Introduzione
L’interiorità è uno dei temi principali nella filosofia e teologia agostiniana. Tuttavia, per lui, non è stato facile trovare questa via, infatti, ci sono voluti tanti anni di errori e di dubbi per affacciarsi alla Verità che risiede dentro l’uomo. In questo capitolo mostreremo come Agostino passa dal dubbio scettico alla Verità indubitabile nella sua interiorità e ci soffermeremo su di essa.
§Dalla morte dell’anima alla crisi
Per analizzare il tema dell’interiorità di Agostino e della sua evoluzione, prenderemo in considerazione le Confessioni, che narrano dalla sua morte dell’anima alla sua vita per mezzo della Grazia divina. Agostino nei primi libri delle Confessioni parla di quanto è stato persuaso a servire il corpo e la mente al discapito del vero Dio che riteneva solo una falsa verità.Questo era il momento della sua vita, giudicato dall'Agostino maturo, in cui l’anima era stata annientata dalle passioni del corpo, dalla libidine e dall'affetto. L’anima era morta, un’anima ammazzata. Agostino scrive:
“Esalavo invece dalla paludosa concupiscenza della carne e dalle polle della pubertà un vapore, che obnubilava e offuscava il mio cuore. Non si distingueva più l'azzurro dell'affetto dalla foschia della libidine. L'uno e l'altra ribollivano confusamente nel mio intimo e la fragile età era trascinata fra i dirupi delle passioni, sprofondata nel gorgo dei vizi” (Agostino, Le Confessioni, II,2.2)
Questa citazione mostra come il giovane filosofo era chiaramente posseduto dalla carne, dalle passioni, tanto da non poter vedere l’anima, che “piangeva” nel suo intimo. All'Agostino delle Confessioni è ben chiara la distinzione tra anima e corpo, questo concetto, infatti, l' aveva ricavato dai Neoplatonici e dallo stesso Paolo: “la lettera uccide, lo spirito vivifica” (IICor.3.6)
Agostino confessa, nel libro terzo, di non voler vedere la Verità che tentava di mostrarsesi, in quanto era armato di un puro orgoglio e amore di sé. Vedeva la Verità, espressa nelle Sacre Scritture, solo un libro per bambini e per ingenui, perché a livello contenutistico le parole erano assai inferiori a quelle che aveva già letto in precedenza (Cicerone). Lui stesso confessa:
“Perciò mi proposi di rivolgere la mia attenzione alle Sacre Scritture, per vedere come fossero. […] Ebbi piuttosto l'impressione di un'opera indegna del paragone con la maestà tulliana. Il mio gonfio orgoglio aborriva la sua modestia, la mia vista non penetrava i suoi recessi” (Conf., III, 5.9).
La grande intelligenza e cultura ingrandirono il suo orgoglio, tanto da credere che la sua conoscenza fosse solo un proprio merito e non piuttosto un dono di Dio datogli per raggiungere la vera Verità. La ricerca della verità era per lui uno scopo ben preciso, e proprio per questo aderì con molto entusiasmo al Manicheismo, che parevano dare un significato alla sua ricerca. Questa nuova corrente, infatti, mostrava di essere libera dai vincoli della fede,proprio perché si era proposta di dimostrare le interne contraddizioni bibliche. Solo dopo dieci anni capì le falsità e le ipocrisie che si celavano all’interno di questa scuola, tanto da vederne chiare anche le contraddizioni tra ciò che dicevano e ciò che praticavano. Ciò che esponevano era solo pura retorica priva di qualunque fondamento veritiero.
“Ripetevano: verità, verità, e ne facevano un gran parlare con me, eppure mai la possedevano, e dicevano il falso non su Te soltanto, che sei davvero la verità, ma altresì su questi princìpi di questo mondo” (Conf., III, 6.10)
Tuttavia, seppur scoperto la falsità di questo pensiero e volutolo allontanarlo, non era ancora proiettato verso il Cristianesimo, verso la Verità.
“Mi portavo dentro un'anima dilaniata e sanguinante, insofferente di essere portata da me; e non trovavo dove deporla. […] Tutto per lei era orrore, persino la luce del giorno; e qualunque cosa non era ciò che lui era, era triste e odiosa, eccetto i gemiti e il pianto. Qui soltanto aveva un po' di riposo; ma appena di lì la toglievo, la mia anima, mi opprimeva sotto un pesante fardello d'infelicità. Per guarirla avrei dovuto sollevarla verso di te, Signore, lo capivo, ma non volevo né valevo tanto, e ancora meno perché non eri per la mia mente un essere consistente e saldo, ossia non eri ciò che sei. Un vano fantasma e il mio errore erano il mio dio. Se tentavo di adagiarvi la mia anima per farla riposare, scivolava nel vuoto, ricadendo nuovamente su di me” (Conf., IV, 7.12)
Era ancora lontano il tempo della conversione di Agostino e tanto di più era lontano il prendere coscienza di se stesso e di quello che era. La morte della sua anima era vera quanto lo era il suo peccato, la sua lontananza da ciò che cercava, ma non lo ammetteva. La sua anima soccombeva all'orgoglio, ai voleri carnali che lo portavano a un malessere generale. Questo era dato anche e soprattutto dalla mancata ricerca verità, dal rifiuto di rientro in sé, dall'allontanamento della vita in interiorità, il tutto a favore di una frivola dell’esteriorità.
