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Conatus

 


 

 LORENZO BOSCARO

Percorsi di attraversamento del concetto di conatus ( Resistenza , sforzo , desiderio) con aperture nella contemporaneità.

1. Confronto Hobbes / Spinoza ( con particolare riferimento al tema del conatus e della sfera del diritto)

2. Il conatus nella figura di Marx - Breve analisi del "Quaderno Spinoza" del 1841

3. Stirner uno "spinoziano egoista"

4. Conatus desiderante ( riferimento a Deleuze)

5. L'importanza del linguaggio in Hobbes e Lacan

 

1. a) IL CONATUS SECONDO HOBBES

 

Hobbes nel De Corpore conferma la sua concezione della realtà realistico-meccanicistica, affrontando il moto, già sviluppato precedentemente e figlio di una tradizione storica a lui contemporanea, ma in chiave emotiva.

Il conatus può essere visto come un desiderio o istinto di autoconservazione e l’Autore procede a trattarne in maniera sistematica a partire dalla distinzione tra movimento animale e vitale.

Per movimento vitale Hobbes intende le pulsazioni, il corso del sangue, la digestione,…cioè movimenti che iniziano con la nascita e continuano ininterrottamente per tutta la vita, mentre per movimento animale, chiamato anche movimento volontario, intende il movimento che segue una preliminare immaginazione nella mente, come il camminare, il parlare,…

Vengono definiti conatus quei piccoli inizi di movimento (infinitesimo di movimento) nella parte interna del corpo umano che si hanno prima di una manifestazione concreta ed evidente, come il parlare o il camminare.

Quando esso si indirizza a qualcosa che ne è la causa viene definito appetito o desiderio. Quando invece si realizza una situazione opposta, cioè si evita qualcosa, allora si può parlare di avversione: non a caso appetito e avversione venivano definiti dai latini come movimenti, uno di avvicinamento e l’altro di allontanamento.

Non va tralasciato il fatto che la nostra costituzione corporea è in continuo mutamento e questo comporta che le stesse azioni non producano sempre gli stessi appetiti e le stesse avversioni.


 b) IL CONATUS SECONDO SPINOZA

 

La filosofia pratica di Spinoza si fonda su un sunto di base che è quello di autoconservazione, un esempio è quello della logica del principio d’inerzia perché ogni ente permane nel proprio stato finché non viene modificato da un evento esterno.

Spinoza intende il conatus come una tendenza o sforzo di autoconservazione che coincide con la stessa natura dell’individuo. La distruzione di un ente dipende sempre solo da una causa esterna. Il conatus è un impulso che spinge alle azioni nelle quali si esprime la natura di ogni individuo e lo sforzo di autoconservazione permette di distinguere una cosa singolare con una propria identità.

Mi ha colpito particolarmente la trattazione di Laurent Bove che delinea il conatus di Spinoza come forma di strategia della “moltitudinis potentia” propria del conatus politico.

Mi piace ricordare l’aspetto di affermazione e resistenza uniti a una concezione di conatus molto vicina a quella di un principio di piacere.

Il conatus si identifica come uno sforzo di conservazione che comporta soddisfazione e convenienza alla nostra natura.

Questo sforzo viene inteso come una resistenza rispetto a un sentimento o ad una situazione che causa tristezza, non a caso L.Bove accosta il conatus al principio di piacere per confermare e spiegare una ripetizione che giustifica una perseveranza nell’attuare continuamente un <<affetto gioioso>>. ( Spinoza e Freud sarebbero d’accordo nel dare ascolto alle leggi degli affetti piuttosto che alle leggi della ragione)

L’aspetto positivo del conatus si concretizza nell’affermazione dell’esistenza dando luogo ad una forma di tendenza amorosa, in contrapposizione a una situazione deprimente, ciò mette in luce un’etica incarnata dal soggetto nella dinamica della gioia.

A mio avviso la soggettività etica rappresenta già un punto d’incontro con la realtà sociale e con la libertà, mentre l’aspetto della resistenza lo precede.

L’aspetto che riguarda il conatus politico viene inteso come movimento che prende origine e si realizza in un approccio tra più individui (plurale e in questo caso il diritto si identifica con la forza della maggioranza) in un contesto sociale, dove le caratteristiche di questa sovranità rimandano alla democrazia come forma politica di governo.

