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Sicurezza degli Stati e tutela dei diritti. La teoria del diritto penale del nemico

Sicurezza degli Stati e tutela dei diritti.

 La teoria del diritto penale del nemico

di Michele Strazza

1. Da qualche tempo, in conseguenza anche delle politiche antiterroristiche degli Stati occidentali, si è sviluppato in Europa, soprattutto in Germania e Spagna, un ampio dibattito sul cosiddetto «Diritto penale del nemico», inteso come una rivisitazione delle tradizionali concettualizzazioni delle discipline penalistiche alla luce di un mutato rapporto tra esigenze di sicurezza degli Stati e tutela dei diritti individuali.

Il problema che si è posto alla dottrina costituzionalista e penalistica contemporanea è la possibilità, per uno Stato sovrano, di approntare, contro la minaccia terroristica, strumenti giuridici di contrasto, non soltanto eccezionali, ma anche estranei della ordinaria tutela penale. Ci si interroga, cioè, fino a quale punto un ordinamento giuridico può continuare a riconoscere determinati diritti ai terroristi, potendo comportare ciò una diminuzione della risposta preventiva e repressiva di sicurezza[1]. Una problematica che, ultimamente, specialmente negli Stati Uniti dopo gli eventi dell’11 settembre 2001 e in Francia dopo gli ultimi attentati del 13 novembre, hanno portato ad un appesantimento dell’apparato di sicurezza, con conseguente restringimento di alcuni diritti costituzionali, se non in via legislativa quantomeno in chiave interpretativa[2].

Così, mentre sul piano internazionale, si giustificano sempre più aggressioni belliche a Stati accusati di terrorismo, basandosi sui principi della guerra di difesa preventiva, sul piano interno si procede con l’applicazione di misure eccezionali, al di fuori della legalità costituzionale, al fine, si dice, di neutralizzare la minaccia terroristica[3].

Le difficili problematiche di una tutela dei diritti individuali e di una loro conciliazione con esigenze di sicurezza determinate da situazioni di emergenza ha acceso, dunque, un notevole dibattito dottrinario, ponendo importanti interrogativi sulla stessa concezione della democrazia contemporanea. Non è mancato chi, prendendo in prestito il titolo del saggio di Bruce Ackerman (La Costituzione di emergenza[4]) si è spinto a ravvisare la necessità di definire, appunto con una  Â«Costituzione di emergenza», le normative costituzionali per «salvaguardare libertà e diritti civili di fronte al pericolo del terrorismo»[5].

 

2. La teoria del “Diritto penale del nemico” è stata elaborata dal giurista tedesco Günther Jakobs e presentata, per la prima volta, nel 1985 alle Giornate dei penalisti tedeschi a Francoforte sul Meno. Nel suo saggio Kriminalisierung im Vorfeld einer Rechtsgutverletzung, egli rilevava, anche se in forma critica, l’esistenza, all’interno dell’ordinamento penale, di norme che deviavano dal diritto penale tradizionale, riferendosi, in particolare, a quelle che punivano gli atti preparatori del delitto, nonché alle disposizioni di anticipazione della tutela penale, legittimabili soltanto da uno «stato di necessità penalistico»[6].

Ma è nel 2000 che le tesi di Jakobs vengono poste all’attenzione del dibattito penalistico internazionale. In quell’anno, infatti, egli pubblicò un nuovo saggio, dal titolo Das Selbverstandnis der Strafrechtwissenschaft vor den Herausforderungen der Gegenwart [7].

Secondo Jakobs al concetto  di Bürgerstrafrecht’, tradizionale «diritto penale del cittadino», si contrapporrebbe quello di ‘Feindstrafrecht’, «diritto penale del nemico».

Per il giurista tedesco esisterebbero nell’ordinamento giuridico penale due piani paralleli, coesistenti, con l’applicazione di diversi sistemi sanzionatori rivolti a diversi destinatari. Mentre il diritto penale ordinario si rivolgerebbe ai semplici cittadini che hanno commesso un reato, il diritto penale del nemico sarebbe indirizzato a sanzionare comportamenti di soggetti che non hanno semplicemente violato la norma penale ma ormai non riconoscono più l’intero ordinamento giuridico dello Stato e, pertanto, devono essere messi in condizioni di non nuocere mediante un sistema repressivo il quale non può essere quello predisposto per i casi ordinari.

In tal modo il diritto penale del nemico non avrebbe più la funzione di garanzia dell’ordinamento ma quella di tutela, anche preventiva, della sicurezza interna dello Stato, con l’obiettivo di neutralizzare soggetti i quali assumerebbero la veste, non di semplici delinquenti, ma di veri e propri «nemici»[8].

Secondo il giurista tedesco, dunque, vi sarebbe una distinzione fondamentale tra il delinquente che conserva i suoi diritti e il «nemico» (feind) che li perde. Chi commette un reato verrebbe  trattato come persona titolare di diritti soltanto qualora sia in grado di promettere, seppur in forma minima, una qualche «fedeltà all’ordinamento»[9].