Questo grande dolore non ammesso, nascosto nel proprio intimo, lo portò a una crisi inevitabile che sfociò nel dubbio.
§ Dal dubbio alla certezza
Nel 386 Agostino fu nominato insegnante di retorica a Milano, dove ebbe l’onore di conoscere il vescovo Ambrogio, la cui fama era estesa in tutta l’Italia. In un primo momento, Agostino, pieno di disprezzo verso il Cristianesimo stesso, credette di poter contrastare con la propria arte retorica i discorsi eloquenti del vescovo di Milano, ma presto si rese conto della loro portata metaforica-aulica, e invece di contrastarlo, cadde nella sua rete e iniziò a seguirlo. La conversione da lì a poco avvenne. La fede iniziò a pervaderlo nell'intimo seppure, ancora, fosse alquanto “rozza” (Cfr. Confessioni, VII, 5).
Agostino ebbe abbandonato la scuola manichea in seguito ad una crisi interiore causata dal dilemma del male. Questo verteva su: come Dio, nella sua incorruttibilità, potesse permettere il male e su come questo potesse entrare nel mondo, che è ontologicamente è buono in quanto è stato creato da Dio, dal quale può procedere solo bene.Questo dubbio atroce della triplice natura del male (metafisico, morale e fisico) lo fece cadere nello sconforto, tanto da costringerlo a seguire il dubbio degli scettici, facendolo rinunciare alla ricerca della verità. Per lui tutto era diventato una conoscenza dubitabile.
È stato proprio da questa caduta che Agostino si è rialzato, in quanto la voglia di verità in lui era immensa; la verità stessa lo chiamava, dunque, non poteva essere un qualcosa di inesistente. Questo pensiero lo elevò fino alla completa certezza di essere, esistere con la conseguente eliminazione radicale dei dubbi scettici.
“Non si ha il timore dell'obiezione degli accademici: ‘E se t'inganni?’. ‘Se m'inganno, esisto’. Chi non esiste, non si può neanche ingannare e per questo esisto se m'inganno. E poiché esisto se m'inganno, non posso ingannarmi d'esistere, se è certo che esisto perché m'inganno. Poiché dunque, se m'ingannassi, esisterei, anche se m'ingannassi, senza dubbio non m'inganno nel fatto che ho coscienza di esistere. Ne consegue che anche del fatto che ho coscienza di aver coscienza non m'inganno. Come ho coscienza di esistere, così ho coscienza anche di aver coscienza” (Agostino, La città di Dio, XI, 26.
In questa citazione Agostino attaccò la falsità del dubbio scettico, a favore della certezza che l’uomo stesso ha, che è la propria esistenza. Infatti, a tutti coloro che credono che non vi siano delle certezze, delle verità, ma tutto è dubitabile, il filosofo mostra la veridicità e certezza almeno della persona; se ciò che fa è sbagliato, ci deve essere la certezza di un soggetto che sbaglia: chi non esiste non può cadere in errore.
Tuttavia fa un passo avanti, non si ferma a dichiarare la certezza del soggetto che sbaglia, ma afferma anche la propria coscienza, dunque, entra al centro del tema che lo seguirà in tutto il suo percorso: l’interiorità.
§La resurrezione dell’anima
La riscoperta dell’anima e di Dio, le uniche certezze indubitabili, è stata offerta ad Agostino grazie alla lettura dei Platonici e soprattutto grazie ai sermoni di Ambrogio che gli offrirono una grossa delucidazione sulle Sacre Scritture. Agostino, ai tempi delle letture ciceroniane, nell’incontro con la Bibbia non aveva tratto nulla di positivo, perché leggeva letteralmente. È stato il vescovo di Milano a mostrargli il suo errore: la Bibbia si doveva leggere con occhi spirituali, non con quelli fisici, bisognava vedere il significato allegorico e non fermarsi al significato letterale. Tuttavia Agostino si mostrò timoroso di aderire subito a questa che gli pareva una nuova verità, e quindi si avvicinò con cautela.