Si arriverà quindi ad una forma di organizzazione politica che si autoafferma costantemente resistendo ad una opposizione esterna ad essa che la vuole disgregare.

Ontologia e politica vanno a braccetto in quanto essenza ed esistenza si fondono nell’aspetto dell’agire sovrano (l’agire della collettività come moltitudine).

 IL DIRITTO SECONDO HOBBES E SPINOZA

 

Nella seconda parte del Trattato Teologico Politico Spinoza analizza i fondamenti della politica, il diritto civile e gli stati sovrani.

In particolar modo mi soffermo sul capitolo XVI trattato nelle lezioni.

Innanzitutto Spinoza considera in modo uguale diritto e potenza, quindi la natura detiene il supremo diritto chiamato “diritto di natura”. Questo diritto si estende fin dove si allarga la potenza della natura.

L’Autore fornisce la seguente definizione di diritto di natura: << leggi o regole di nature secondo le quali accadono tutte le cose, cioè la potenza stessa della natura.>>

In questo caso il giusnaturalismo spinoziano si esplica nell’ontologia della potenza (la potenza della natura viene rappresentata dall’insieme degli individui).

La radice del diritto non risiede quindi nella ragione umana, ma nel desiderio e questo permette una spiegazione del conatus nei fondamenti della politica.

Esso comporta che ogni cosa ha il diritto di perseverare nel suo essere e quindi agire ed esistere in base alla sua essenza. Ciò mette in luce la naturalizzazione del diritto: il supremo diritto di natura infatti comporta lo svolgimento di un’utilità finalizzata all’individuo e giustifica ogni forma di operatività a patto che rientri nei limiti del desiderio.

Le caratteristiche spinoziane in merito allo stato di natura delineano uno stato precario, oscillante in cui possono sorgere controversie tra gli individui e dove esiste il pericolo di scontro tra le persone portando ad una mancanza di possibilità di esplicazione dei singoli individui.

Per Hobbes il diritto naturale si identifica con la libertà intesa come un’assenza di ostacoli esterni che comporterebbero una limitazione del potere degli uomini, ma ciò non ostacola una capacità razionale dei singoli individui di formulare giudizi. Mentre Spinoza come detto precedentemente estende il diritto naturale al desiderio equiparandolo alla sua potenza.

L’applicazione della potenza di ogni individuo coincide quindi con il suo diritto naturale.

Le differenze tra Spinoza e Hobbes riguardano principalmente lo stato di natura e il patto sociale.

In Hobbes il patto consiste nell’uscita da uno stato di natura dove regnano paura e disposizione alla guerra (situazione asociale) attraverso un artificio umano che è la creazione dello stato (Leviatano). Ci deve essere la rinuncia ad un potere assoluto da parte di ogni individuo e la consegna dei propri diritti ad un sovrano che si occupi di tutelare i singoli individui e di assicurare i fondamenti razionali dello stato, come portare e mantenere l’ordine nella società.

In Spinoza il diritto naturale rimane integro e il potere sovrano ha maggior diritto di quello del suddito, solo come quantità di potere. L’articolazione dell’artificio hobbesiano in Spinoza rimane un’espressione di diritto di natura e in questo caso lo stato civile rappresenta in un certo senso la natura sociale dell’uomo. Il diritto naturale/potenza non viene quindi ceduto né depauperato con l’istituzione dello stato, anzi esso rimane intatto in quanto presente nella dinamica interna della collettività.

Lo stato democratico viene considerato da Spinoza una forma di governo naturale e prossima alla libertà, mentre Hobbes propenderebbe per una forma di governo tipica della monarchia assoluta dove tutti i diritti convergono su un solo individuo.


2. Il conatus nella figura di Marx – Breve analisi del “Quaderno Spinoza” del 1841

 

Nel 1841 Marx, in età ancora giovanile, ha scritto il “Quaderno Spinoza” che prende in esame il Trattato Teologico Politico di Spinoza. Non si tratta di un’opera compiuta, ma di una serie di annotazioni, riflessioni ed estratti riguardanti il rapporto tra lo Stato e la libertà degli individui, quindi la soggettività etica nell’ambito della conoscenza.

