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Eterno ritorno e Amor Fati in Friedrich Nietzsche

La teoria dell’Eterno Ritorno è una delle più note del filosofo Friedrich Nietzsche, nonostante quest’ultima non si basi propriamente su una costruzione concettuale solida. La filosofia di Nietzsche appare spesso come un disvelamento; una realtà quasi profetica punteggiata di esoterismo. Una rivelazione immediata derivante da una fulgida illuminazione.

Si narra che il filosofo tedesco fu folgorato dall’immagine dell’Eterno Ritorno durante l’estate del 1881, nei pressi della Valle Egadina, dove era solito passeggiare. Mentre il filosofo avanzava in una delle sue consuete  passeggiate, si ritrovò nei pressi di un lago montano dove ebbe una sorta di sfolgorio mentale, quasi da sembrare una visione che costrinse Nietzsche ad accasciarsi a terra, a ridosso di un grosso masso.  Poiché Dio non esiste, ed essendo il mondo circostante composto da un interminabile ed incommensurabile numero di elementi che non si creano e non si distruggono, obbligatoriamente questo infinito numero di elementi devono aggregarsi fra di loro uno sconfinato numero di volte. Un concetto derivante dalla filosofia greca, in quanto gli antichi filosofi greci, infatti, pensavano che il tempo fosse circolare: non esiste nessun inizio e nessuna fine, ma soprattutto, nulla ha un senso, un obiettivo, né un traguardo. L’universo, ciò che lo compone, gli uomini, le galassie, nasceranno e periranno in un immortale e smisurato moto eterno, uguali a sé stessi. Il concetto di Eterno Ritorno lo si trova perfettamente descritto in Così Parlò Zarathustra, tuttavia, compare la prima volta nella Gaia Scienza:

Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!”

L’universo e il tempo fanno parte dello stesso ciclo cosmico, e gli uomini sono parte integrante di questo ciclo. Con le azioni si scrive l’eternità: ciò che si fa, sarà legato e comporrà indissolubilmente il presente, il passato, ed il futuro dell’intera esistenza. Dottrina esplicitata dal filosofo tedesco in Così Parlò Zarathustra:

‘’Ecco, tu [Zarathustra] sei il maestro dell’eterno ritorno [....] Vedi, noi sappiamo ciò che tu insegni: che tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e che noi siamo stati già, eterne volte, e tutte le cose con noi. Tu insegni che vi è un grande anno del divenire, un’immensità di anno grande: esso, come una clessidra, deve sempre di nuovo rovesciarsi, per potere sempre di nuovo scorrere, per potere sempre di nuovo scorrere e finire di scorrere.’’

Poiché non esiste Dio alcuno e l’esistenza è priva di una qualsivoglia sensatezza ai fini della vita umana,è necessario che l’uomo si elevi al di sopra della morale e della legge, liberandosene; questo non significa sconfinare nell’edonismo atto ad assaporare una vita di piaceri e totale anarchia, né ricoprire uno stato di ingovernabilità di sé stessi, piuttosto il fine ultimo è quello di ritornare alla Terra ed alla perfetta amoralità della Natura. Una verità sconvolgente che postula un concetto di base: l’eternità è parte degli uomini in una ripetizione ciclica e circolare che non ha alcun senso e importanza.

Entrano allora in scena due nozioni concettuali imprescindibili nella filosofia di Nietzsche: in primis, l’Oltreuomo ed in seguito un tratto fondamentale di quest’ultimo, distinguibile nell’amor fati concezione derivante dal latino che indica l’amore verso il fato ( o destino)., già presente in Spinoza ed Emerson, pensatore noti a Nietzsche. L’amor fati è un atteggiamento di accettazione attiva del proprio destino. Un essere umano che è riuscito ad elevarsi ad Oltreuomo, riesce a far coincidere la propria volontà con il corso degli eventi esattamente come essi si presentano: l’Oltreuomo quindi, è colui che accetta la vita così come si verifica accettando la casualità degli eventi ed il destino senza opporsi. Anzi, ne viene fuori un uomo vittorioso in quanto capace di far coincidere la propria volontà con l’Eterno Ritorno, quindi, con ciò che accadrà ed è accaduto. L’uomo Nietzschiano prova gioia per ogni aspetto dell’esistenza così come essa di manifesta, accettando il proprio fato in un percorso circolare e privo di significato.

Fin dall’antichità si era immaginato il tempo come un elemento ciclico senza un inizio né una fine, ma, destinato alla ripetizione eterna in un infinito ripetersi di eventi. Il simbolo usato per rappresentare la ciclicità fu l’uroboro, etimologicamente derivante dal greco, avente come significato ‘’serpente che si morde la coda’’.

L’immagine, che designa un serpente o un drago nell’atto di mordersi la coda, a prima vista appare statica. Tuttavia, cela una dietrologia caratterizzata da una  grande mobilità e dinamicità. Il serpente intento a divorare sé stesso delinea e raffigura l’energia universale che si usura e si rinnova in un perenne movimento atto al nascere e al perire.

Il simbolo dell’uroboro è chiaramente richiamato in Così Parlò Zarathustra. La vipera, protagonista principale, accenna la rivelazione dell’Eterno Ritorno ad un pastore, esortandolo ad accettare la propria esistenza ed a liberarsi del timore di vivere.

Vidi un giovane pastore che si torceva, soffocava, si contraeva convulsamente, stravolto, ed una lunga serpe nera gli pendeva dalla bocca. Ho mai visto tanto ribrezzo e livido orrore su un volto? Forse dormiva? Poi il serpente gli si introdusse nelle fauci e vi si attaccò forte coi denti. Tirai forte allora il serpente con la mano: invano! essa non riuscì a strappare il serpente dalla gola’. Allora gridai: ‘Mordi! Mordi! Staccagli la testa! Mordi!’ Così gridava in me il mio orrore, il mio odio, il mio ribrezzo, la mia pietà, tutto il mio bene e tutto il mio male gridavano in un sol grido in me. […] Ma il pastore morse, come gli consigliò il mio grido; morse con saldo morso! Sputò lontano da sé la testa del serpente: e si alzò d’un balzo. Non più pastore, non più uomo: un trasfigurato, un illuminato, che rideva! Mai sulla terra un uomo ha ancora riso come lui! O fratelli miei, io ho udito un riso che non era un riso d’uomo; e ora mi divora una sete, un desiderio che mai non si estingue.”




Aggiunto il 08/10/2019 01:50 da Stella Grillo

Argomento: Storia della Filosofia

Autore: Stella Grillo



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