Al contrario, «chi non offre simile garanzia in modo credibile» perde, di fatto, la sua qualifica di cittadino (bürger) e non può più pretendere di essere trattato come tale. Quest’ultimo è quello che Jakobs chiama «il deviante in via di principio», cioè  Â«colui che nega in via di principio la legittimità dell’ordinamento giuridico», prefiggendosi pervicacemente di distruggerne le fondamenta. Per questo motivo esso, dunque, non può essere trattato come un cittadino, «ma deve essere combattuto come un nemico»[10]. Nel caso, poi, continui nei suoi comportamenti contro la società è necessario che quest’ultima prenda provvedimenti per metterlo in condizione di non nuocere[11].

Spiega Jakobs:

 

diritto penale del cittadino è il diritto di tutti; il diritto penale del nemico è invece il diritto di coloro che contrastano il nemico; nei cui confronti è ammissibile soltanto la coazione fisica, sino ad arrivare alla guerra[12].

 

Il giurista tedesco, in definitiva, sembra affermare un concetto di «non-personalità giuridica» del nemico, mettendo, così, in discussione il principio secondo cui ogni essere umano, in quanto tale, è soggetto di diritti fondamentali e inalienabili. Tale principio, secondo Jakobs, non rappresenta la realtà fattuale ma soltanto «il modo in cui la società dovrebbe essere»[13]. Così il filosofo:

 

secondo una comoda e illusoria opinione, tutti gli esseri umani sono reciprocamente vincolati, mediante il diritto, in quanto persone. È questo un comodo assunto perché esime dalla necessità di verificare in quali casi si tratta in realtà di una relazione giuridica ed in quali, invece, di una situazione non giuridica. […] È del resto un assunto illusorio, perché, se si pretende che un vincolo giuridico abbia valenza non solo meramente concettuale ma anche reale, esso deve conformare la configurazione sociale; a tal fine non è sufficiente il mero postulato della necessità di tale conformazione. Quando uno schema normativo – per quanto giustificato esso sia – non orienta la condotta delle persone, è carente di realtà sociale[14].

 

Ed ancora:

 

che ognuno debba essere trattato come persona è di per sé un mero postulato, un modello per una società, ma non per questo già parte di una società realmente sussistente. Un individuo che rifiuta di obbligarsi ad entrare a far parte dello Stato civile non può fruire dei benefici legati alla qualità di persona[15].

 

3. Come è stato giustamente detto, il nemico per il giurista tedesco rappresenta quasi «un altro da sé», il suo agire «non è riconducibile  allo status di mero criminale». Resta un soggetto riconosciuto come «differente, alieno»[16].

Tale differenza tra cittadino e nemico non è però sempre definitiva. Per il filosofo tedesco può benissimo verificarsi il caso di un «nemico» ritornato ad essere «cittadino». L’esclusione è, infatti, una “autoesclusione” dal consesso sociale per cui il soggetto, mutando radicalmente il proprio comportamento, può ritornare nei ranghi sociali con la riappropriazione dei suoi diritti[17].

La diversità citata si ripercuote, logicamente, su una netta distinzione di pene da applicare. Queste ultime conservano, dunque, quantificazioni e modalità differenziate a seconda del destinatario della sanzione. Nei confronti del cittadino, titolare di diritti, la pena è proporzionata al danno causato alla comunità, quantificata in modo tale che «la sicurezza cognitiva della norma infranta non venga pregiudicata a causa del fatto delittuoso accaduto»[18].

Verso il nemico, invece, la pena assolve un’altra funzione, innanzitutto quella preventiva di sicurezza al fine di neutralizzare la carica pericolosa del comportamento sanzionabile[19]. Di qui l’azione dello Stato che, senza aspettare la commissione del reato, opera per non farlo commettere, punendo già la costituzione di un consesso criminale o terroristico. Così come opera successivamente al fatto delittuoso, aggiungendo alla pena principale altri provvedimenti sotto il profilo della sicurezza[20].

Per Jakobs, insomma, ciò che rileva è prima di tutto «la sicurezza della società dal reo, perseguita o attraverso una custodia preventiva legittimata in quanto tale o attraverso una pena privativa della libertà che sia tale da garantire la sicurezza, quindi che sia corrispondentemente lunga»[21].

L’impostazione preventiva ha fatto dire a Zumpani che la teoria di Jakobs ha ad oggetto un «diritto penale del futuro, volto a distruggere i pericoli, e non del passato, cioè mirante a riconoscere la validità e l’applicazione di una norma giuridica»[22].

Data la forte valenza preventiva e repressiva del sistema del diritto penale del nemico, Jakobs stesso ci tiene a precisare che la sua applicazione deve essere limitata ai casi di effettiva necessità[23], quasi come «ultima ratio», limitata anche dal punto di vista temporale[24].

Per tutta la durata del periodo di applicazione di questo speciale diritto penale lo Stato è completamente libero di prendere tutte le misure ritenute adeguate per neutralizzare la pericolosità del nemico, in quanto questi non è titolare di diritti né di alcuna tutela da parte dell’ordinamento. Ogni mezzo è dunque consentito, anche al fine di ottenere confessioni e utili informazioni, utilizzando strumenti come la tortura, purché accompagnata da un modus operandi che «depersonalizzi» il soggetto[25].

