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ARTICOLI

Alcune riflessioni sui concetti di bene e male

Leggendo un articolo dal titolo Sulla necessità ontologica e morale del male mi sono sorte alcune riflessioni che vorrei condividere.

L’autore, ragionando sull’etimo latino della parola bene e trasfigurandolo, definisce buono colui che “onestamente si mostra rappresentando solo e soltanto se stesso”. Ora, dal momento che “è fattuale  l'esistenza ontologica di un individuo maligno o che non si prostri, in nessun modo mosso da alcun principio di morale aprioristica, agli spesso ipocriti canoni di Bene dettati dalla società odierna” sorgono qui due problemi: cosa significa per un uomo essere maligno, vale a dire ontologicamente malvagio? E poi, i canoni di bene delle società sono in sé sempre veri? In altre parole, il Bene è qualcosa di assoluto o di relativo?

Queste due domande sono probabilmente tra le più antiche tra quelle che assillano l’umanità, ma non per questo meno attuali. Partiamo dalla prima. L’esperienza di ogni giorno ci fa incontrare persone che consideriamo, forse superficialmente o forse no, cattive. Per quale ragione lo sono? Anzi, propriamente parlano, possiamo davvero dire che lo siano?  E se non lo sono ma lo fanno, perché? Vorrei provare a rispondere attraverso un’idea che mi pare chiara e evidente in se stessa: nessuno fa il male volontariamente. Intendo dire che nessuno fa il male volendo fare una cosa che è sempre male, per gli altri e per se stesso. Prendiamo il caso estremo di un assassino che uccide una persona. Certamente la sua azione è malvagia, ma quando decide di farla e attua la sua decisione, anche solo per un momento, egli è del tutto convinto di stare facendo la cosa giusta, di stare facendo qualcosa di bene. E’ un bene egoista certo, distorto, ma è sicuro che sia la cosa da fare. La storia è piena di stragi, di massacri e di genocidi addirittura e tutti ci fanno, giustamente, inorridire. Chi li ha decisi, pianificati e attuati però era nella convinzione di stare facendo la cosa necessaria, giusta, buona per se stessi, per la propria fazione, per il proprio popolo. Non intendo affatto dire che tutte le azioni possano essere giustificate, ma solo che chi fa il male è convinto, in cuor suo, di stare facendo qualcosa di buono. E’ solo dopo, quando tutto è compiuto, che forse l’autore potrà rendersi conto che quello che ha fatto non era per nulla bene, sicuramente è un giudizio che le altre persone possono emettere. Questo è ciò che intendo quando affermo che nessuno fa il male volontariamente.

Perché allora alcuni individui anzi, ogni individuo, fa il male? Per ignoranza di bene. Fa il male perché, pur perseguendo il bene, si sbaglia tragicamente. La tragicità della natura umana sta tutta qui. In sé l’uomo è spinto al bene, lo cerca, lo brama per sua natura; dall’altra questa ricerca è labirintica, ci si sbaglia in continuazione, per egoismo, per superficialità, per voglia di rivalsa, per godere di piccoli piaceri ecc.

Se il male è ignoranza di bene, la nostra ricerca deve dunque volgere necessariamente su cosa sia il Bene, e qui arriviamo alla seconda domanda, quella sulla natura assoluta o relativa del Bene. Per il solo fatto che noi aspiriamo sempre ad esso, il Bene deve possedere realtà ontologica. Il Bene esiste, ed è sempre uguale a se stesso. L’esperienza tuttavia, come detto sopra, ci mostra quanto frequentemente ci inganniamo su ciò che sia davvero Bene, confondendoci tra esso e quello che per noi è bene, un bene momentaneo e spesso utilitaristico. La stessa cosa accade con le società. Quello che una società, un popolo, una cultura considera bene è il suo bene in quel momento, non ha realtà ontologica ma in un certo senso, utilizzando una terminologia platonica, partecipa al Bene.

In questo quadro, con il Bene che sembra esserci precluso come realtà in sé ma che noi cerchiamo e verso il quale vogliamo avvicinarci, come dovremmo comportarci? Quale deve essere il nostro abito etico in questa tragedia nella quale viviamo e che ci caratterizza come essere umani, come esseri che aspirano al bene ma spesso compiono il male? La risposta ce la dà, a mio avviso, Platone. Egli ce la mostra non in un suo specifico dialogo, ma nella struttura stessa dei suoi dialoghi. In essi i protagonisti discutono, ricercano insieme la soluzione di un problema. Spesso non giungono a una conclusione, ma il solo fatto di fare un tratto di strada riflettendo insieme li avvicina alla Verità, che coincide con il Bene. Ecco, questo è il più grande insegnamento di Platone, un insegnamento che oggi più che mai è valido. Discutiamo insieme, andiamo a vedere cosa altri pensano e fanno, proviamo a mettere in discussione tutte le nostre sicurezze che spesso ci derivano dall’abitudine. Non riusciremo a raggiungere il Bene probabilmente, ma insieme potremmo imparare a guardare alle cose da tanti punti di vista diversi, perdonandoci l’un l’altro e aiutandoci, poiché tutti sbagliamo, tutti facciamo il male, ma nessuno di noi è malvagio. Abbiamo solo bisogno dell’altro per ritrovare la strada giusta.




Aggiunto il 07/09/2020 15:31 da Nicolò Pirovano

Argomento: Filosofia morale

Autore: Pirovano Nicolò



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