Altruismo e
morale, di Francesco Alberoni e Salvatore Veca.
Il tema della condotta morale, vero e proprio fil
rouge della storia della filosofia fin dalle sue origini, è stato raramente
preso in considerazione dalle scienze umane e sociali.
Queste, fin dalla loro fondazione, hanno ritenuto
opportuno ridurre il fenomeno morale a comportamento sociale, insieme di valori
condivisi, mentalità storica, coscienza di classe o a qualsiasi altra categoria
interpretativa extra-morale.
Esse si sono rese studio della
morale evitando però di essere inerentemente "moraliste".
I primi sociologi, come Weber, Durkheim e Simmel
erano senz'altro interessati al ruolo svolto dai valori nella società, ma i
loro epigoni sono stati decisamente poco entusiasti nell'inserire la moralità
nel novero di tematiche sociologicamente rilevanti.
È perciò davvero piacevole, notare come un
sociologo, Francesco Alberoni, e un filosofo, Salvatore Veca, abbiano collaborato
alla scrittura di un saggio che fa dell’etica il suo tema centrale.
Per di più, compiendo un vero e proprio excursus
storico volto a ripercorrere la nascita e lo sviluppo di quella che gli autori
chiamano morale razionale.
L’attenzione di Alberoni e Veca nasce da un’osservazione empirica: mentre le moderne democrazie hanno da tempo rivolto la loro attenzione a sistemi morali razionali e funzionali al raggiungimento del bene comune, gli autori ritengono che nel nostro Paese la morale sia poco più che manifestazione di affetto per la famiglia e per le cerchie degli amici e dei conoscenti più intimi.
Anche senza scadere nell’ormai abusatissimo “familismo amorale”, è accurata l’osservazione per cui per molti italiani l’azione morale non può beneficare un’impersonale “bene comune”.
In questa diversa disposizione morale, gli autori vedono un contrasto tra una morale razionale, oggetto del saggio, e una morale familista, verso cui gli autori non nascondono alcune perplessità.
Tutto parte dunque da questa fondamentale
distinzione: c'è un sentimento morale istintivo, materno, basato su affetto e
amore e limitato alla sfera dell'intimità e c'è un senso morale razionale,
riflessivo, volto a generalizzare e ad estendere il rispetto morale.
Mentre il primo tipo di morale è naturale e diffuso
fin dagli albori dell'umanità, il secondo è il frutto di un processo storico di
lunga durata, che si snoda dalla Riforma ai giorni nostri.
Narrarne la storia è compito dei capitoli centrali
del libro e approfondire la differenza tra questi tipi di morale è ciò
che si prefiggono di fare gli autori nelle loro conclusioni.
La storia di questa nuova morale, come
detto, parte dalla Riforma.
Essa secondo Alberoni e Veca rompe con la
tradizione medievale, punitiva e opprimente, perché sostituisce alla giustizia
retributiva il principio della morale disinteressata.
Lutero rompe con la tradizione scolastica perché libera il messaggio cristiano dalle incrostazioni teologiche che ne avevano ridotto l’iniziale impeto umanitario.
La salvezza è ottenuta sola fide, dunque non si ha alcuna ricompensa per il bene o punizione per il male, permettendo di amare l'altro spontaneamente.
Non avendo alcun fine se non il bene dell’altro, il cristiano può dedicarsi ad esso senza secondi fini, perché a salvarlo non saranno le sue opere buobe, ma la Grazia.
Gli autori, tuttavia, lungi dall'essere ingenui, notano anche i limiti di questa prospettiva, minata dall'emergere della dottrina calvinista della predestinazione e dal permanere di credenze medievali anche nelle denominazioni riformate.
La Riforma non avrà abbastanza impeto per realizzare tutto il
suo potenziale trasformativo, finendo, come il cristianesimo delle origini,
imbrigliata da divisioni settarie e logiche di potere.
Ma ciò che importa è che il seme sia stato gettato.
Nella trattazione degli autori segue infatti
l'utilitarismo, figlio di un’altra grande riforma, non religiosa ma culturale e
sociale: l’Illuminismo.
Riformista, laico ed egualitario, esso rompe definitivamente
con quel mondo medievale che già la Riforma aveva incrinato.
All'insegna dell'uguaglianza nascono nuove
prospettive etiche: una di queste è appunto l'utilitarismo.
Ben diverso da come lo si rappresenta nel parlato
comune, esso non è egoistico, tutt'altro, perché mira alla massimizzazione del
maggior vantaggio collettivo.
Esso è egualitario, disinteressato e
riformista nello spirito del suo ideatore Jeremy Bentham, attento ai desideri
di benessere di umani e non.
Il cardine di tale teoria è il principio di massimizzazione dell’utilità collettiva: se evitare il dolore e perseguire la felicità sono gli obiettivi ultimi, solo l’azione che massimizzerà l’interesse del maggior numero di persone sarà da perseguire.
