivo del saggio, mentre per il nostro filosofo è urgenza tipica di ogni uomo, a conferma di quanto appena accennato sulla sostanziale identità tra uomo comune e filosofo. Nell’interiorità egli riesce a scorgere, nella certezza dell’argomentazione razionale, la prima illuminazione della verità, che squarcia l’ombra del dubbio. Ciò a cui tende il movimento del tornare in se stessi è l’armonia. Come l’armonia produce piacere nel mondo fisico, mentre ciò che è in contrasto con essa produce dolore, così l’uomo sente di trovare un’armonia suprema nello scoprire la propria interiorità, perché appunto è nell’uomo interiore che abita la verità. Tale interiorità gli si presenta, però, come un abisso dove l’uomo si disvela in tutta la sua enigmaticità, un mistero per se stesso, una fonte di quesiti ai quali la propria anima non sa dare una risposta [10]. Un mistero di fronte al quale rimane stupito, un mistero che merita di essere scrutato e sollecita ulteriormente la sua ricerca.
La ricerca, spiega Agostino, è desiderio di scoprire; il desiderio muove da chi cerca e rimane in sospeso fino a quando ciò che è cercato viene ad unirsi con colui che cerca. «E questo appetito, cioè questa ricerca, sebbene non sembri amore – perché con l’amore si ama ciò che già si conosce e qui non si tratta che di una tendenza a conoscere – tuttavia è qualcosa dello stesso genere» [11]. Ecco che, insieme alla verità, nell’uomo interiore si scopre anche la capacità di amare, la quale come un peso spinge l’uomo fuori di sé, lo porta verso gli altri e, inevitabilmente secondo Agostino, verso l’Altro. In questo ritorno in sé l’uomo ha scoperto la verità, il suo amore-desiderio per essa, la tendenza verso gli altri, l’esigenza di trascendere se stesso, il percorso – utilizzando una terminologia jasperiana – dall’autocoscienza alla trascendenza: «Torna in te stesso; nell’uomo interiore abita la verità; e se troverai che tua natura è mutabile, trascendi te stesso» [12].
Nell’elevare Agostino a modello dell’uomo che ricerca tramite la filosofia, non possiamo tralasciare una considerazione sul fatto che egli è essenzialmente un uomo di fede, che il suo ragionamento sia fortemente intriso di cristianesimo. In realtà, anche se la fede è in qualche modo la base della sua ricerca, possiamo sicuramente rilevare come, nel suo percorso biografico di indagine e studio precedente la conversione, la fede sia il termine della sua ricerca, l’approdo di un tragitto che a noi interessa principalmente per il suo svolgimento in sé. Potremmo dire, quindi, che prima della conversione la sua fede sia stata proprio la ricerca. Egli non si è abbandonato con troppa facilità alla fede religiosa, della quale ha cercato di chiarire ogni aspetto controverso e problematico. Mai e poi mai la sua intenzione speculativa è rimasta circoscritta a dei limiti imposti dalla fede; al contrario ha sempre preso in esame con spirito critico tutte le complessità e sfidato tutti gli ostacoli che da essa potessero sorgere. Come scrive Abbagnano, «non si arresta di fronte al limite del mistero, ma fa di questo limite e dello stesso mistero un punto di riferimento e una base» [13].
Approdato alla convinzione che ragione e fede cooperano per condurre l’uomo alla verità, non pone l’una in dipendenza dell’altra, ma assegna ad ognuna un primato: «in ordine di tempo viene prima l’autorità [la fede], in ordine di importanza la ragione» [14]. Se, a suo avviso, sia l’autorità che la ragione ci stimolano a conoscere, egli da un lato abbraccia l’autorità di Cristo, ma d’altro canto ci tiene a precisare che vuole apprendere la verità utilizzando appieno le capacità dell’intelligenza [15]; credere non solo con la fede, ma anche con la ragione. È suo intendimento credere per capire fino in fondo, ma all’utilità della fede affianca la necessità della ragione, affinché capisca per credere. È la ragione, infatti, che dà credito alla fede, poiché la fede non è passiva, ad essa si aderisce dopo aver pensato di credere, dopo aver riflettuto e pensato a cosa credere, su chi o cosa riporre la propria fiducia. Del resto «è necessario, sul piano della credibilità che la ragione preceda la fede, altrimenti questa non sarebbe più fede, ma credulità vana» [16].