Potremmo dire, con senso dell’ironia, che Marx ha fatto “resuscitare un cane morto” volendo significare l’intento di recuperare e valorizzare le teorie ed il pensiero di Spinoza che erano caduti nell’oblio.

Facendo riferimento al XVI capitolo Marx procede ad una distinzione radicale tra due tipi di Stato opposti tra di loro: lo Stato confessionale e oppressivo e lo Stato democratico.

Il primo si nega in quanto Stato perché viene meno al proprio fine mentre il secondo esercita il ruolo di emancipazione spirituale che si realizza con lo Stato democratico.

Marx dopo un’attenta lettura del Trattato coglierà in esso l’importanza fondamentale della storicità del processo di emancipazione dell’uomo.

Gli uomini, secondo Spinoza, si unirono in collettività in maniera che ci fosse un’equa distribuzione dei diritti. Emersero la volontà di tutti e il potere.

L’aspetto di convivenza ha origine da un patto ed esso trasferisce potenza / diritto agli altri individui.

Per Spinoza ogni contratto di natura politica è un contratto di tipo sociale e questo permette ad ogni persona di mantenere la propria

individualità, il proprio istinto naturale e in questo modo la sfera della socialità diventa l’essenza dell’uomo.

La democrazia si adegua all’essenza dell’individuo e lo rende in maniera definitiva “sociale” nel senso che questo trasferimento della potenza non avviene tramite mediazioni pertanto risulterà inevitabile la fine dello Stato, un vivere e convivere con gli altri senza sovrastrutture repressive.

Il pensiero politico di Spinoza è un’arma segreta di Marx per smantellare quelle che lui chiama “le seduzioni totalizzanti dell’hegelismo”.

Il Trattato permette di progredire verso l’essenza sociale degli uomini che, diventati liberi, potranno convivere a misura della loro essenza sociale.

Durante lo svolgimento della critica dell’economia politica Marx subisce l’influsso sia di Feuerbach (che si ritroveranno nei Manoscritti economico-filosofici del 1844) sia quelli di Spinoza.

Il pensatore olandese aveva svelato a Marx l’eziologia dell’alienazione politica che tornerà utile durante il periodo in cui egli sviluppò la critica alla politica e al diritto di Hegel.

Per entrambi i pensatori, sia Spinoza che Marx, di solito non viene trattato in modo adeguato il tema dell’ignoranza, dal momento che l’ignoto viene considerato strutturalmente inconoscibile. Solitamente si bypassa questa situazione con l’introduzione della divinità per cercare di dare una spiegazione.

Secondo me invita quindi caldamente a prendere le distanze da ogni forma di immaginazione, chiaramente astratta, e “posare i piedi per terra” quindi capovolgere questa situazione e affrontare quei fenomeni non comuni che non trovano una risoluzione immediata o non facile.

Lo Stato democratico delineato come forma politica all’interno del Trattato verrà apprezzato da Marx in quanto esso non opprime nessuno, non racchiude in sé elementi di violenza, dal momento che lo Stato garantisce la salute di tutto il popolo in modo che ogni persona possa rispettare e dare impulso alla propria libertà.

Marx delinea in sintesi le caratteristiche che possiede lo Stato democratico, in contrapposizione ad uno Stato oppressivo e confessionale.

a- Assenza di norme di governo violente in quanto si tende al bene del popolo;

b- Depotenziamento e progressiva riduzione della tensione religiosa del popolo che passa così da una situazione di “inciviltà” a una progressiva situazione di armonia sociale e di superamento dell’ignoranza; assenza di fanatismo religioso

c- Un clima privo di contraddizioni interne permette una sopravvivenza di lunga durata.

In questo contesto il conatus si identifica con la tendenza a formare una collettività, intesa nel clima di un contesto democratico dove si vive un’atmosfera di coscienza comune, tesa a corrodere e a creare resistenza verso le strutture di un sistema di potere repressivo, quale lo stato autoritario.


3. STIRNER: UN EGOISTA SPINOZIANO

Stirner viene considerato come un pensatore atipico, una personalità sfuggente che godette di fama solo verso la fine del XIX secolo.

L’opera di riferimento nell’universo stirneriano è “L’Unico e la sua proprietà” e mi sembra doveroso accennare alcune considerazioni introduttive in merito all’opera di riferimento.

