I logici lo sanno bene: esiste un contesto della scoperta ed esiste un contesto della validazione. Quando si inventa una teoria, un conto è che abbia tutti i crismi della “legalità” scientifica (la validazione) e un altro conto è la modalità con la quale ha preso corpo nella mia testa (la scoperta).
Estendendo il concetto alla filosofia diremo subito e seccamente che la natura frequentemente borderline (e a partire da un certo momento decisamente extra-line) del pensiero di Nietzsche non chiude la partita sulla validità o meno delle sue teorie, che rimangono geniali (condivisibili è un altro paio di maniche…..).
Così come non chiuderemo la pratica del criticismo kantiano bollandolo come il risultato di una psicologia ossessiva, solitaria, misantropa (ammesso che tutte queste caratterizzazioni della personalità siano corrette nel caso del grande tedesco).
E guai a liquidare il pensiero di Marx – specie quello che ha letteralmente rivoluzionato il rapporto che la filosofia intrattiene col mondo, con la realtà, con la società; o quello che ha inventato la critica dell’ideologia – come un accidente biografico che scaturì dalle condizioni di estrema povertà (al limite dell’inedia) in cui il genio di Treviri visse.
Facciamo un passo indietro: spesso le teorie scientifiche più innovative e fruttuose sono piuttosto manchevoli sul piano metodologico (e dunque della validità); ancora più spesso le teorie più rigorose e inappuntabili presentano un imbarazzante carattere di micragnosità concettuale: hanno cioè contenuto prossimo allo zero! Prendiamo ad esempio la ricchezza e la profondità di molti modelli psicoanalitici, a partire da quelli proposti dal padre della disciplina Sigmund Freud. E confrontiamola con la rigorosa, matematica precisione dei modelli sperimentali del comportamentismo, esatti ma talmente poveri da sfiorare la noia. E’ questione di gusti!
Immaginate che una particolare declinazione del contesto della scoperta in ambito filosofico sia quella sessuale. Immaginate cioè che una teoria filosofica sia raccontata(e giudicata) nella chiave del rapporto che il suo “inventore” intratteneva con la sessualità. Si apre tutto un mondo. Uno scenario sfavillante (o miserabile) che può sovvertire antiche certezze, radicate tradizioni esegetiche.
E’ quello che fa, con garbo e arguzia, Pietro Emanuele nel suo Filosofi a luci rosse, di Salani Editore. 18 quadretti pieni di impudicizia e tuttavia teneri nei quali l’Autore accompagna i suoi (i nostri) eroi fra il tavolo di lavoro, il bagno di casa e l’alcova, senza strafare ma anche senza ipocrisia. Quello che ne deriva è un esperimento di fascino ambiguo: può il pensiero rappresentarsi il pensiero sub specie erotica?
Il cinema ci ha provato a cimentarsi con le biografie di grandi pensatori (filosofi o scienziati che siano). Freud è stato molto frequentato (ovviamente) e ha rischiato grosso sul terreno agiografico. Cronenberg lo tampina, in compagnia del suo (quasi) amico Jung proprio nel rapporto tormentoso che questi ebbe con la paziente-allieva Sabina Spielrein, e regala il suo algido A Dangerous Method ai curiosi della toppa.
Su un terreno più astratto, immaginifico, sognante si muove Wittgenstein, di Derek Jarman, che non racconta la vita del filosofo austriaco ma tenta una messa in scena teatrale del suo pensiero.
Nei canoni classici del biopic hollywoodiano si situa A Beautiful Mind, di Ron Howard, sul matematico John Forbes Nash Jr., affetto da schizofrenia. Bella prova di attore di Russell Crowe. Ma risultato finale fiacco.
Aggiunto il 25/01/2015 18:31 da Sandro Vero
Argomento: Altro
Autore: sandro vero
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