Tutto in linea con la sua insaziabile sete di conoscenza, con la sua voglia di comprensione, con la ricerca di senso che ha segnato la sua vita, l’eredità più grande che ci lascia per rispondere al nostro intento iniziale, quello di voler costruire una definizione, un’immagine del filosofo a partire dalla sua appassionata esperienza intellettuale. «Che cosa desidera l’anima più ardentemente della verità?» [17]. L’uomo, il filosofo deve esserne avido, saper gustare il sapore della sapienza. E nei momenti di sconforto ascoltare quel richiamo che il maestro faceva a se stesso, all’età di trent’anni, quando ripensava agli anni della sua vita spesi nella bramosia di raggiungere la sapienza, ansioso di pervenire presto alla sua meta: «cerchiamo con maggiore diligenza, anziché disperare» [18]. Come lui, ogni uomo porta in sé l’aspirazione di poter vedere, attraverso gli occhi dell’intelligenza, che cosa vi sia al di là dei sentieri che compongono il labirinto della vita.
Porsi quesiti filosofici, abbiamo più volte ribadito sulla scia del movimento agostiniano, è un’esigenza dettata dall’inquietudine, dal dubbio, dalla debolezza e si inscrive nella naturale aspirazione umana alla felicità, che appunto tali tormenti tende a superare. Quale soddisfazione può restituire in questo senso l’indagine filosofica, che in una ricerca permanente non presume mai di afferrare la totalità, ma costringe ad andare avanti nell’interrogarsi, esortando a continuare a pensare? Al di là delle soluzioni individuali, potremmo rispondere facendo riferimento alla soddisfazione che genera “quell’armonia suprema” – così la chiama, abbiamo visto, il maestro – che l’uomo sperimenta quando si volge verso la propria interiorità, per manifestare, nella ricerca, il suo “amore per la sapienza”.
1] cfr. K. JASPERS, I grandi filosofi. I riformatori creativi del filosofare: Platone, Agostino, Kant, trad. it., Milano 1973, p. 410.
2] Conf. 6, 4, 8.
3] L’autore fa più volte questi richiami, come nel De Civ. 8, 1; Conf. 3, 4.
4] Cfr. De Civ. 19, 1, 3, ma anche Ep. 1, 1.
5] Conf. 10, 23, 33.
6] Cfr. De Trin. 15, 2, 2.
7] Ivi, 9, 1, 1.
8] Cfr. Metafisica 982b. Rileviamo che nello stesso testo lo stagirita associa il dubbio alla meraviglia: «chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere».
9] De Trin. 10, 10, 14.
10] Cfr. Conf. 4, 14, 2 e 4, 4, 9.
11] De Trin. 9, 12, 18.
12] De vera rel. 39, 72.
13] N. ABBAGNANO, Storia della filosofia, vol. II, TEA, Milano 1995, p. 69.
14] Tempore auctoritas, re autem ratio prior est. De ord. 2, 9, 26.
15] Cfr. Contra Acad. 3, 20, 43.
16] A. TRAPÈ, Introduzione a Sant’Agostino: il pensiero filosofico, disponibile su https://www.augustinus.it/pensiero/filosofo/index.htm
17] In Io. ev. tr. 26, 5.
18] Conf. 6, 11, 18.
Aggiunto il 13/08/2019 22:42 da Simone Rapaccini
Argomento: Storia della Filosofia
Autore: Simone Rapaccini
Apollo e la civiltà Nell’Iliade di Omero gli dei non sono portatori di un messaggio etico. Una notevole eccezione è costituita però dall’intervento di Apollo nel libro XXIV (Ω 33-5
Primogenito di una famiglia della borghesia intellettuale salernitana, termina gli studi classici a 17 anni ed inizia a frequentare la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università d
E se i filosofi prendessero il posto degli psicanalisti? Da quando Woody Allen ha abbandonato il lettino del suo analista, la disciplina di Freud ha perso uno dei suoi maggiori sponsor. Segno