Proseguendo il lavoro dei
riformatori protestanti, gli utilitaristi spostano la morale verso un sempre
maggiore altruismo razionale, calcolato su basi razionali.
Il successivo punto di svolta sarà Kant.
Egli massimizza l'aspetto impersonale e
disinteressato della morale, rendendola formale.
Rifacendosi al vecchio principio del "non fare
agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso", reso in veste
nuova e laica, Kant propone ad ogni agente umano razionale di scegliere quella
condotta di vita che se universalizzata, cioè seguita da tutti, renderebbe
migliore la vita collettiva.
Nessun uomo può servire strumentalmente per qualcos’altro:
solo considerando l’autonomia di ognuno come principio ultimo da rispettare si
avrà una condotta davvero morale.
Immagine suggestiva di questa utopia è il Regno dei
Fini, mondo immaginato in cui ognuno è beneficato solo ed unicamente perché
essere umano, non per motivi strumentali.
È l'apoteosi dell'altruismo razionale da cui
eravamo partiti.
L'affetto viene relegato completamente alla sfera
delle relazioni personali, mentre la morale viene ad essere dominata dal dovere
impersonale.
Tuttavia, le implicazioni del pensiero etico di Kant sono tali da richiedere agli autori una pausa nel loro excursus per chiarificare alcune importanti conseguenze.
Troviamo infatti un intero capitolo volto a colmare alcune
aporie del sistema kantiano, in particolare quelle che derivano dall’esclusione
del sentimento.
Il sentimento dell’altruismo, esaltato ad esempio
dalle varie etiche della cura (a cui gli autori non fanno riferimento ma che
ben si presta a queste critiche) è senz’altro caloroso e amorevole, ma non può
generare azioni morali dove non sussista un legame affettivo.
È facile essere spontanei con amici ed amanti, ma noi dobbiamo essere morali anche con colleghi, concittadini, clienti e sconosciuti.
Ciò è possibile solo se adottiamo
una prospettiva razionale, come quelle utilitarista o kantiana.
Ma ciò è poco soddisfacente dal punto di vista
emotivo.
Esempio degli autori: il commesso
che mi sorride e mi aiuta nel negozio lo fa con me come con chiunque.
Lo fa perché è il suo lavoro che gli richiede di
essere gentile e disponibile con noi: avessimo un robot capace di svolgere il
compito del commesso con la stessa cortesia, non cambierebbe di molto la
situazione.
Noi siamo rispettati, ma non amati.
E di amore abbiamo bisogno: una morale che volesse
prescindere da ciò sarebbe inutile, quando non dannosa.
Arriviamo dunque al nucleo centrale della
riflessione di Alberoni e Veca, quello entra nel vivo del dibattito morale.
Ci sono due fonti dell'agire morale: l'amore è
l'imprescindibile motore di ogni azione morale, senza cui nessuna condotta
etica può sussistere, tuttavia esso va sottoposto ad esame critico, raffinato
dalla ragione, così che questa nostro istintivo affetto non sia parziale o
dannoso, ma correttamente volto al bene collettivo.
La morale razionale non prescinde dall’affetto, e non lo
genera, ma addestra il nostro sentimento a considerare come degni di rispetto
tutti gli uomini.
Solo questo addestramento alla riflessione morale
può renderci persone davvero morali, quando non è distaccato da un sincero
amore per il prossimo.
Il libro, dopo questa breve interruzione
speculativa, riprende brevemente il suo excursus storico, stavolta osservando
la storia dei moderni "avversari" della morale razionale.
Presentati da molta manualistica come i distruttori della morale, autori come Hegel, Marx, Freud e Nietzsche sono in realtà tappe fondamentali nel processo stesso.
Vero è che nessuno di loro credeva davvero ad una morale
radicata solamente nei buoni sentimenti e nella razionalità umana.
Hegel riduce l’etica ai costumi e alle usanze di un
popolo, Marx ne fa interesse particolare di classe, Nietzsche mostra come i
miseri mascherino la loro invidia e il loro risentimento verso chi è forte
ammantando la loro bassezza di connotati morali, Freud infine dichiara di voler
salvare l'uomo da quella morale punitiva divenuta super-ego.
Nessuno di questi contributi viene disconosciuto
nella sua importanza.
Hegel e Marx hanno saputo individuare il legame indissolubile tra società e individuo, permettendoci di accorgerci dei molti preconcetti che la prima impone al secondo.
Freud ha saputo liberare generazioni di malati dall’oppressiva morale familiare e sociale introiettata nella fragile psiche dei bambini.
Nietzsche mostrò come i deboli e i sottomessi, che si fanno
forza con la morale cristiana, bramano in realtà di ottenere ciò che non hanno
e che provoca in loro invidia e risentimento.
Ognuno di questi autori ha contribuito a migliorare
la nostra conoscenza di ciò che la morale è e di ciò che non dovrebbe essere.