L’uomo riconosce la sua totale autonomia nell’atto di fondare la sua causa su se stesso, dato che io sono il mio Unico e l’altro si identifica con il nulla.

Questo significa che l’egoista vive molto meglio.

Stirner delinea un’umanità che non persevera in una nobile causa, ma considera ciò che va a proprio vantaggio per poi sbarazzarsi facilmente degli individui che si sono adoperati come mezzo meramente strumentale al loro servizio.

Da questa situazione emerge l’Unico, un io egoista dotato di una forte volontà e di un abile ingegno che riesce a trovare lo spirito (chiaramente uno spirito compiuto, cioè un’evoluzione che porta l’individuo a definirsi corporalmente, mettendo in luce l’interesse dell’individuo marginalizzando l’aspetto ideale) e successivamente rimarcare il godimento/soddisfazione della propria individualità chiamato anche “interesse egoistico” e in breve diventare un Unico.

Approdando nella corporeità non sono più assoggettabile a pensieri o idee che prima avevano influenza come forma di potere su di me (la signoria del pensiero

Secondo l’interpretazione di Montalto, (Lo spettro di tutti gli spettri) Stirner ammette che la storia è l’individuo e quell’individuo è il singolo, cioè l’Unico.

Il singolo è la storia universale e questo comporta uno sviluppo individuale e un’affermazione che mette in luce che “io stesso sono la mia premessa”, pur essendo cosciente che accanto all’individuo ci sono altre persone che hanno anch’esse una storia universale.

Io sono l’Unico e questo permette di generare e creare me stesso in ogni momento tenendo in considerazione che il mio io è corporeo e finito.

Il singolo uomo solitamente arriva ad avere forme di egoismo, seppur limitate, che si manifestano in azioni quotidiane (la violenza, la persuasione, l’inganno, l’ipocrisia,…) mentre l’Unico può arrivare alle vette di un egoismo elevatissimo e ciò permette di liberarsi da tutto ciò che viene considerato sacro come la sfera del diritto e quella della religione, dove l’individuo non occupa una centralità attiva e operativa.

L’Unico si libera del mondo stesso non essendo parte della massa di persone e popoli che hanno vissuto una vita al servizio dell’umanità; infatti esso viene definito” spettro di tutti gli spettri” in quanto il suo corpo è lo spirito della storia e anche perché questo spirito della storia, comprendendo anche i pensieri, ne rappresenta l’involucro esterno.

Dopo le posizioni di Montalto mi sono soffermato brevemente su alcune critiche mosse dal filosofo Hess, facente parte della sinistra hegeliana.

La critica che Hess muove a Stirner è quella che egli non ha saputo schierarsi adeguatamente e cogliere l’egoismo pratico relativo alla sfera umana, manca quindi di coscienza egoistica portando solamente in luce una società borghese che divora lo Stato.

Stirner sostenendo, con vicinanza hegeliana, l’egoismo smisurato e l’inclinazione verso la pratica degli affari arriva a dire che la nostra storia non è altro che una storia di associazioni egoistiche: esempi sono l’antica schiavitù soppiantata successivamente dalla servitù della gleba e la sua variante moderna, il principio di schiavitù universale.

Nella sezione intitolata “L’individuo proprietario”, sottintendendo della propria potenza, Stirner analizza il diritto facendolo corrispondere allo spirito della società: se essa presenta una volontà, questa è il diritto; ogni diritto esistente rappresenta qualcosa di esterno che viene concesso e quindi il diritto rappresenta la volontà del dominatore.

Quindi ogni mia azione non deve rispondere a nessuno, ma agire grazie alla forza (intesa come potenza) in mio possesso che si identifica con la mia natura, con la mia essenza di uomo rappresentando un diritto egoistico dove se qualcosa è ritenuta giusta per me allora è giusto che io perseveri in essa.

Non verranno risparmiate critiche al liberalismo e al comunismo, dicendo in riferimento a quest’ultimo che gli uomini hanno per natura gli stessi diritti ed è proprio questo che porterà Stirner a criticare questa forma politica/ideologica che racchiude in se stessa una contraddizione, cioè gli uomini per natura non hanno nessun diritto ed è sbagliato dire che l’uguaglianza è un diritto.