“mi rallegravo di sentir ripetere da Ambrogio nei suoi sermoni davanti al popolo come una norma che raccomandava caldamente: "La lettera uccide, lo spirito invece vivifica". Così quando, scostando il velo mistico, scopriva il senso spirituale di passi che alla lettera sembravano insegnare un errore, le sue parole non mi spiacevano, benché ignorassi ancora se erano veritiere. Trattenevo il mio cuore dall'assentirvi minimamente, per timore del precipizio, e il pencolare a quel modo era una morte peggiore. Che pretesa la mia, di raggiungere su cose che non vedevo la stessa certezza con cui ero certo che sette più tre fa dieci! Non così pazzo da ritenere che nemmeno quest'ultima verità si può comprendere, volevo però comprendere allo stesso modo anche le altre verità, sia le corporee non sottoposte ai miei sensi, sia le spirituali, per me pensabili esclusivamente sotto una forma corporea. Potevo guarire con la fede, cosicché l'occhio della mia mente si fissasse più puro sulla tua verità permanente e indefettibile; ma, come accade di solito, che dopo aver incontrato un medico cattivo si ha paura di affidarsi anche al buono, così la mia anima ammalata e risanabile soltanto dalla fede respingeva la guarigione per timore di una fede sbagliata, resistendo alle tue mani, che confezionarono la medicina della fede e la sparsero sulle malattie dell'universo intero, dotandola di così grande potere” (Conf., VI, 4.6)
La paura di sbagliare di Agostino, di ritrovare una strada sbagliata, è alquanto normale per tutti coloro che stanno vicino alla Verità, e l’avvicinamento alla Verità mostra anche un timore del cambiamento, un voler sfuggire per paura di un qualcosa di nuovo che stravolgerà la vita stessa. Per Agostino che del corpo aveva costituito un proprio mezzo di conoscenza e di verità era alquanto difficile potersi aprire completamente e direttamente a un mondo che aveva sempre disprezzato se non negato. Entrare nel mondo della spiritualità, dell’interiorità, rientrare in se stesso eliminando completamente l’aspetto fisico era un impegno ancora troppo grande.
Il coraggio divino che gli incusse Dio gli permise di addentrarsi nella dottrina cattolica gradualmente. Non ne era ancora completamente sicuro, ma aveva un piede più dentro la chiesa che fuori.
Tuttavia, come sopra citato, l’incontro con i platonici ebbe un effetto decisivo in Agostino, e Dio, servendosi anche di questo, spiazzò e liberò Agostino dal timore.
“E venne il giorno della liberazione anche materiale dalla professione di retore, da cui ero spiritualmente già libero. Così fu: sottraesti la mia lingua da un'attività, cui avevi già sottratto il mio cuore.” (Conf, X, 4.7)
Questa libertà divina si esprime chiaramente nella richiesta di Agostino che anela alla riconciliazione dell’anima propria con Dio:
“Si unisca ora a te la mia anima, che hai estratta dal vischio tenacissimo della morte” (Conf., VI, 6.9.)
Questa liberazione materiale e la chiamata al servizio di Dio permisero Agostino di riconciliarsi con la propria anima e con la Verità, Dio.
§Cosa è l’anima per Agostino?
Dare una definizione di anima non è per nulla semplice, tuttavia, attenendoci ai testi agostiniani possiamo trarne la sua concezione. Dalle sue opere “Ottantatré questioni diverse” e dal “La città di Dio” possiamo ricavare queste concezioni di interiorità:
“ogni anima in tanto è anima in quanto è vera anima. Ogni anima, per essere anima in senso pieno, dipende dunque dalla verità. Altro però è l’anima, altro è la verità, perché quest'ultima non è mai soggetta a falsità, mentre l’anima spesso s’inganna. Poiché l’anima è dalla verità, non è dunque da se stessa. Ma la verità è Dio: quindi l’anima, per essere, ha Dio per autore” (Agostino, Ottantatre questioni diverse, 1)
“Noi ci rapportiamo alla coscienza mediante la parola, non possiamo arrogarci il giudizio dei pensieri nascosti. Nessuno sa ciò che avviene nell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui” (La città di Dio, I, 26).
“La dimensione dell’interiorità si qualifica come centro della persona umana e condizione di ogni sua crescita spirituale; è nell'uomo interiore che si crede Dio” (La città di Dio, 1202)
Esemplificando queste complesse citazioni possiamo dire che l’anima per Agostino è la dimensione più intima dell’uomo, l’abitazione stessa della Verità, la parte “divina” in noi. Solo per mezzo dell’anima e del nostro rientro in essa possiamo veramente conoscere Dio, la Verità. L’uomo, nonostante questa dimensione interiore, non è in grado di conoscere tutto di sé, ma solo colui che abita dentro di lui può conoscere anche le viscere umane più profonde. Nulla si può nascondere alla Verità eterna, nulla a essa sfugge. L’interiorità è un dono divino dato solo all’uomo tra le creature corporee, e questa dimensione è l’unica che può garantire la vita eterna all’uomo stesso. Attraverso il rientro dentro l’anima e la conoscenza della Verità Assoluta si può vivere.