Ne hanno mostrato i limiti, perché altri potessero
affinare le proprie teorie.
Ognuno infatti può apprendere da queste riflessioni
per perseguire una condotta morale.
Tutta la riflessione morale si regge su un nucleo irriducibile e comune: l’altruismo.
Che il nostro destinatario sia il prossimo, verso cui abbiamo potere diretto, o il chiunque, categoria che per esclusione indica chi prossimo non è, l’azione morale è sempre altruista.
Persino le grandi sfide del futuro, da quelle politiche a quelle scientifiche, toccano da vicino la sfera etica, implicando aspetti morali.
Ad esse gli autori si preparano proponendo un equilibrio di tre fattori: l’utile, l’accordo razionale e i principi.
Perché queste tre necessità morali vengano bilanciate serve che la morale sia capace di estendersi dal prossimo al chiunque, abbracciando scenari nuovi e nuove questioni.
Solo una morale davvero altruista potrà guidare la politica del futuro.
Il nostro viaggio nella storia
della morale si conclude con un ultimo Commiato, in cui, dopo aver riflettuto
sulle nuove sfide poste dall'etica pubblica contemporanea, Alberoni e Veca si
lanciano in un appassionato elogio protrettico della morale razionale.
Essa è accessibile a tutti, emancipa dal parere di
preti e dotti, mette l'uomo in condizione di decidere da sé come vivere la sua
vita, purché sia criticamente volta al bene.
La morale è data in potenza a tutti, naturalmente
presente nell’uomo, sedimentata in tradizioni millenarie di riflessione etica,
veicolata da usanze, norme sociali e linguaggio e per questo disponibile a
tutti ma va affinata, addestrata, allenata e nutrita di riflessioni, specie
nella lettura di grandi testi di morale.
Il patrimonio di riflessione morale dell'umanità
nei millenni è immenso: leggendo un libro di morale il lettore scopre in sé le
stesse intuizioni che l'umanità ha da secoli, può dare loro un nome,
spiegarsele e capirne la portata.
Tali testi, nella concezione appassionata degli
autori, possono far capire a tutti che la morale non è qualcosa di pesante e
oppressivo né di compassionevole e passionale, bensì una via fondamentale per
lo sviluppo dell'essere umano.
In conclusione, il libro è di difficile
classificazione disciplinare: è a tratti storico, a tratti sociologico e tratta
questioni squisitamente filosofiche in maniera chiara e semplice.
Proprio la semplicità del linguaggio potrebbe
disarmare il lettore esperto.
Ogni cosa è ridotta all'essenziale, senza
speculazioni di ampio respiro, perché tutti possano seguire il filo del
discorso degli autori.
Ciò non rende il testo troppo divulgativo per
essere seriamente considerato "accademico", ma permette anzi di
sviluppare riflessioni penetranti senza escludere dalla fruizione il pubblico
meno specialistico.
Inoltre, per quanto tendenzialmente
storico-manualistico, il libro è tutt'altro che una mera storia della morale,
bensì uno studio originale e di grande interesse sul ruolo, le cause e
l'importanza della morale nella storia della società occidentale.
Hume in una lettera al filosofo morale Hutcheson disse che è difficile per chi vuole studiare la morale essere empiricamente attento al suo funzionamento e allo stesso tempo esortare calorosamente alla virtù.
Egli fa l’esempio dell’anatomista e del pittore.
Come l’anatomista studia la natura del corpo umano e lascia
al pittore l’esaltazione della sua bellezza, così per Hume lo studioso
distaccato della morale ne studia solo lo sviluppo e la natura, lasciando al
moralista il compito di esortare le genti alla condotta virtuosa.
Invece Alberoni e Veca si prefiggono di fare
entrambe le cose, unendo la profondità analitica a un sincero amore per la
moralità, in un libro godibile e mai superficiale.
Il piano dell’essere, dominato da osservazioni storico-sociologiche sullo sviluppo dell’etica occidentale, e quello del dover-essere, appannaggio della riflessione normativa, si alternano senza mai confondersi per tutto il libro.
Se è senz’altro vero che la scienza si nutre di fatti e la morale di libertà, è anche vero, come ribadito dagli autori, che conoscere è il primo passo per meglio impostare la propria condotta.
Ben lungi dall’essere una semplice storia della morale, il testo è fin dall’inizio un’esortazione appassionata alla vita consapevole e morale, aperta a tutti in ogni tempo e luogo.
A questo tipo di vita gli autori danno un ruolo centrale nell’esistenza umana, concependo la morale non come sistema di regole norme, ma come risposta all’umanissima domanda “Come è meglio vivere?”.
Il libro non offre risposte preconfezionate, ma come la morale kantiana, vuole fornire criteri formali perché ognuno possa dare a tale domanda una soddisfacente risposta.
Aggiunto il 12/06/2019 11:33 da Riccardo Cravero Cravero
Argomento: Filosofia morale
Autore: Riccardo Cravero
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