Ognuno fa derivare il proprio diritto da se stesso e l’unico diritto naturale in suo possesso è il diritto di nascita.

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4. IL CONATUS DESIDERANTE (Deleuze )

 

“Che cosa può un corpo?” e’ il titolo di un’opera di Deleuze in cui la figura di Spinoza viene ricordata nell’ambito del potere.

Prima di addentrarmi a trattare del conatus vorrei ricordare una piccola trattazione che ho trovato sotto il titolo “La freccia rompe il cerchio” dove, secondo la mia interpretazione, il cerchio rappresenta un ordine naturale precostituito avente la prerogativa di essere perfetto. La freccia invece rappresenta un’espressione per reagire e frantumare questa superiorità che si è sedimentata in un immaginario collettivo ( freccia = macchina da guerra e cerchio = sistema di potere).

Il potere può essere visto come un regime dove regnano l’insicurezza e la servitù, riducendo così la società a rapporti di forza che possono essere respinti solamente con una forma di resistenza. Il potere tenderebbe per sua essenza a ricercare una forma di stabilità, infatti per continuare ad esistere è necessario che le cose non mutino.

La visione del conatus implica una disarticolazione delle istituzioni del potere; una società si libera solamente se si apre alla crisi (intesa come dimensione costitutiva/ passaggio vitale) dando vita ad una molecolare azione di ricodificazione e riteritorializzazione e questo permette di lavorare sui rapporti relazionali privi di gerarchia.

Le forze sociali invece non smettono mai di elaborare continuamente legami sociali, infatti il conatus è costruzione sociale inteso come progetto politico, dotato di espressione passionale e formulato con un’attenta metodologia.

Esso si trova nelle congiunture, non a caso esplica una potenza collettiva che permette ai corpi di unirsi aumentando esponenzialmente l’emozione gioiosa nell’azione degli idividui. In questo caso in una situazione di repressione sociale o di schiavitù il bisogno delinea progressivamente delle traiettorie emozionali che conducono a percorsi di liberazione.

Per utilizzare nozioni appartenenti all’ambito della fisica, potremmo dire che il conatus viene rappresentato come una camera di accelerazione in opposizione a un corpo dominante, inteso come potere , che si attiva attraverso slanci successivi aumentando in maniera costante il proprio movimento.

La visione che permette di affermare un’altra società è quella di una democrazia assoluta dove il diritto rappresenta l’espressione di una potenza collettiva e la politica comporta la formazione di molteplici strati di linguaggi e una pluralità di pratiche.

6. IL LINGUAGGIO IN LACAN E HOBBES

 

Per quanto riguarda Lacan, il linguaggio non viene inteso come uno strumento di comunicazione, né una proprietà, né una facoltà psicologica ma può essere visto come ciò che, preesistente alla nascita dell’individuo, avvolge e circonda la vita umana.

Questa struttura chiamata linguaggio, Lacan direbbe “il campo del linguaggio”, precede gli esseri umani e li determina, implicando così un soggetto inteso come servo del linguaggio che si ritrova in un discorso anteriore alla sua nascita.

Il campo del linguaggio è strutturato da due leggi: metafora e metonimia.

La metafora è considerata come una costituzione all’interno della quale un significante prende il posto di un altro significante dando vita a nuovi effetti di significazione.

Metonimia è intesa come una combinazione tra più significanti oppure come una fuga del senso, una sorta di flusso infinito che viene bloccato dalla metafora.

Va ricordato che Lacan fa tesoro delle nozioni precedentemente teorizzate da Freud per quanto riguarda spostamento e condensazione: esse anticipano le tesi della linguistica strutturalista dove per spostamento si intende il passaggio di significato da un elemento all’altro e per condensazione ci si riferisce alla somma di più significanti che danno vita ad un solo significante.

Riguardo al tema del linguaggio ritengo utile fare un riferimento ad alcuni seminari dell’Autore, a mio avviso fondamentali per comprendere alcuni sottili aspetti del suo pensiero.

Seminario XX- Lacan comincia la trattazione a partire dal seguente titolo: ”Non c’è altro dell’altro” intendendo dire che l’altro è impossibile ,cioè non ci si può rapportare con forme di relazione e questo comporta una sorta di inquietudine e senso di fallimento chiamato fenomenologia dell’impossibile una volta che si cerca di avvicinarsi ad esso. (Zizek lo definirebbe “ Il grande Altro”).