Agostino ci dice nel passo celeberrimo delle Confessioni:
“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace” (Conf., X, 27.38.
Questo passo si riferisce alla presenza e alla conoscenza di Dio nell’uomo, in questo caso in Agostino. Tanto antica perché si trova nell’intimo umano sin dalla nascita; tanto nuova perché nonostante ci fosse da sempre, Agostino la conobbe solo dopo parecchio tempo, e per lui era una novità bellissima.
Tu eri dentro di me e io fuori: quando l’uomo vive la sua vita solo ed esclusivamente volgendosi all’esterno, ai beni materiali e corporei, si perde l’infinito universo che ha dentro di sé. Agostino passò gran parte della sua giovinezza a cercare il piacere, a cercare le verità fuori di lui, tanto da ignorare l’infinito che era in lui. Dio invece, la Verità, l’Infinito, era sempre dentro di lui (come in ogni uomo).
Il primo Agostino (dalla conversione all’episcopato) aveva una concezione dell’anima passiva, nel senso che l’anima era abitata da Dio, ma non la si vedeva finché la stessa volontà umana non avesse voluto rientrare dentro di sé. Dunque, l’”attivazione” dell’anima dipendeva solo ed esclusivamente dalla libertà umana. Nel secondo Agostino ( dopo l’episcopato), la questione del libero arbitrio fu sorpassata dalla Grazia di Dio. Dunque, l’anima abitata da Dio si manifestava nel momento in cui la Verità lo riteneva opportuno, con una forza tale che l’uomo non avrebbe potuto rifiutarla.
Tuttavia, l’impronta dell’interiorità non cambia: l’anima è sede dell’incontro tra uomo e Dio.
§ L’invito di Agostino all’interiorità
Come i Neoplatonici invitavano al rientro in se stessi, così faceva lo stesso Agostino. Ma due sono le differenze importanti:
1) I Neoplatonici sostenevano che il corpo fosse un male ontologico, per questo era necessario ritornare in se stessi, alla stessa anima e risalire verso l’intelletto e l’Uno. Per Agostino il corpo non è un male, perché è creatura di Dio che opera solo in bene. L’uomo deve tornare in sé per incontrare la Verità e riconciliarsi con Essa.
2)Per i Neoplatonici la risalita verso l’Uno era concessa solo a coloro che avevano la capacità intellettuale: i filosofi. Per il primo Agostino, l’incontro con la propria anima era concessa a tutti gli uomini che lo desideravano.
Agostino, uomo che ha conosciuto la morte dell’anima e la vita di essa, invita a coloro che si trovavano in quella situazione al ritrovamento di se stessi e di Dio. Agostino invita con tono deciso, sprona il lettore, esorta. La salvezza dell’uomo dipende da se stesso (solo nel I Agostino; nel secondo interviene la Grazia), dunque, il tono di esortazione deve non solo di suadere, ma proprio persuadere fino in fondo, affinché il malato si avvicini alla guarigione.
“Rientrate nel vostro cuore, prevaricatori, e unitevi a colui che vi ha creati. Restate con lui, e resterete saldi; riposate in lui, e avrete riposo” (Conf., IV, 12.18).
Nelle Confessioni il registro retorico dell’esortazione è altro, mira a persuadere, mentre nel De vera religione, il registro cala al livello medio, suade il lettore con meno “violenza”:
“Noli foras ire, in teipsum redi; in interiore homine habitat veritas” (Agostino, La vera religione, I,39.72)
È un invito suadente a rientrare in se stessi per cercare la verità, Dio. Bisogna rientrare in se stessi, non vivere completamente fuori, perché ciò che all’esterno appare allettante, che pare verità, all’interno nasconde la più grande falsità di tutte. La Verità tanto amata e amabile si trova solo dentro se stessi, si può cogliere solo con l’anima stessa. Il fine dell’uomo è, in Agostino, la ricongiunzione con la Verità, l’unica eterna e salvifica.
Bibliografia
Agostino d’Ippona, La città di Dio [De civitatas Dei], http://www.augustinus.it/italiano/index.htm, 20-04-2013.
Agostino d’Ippona, Le Confessioni [Confessiones], http://www.augustinus.it/italiano/index.htm, 20-04-2013
Agostino d’Ippona, La vera religione [De vera religione], http://www.augustinus.it/italiano/index.htm, 20-04-2013
Agostino d’Ippona, Ottantatre questioni diverse [De diversis quaestionibus octoginta tribus], http://www.augustinus.it/italiano/index.htm, 20-04-2013
Aggiunto il 26/02/2016 18:11 da Federica Puliga
Argomento: Filosofia medioevale
Autore: Federica Puliga
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