Quando parliamo dell’Altro inteso come campo del linguaggio allora si intende un luogo, il luogo dell’Altro, definito a livello topologico. Ad esempio un dialogo tra due persone implica uno scambio di parole che si articolano e si dispiegano, ma inevitabilmente ogni parola non passa direttamente all’altra persona, ma si scontra con un ostacolo (muro del linguaggio) e ciò implica una riflessione sul ricevere e riconoscere l’alterità dell’altro. Abbiamo quindi una ricerca del sapere e un incontro impossibile dove l’altro risulta estraneo, trovandosi al di là di un muro invalicabile.

Seminario XVII (relativo alla trattazione del godimento) - Viene analizzato il godimento, solitamente indicato come soddisfacimento del soggetto.

Il soggetto, che secondo Lacan è avvolto dal linguaggio, rinvia l’appagamento del suo desiderio proprio a causa di esso.

Il godimento va pensato nel seguente modo: il soggetto non può realizzare un godimento pieno perché è impedito dal linguaggio, quindi si dà a godimento dell’Altro.

Il godimento è il chiasma tra R.S.I (reale-simbolico –immaginario tre concetti fondamentali nel registro lacaniano).

In questo caso il linguaggio porta alla luce il soggetto e lo divide da se stesso mettendo in luce un’incompiutezza e una limitatezza, sempre tenendo presente che desiderio e godimento sono due strutture temporali fondamentali nell’analisi lacaniana.

Il godimento rimanda ad una fusione tra il reale e il soggetto, al di là dell’Altro inteso come linguaggio e grazie al godimento il soggetto si congiunge con un appagamento privo di intromissioni.

Un punto di avvicinamento con la nozione di conatus si può ritrovare parlando di un’etica di misura della potenza (una potenza affettiva del soggetto ) che viene costantemente misurata, aumentata o diminuita, portando a osservare l’oscillazione tra desiderio e godimento e a mantenere la giusta distanza tra il soggetto e la condizione della parola ( das Ding) Hobbes nel Leviatano delinea l’origine, l’uso e l’abuso del linguaggio.

L’origine riguarda l’importanza fondamentale che ha avuto il linguaggio, non solo per quanto concerne le connessioni di nomi e la registrazione dei propri pensieri, ma anche perché, grazie ad esso, è stato possibile formare uno stato, una società ed arrivare ad un contratto.

Solitamente viene utilizzato come mezzo per trasferire i nostri “discorsi mentali” in una forma di oralità supportata da una buona memoria.

I nomi possono anche essere considerati come simboli o segni.

Usi particolari del linguaggio sono:

- registrare attraverso il pensiero la causa di cose passate o presenti

- acquisire le arti

- trasmettere il proprio sapere agli altri, consigliare, educare

- ottenere un aiuto reciproco è giusto esplicitando e condividendo le proprie volontà

- dilettare noi stesi e gli altri giocando con le parole

 

Possono anche verificarsi forme di abuso del linguaggio quali:

- registrare e utilizzare in cattiva maniera determinati pensieri e utilizzare parole con significati non corretti.

- utilizzare parole in senso metaforico potrebbe voler dire usare parole dal significato “brillantemente oscuro” fuorviando ed ingannando gli altri.

- assumere un’identità di pensiero non coerente, rovinando la propria onestà intellettuale

- utilizzare il linguaggio come arma dialettica che porta a ferire verbalmente l’altro, a meno che non si verifichi una condizione di correzione, quindi per governare qualcuno.

 

Per conatus in questa sezione si può intendere, a mio avviso, il trasferimento / il passaggio immediato del pensiero al linguaggio, che per Hobbes diventa una sorta di propulsione meccanica e noi ci possiamo relazionare agli altri in quanto ognuno porta con sé una identica matrice originaria da cui scaturisce il linguaggio e può essere motivo di confronto dato che ogni persona è dotato di una potenza.





Aggiunto il 10/08/2020 19:15 da Lorenzo Boscaro

Argomento: Filosofia contemporanea

Autore: Lorenzo Boscaro