Proprio sulla tortura Jakobs, pur precisandone «l’assoluto divieto» in diritto, lo interpreta come «puro e semplice contenuto concettuale». Vi è da chiedersi, dunque, «se lo Stato possa rimanere nel diritto sempre e nei confronti di chiunque»[26].   

Questo appesantimento punitivo nei confronti del nemico ha la sua ragion d’essere, non solo nella portata della minaccia per la società del comportamento del soggetto, ma anche perché, con la sua azione dirompente, mette in crisi la vigenza delle norme e il consolidamento delle stesse all'interno dell’ “idem sentire” del corpo sociale, cioè la stabilità dell’intero ordinamento[27].

 

4. La distinzione tra cittadini e nemici, teorizzata dal giurista tedesco, non può non riportare alla mente, pur con le dovute differenze, precedenti importanti di filosofi del diritto come Thomas Hobbes e lo stesso Kant, ma anche il pensiero contrattualistico di Rousseau e Fichte.

Per Hobbes, ad esempio, vi è il cittadino che commette un reato, punito dalla legge, ma vi è anche il colpevole di alto tradimento (crimen laesae maiestatis)  il quale non viene punito secondo le norme ordinarie ma combattuto con le armi della guerra. Anche per Hobbes il criminale comune persegue propri vantaggi, non mettendo, però, in discussione l’ordinamento dello Stato. Il reo di alto tradimento, invece, sfida i principi dell’intero ordinamento. È, dunque, quest’ultimo che, secondo il filosofo, deve essere trattato come un nemico e, in quanto tale,  combattuto con i mezzi propri della guerra[28].

Vicina alla tesi di Hobbes è pure quella di Kant che pone la perdita dei diritti da parte del cittadino come estrema conseguenza in caso di minaccia costante alla sicurezza[29].

Ma nel pensiero di Jakobs si intravvedono, come già detto, anche alcuni richiami alla dottrina contrattualistica. Secondo, infatti, Rousseau e Fichte, la rottura del patto sociale, avvenuta con la commissione del fatto criminale,  ha come conseguenza proprio la perdita dello status di cittadino e l’identificazione di quest’ultimo come avversario della società. Così Rousseau: «D’altra parte ogni malfattore, attaccando il diritto sociale, diviene, con i suoi misfatti, ribelle e traditore della patria, cessa di esserne membro violandone le leggi e, anzi, le muove guerra» [30].

La concezione di Jakobs  del cittadino che perde i suoi diritti, diventando nemico dello Stato, risente indubbiamente di tali influssi filosofici, pur con le dovute differenze ed una radicalizzazione dell’impostazione dottrinaria.

 

5. La teorizzazione di un «diritto penale del nemico» ha suscitato, come era prevedibile, un ampio dibattito dottrinario tra giuristi e filosofi del diritto di diversa appartenenza geografica e di diversa impostazione culturale.

Non è mancato chi, come Luigi Ferrajoli, criticando aspramente tale teoria, si è meravigliato delle stesse discussioni sollevate, paventando, altresì, il pericolo della dissoluzione del diritto penale:

 

Di che cosa stiamo discutendo quando parliamo di "diritto penale del nemico"? La ragione giuridica dello stato di diritto non conosce nemici ed amici, ma solo colpevoli e innocenti. Io credo che dobbiamo riconoscere, con assoluta fermezza, che stiamo parlando di una contraddizione in termini, che rappresenta, di fatto, la negazione del diritto penale: la dissoluzione del suo ruolo e della sua intima essenza. […] Dobbiamo allora domandarci: di che cosa stiamo discutendo quando parliamo di "diritto penale del nemico"? del "paradigma del nemico" nel diritto penale? Io credo che dobbiamo riconoscere, con assoluta fermezza, che stiamo parlando di un ossimoro, di una contraddizione in termini, che rappresenta, di fatto, la negazione del diritto penale: la dissoluzione del suo ruolo e della sua intima essenza, dato che la figura del nemico appartiene alla logica della guerra, che del diritto è la negazione, così come il diritto è la negazione della guerra[31].

 

La critica al «diritto penale del nemico» si incentra sia sul contenuto teorico che sulle conseguenze giuridiche dei suoi principi.

Il primo punto, ritenuto oggetto di censura da molti, è sicuramente la figura del «nemico» presentata come «non persona», cioè come soggetto ritenuto non meritevole di diritti.

Vi sarebbero quindi, secondo Jakobs, esseri umani «non persone», non titolari di diritti, facendo venire meno uno dei principi cardini del diritto occidentale, il fatto, cioè, che un essere umano già al momento della nascita diventa titolare di diritti, di una sua capacità giuridica. Tale ultimo assunto, di perfetta coincidenza tra essere umano e persona con diritti e doveri, si specifica da più parti, non può assolutamente essere negato senza negare tutto il diritto.

La tesi di Jakobs, inoltre, sposta l’attenzione dell’ordinamento penale dal fatto criminale, il reato, al soggetto criminale, capovolgendo l’impostazione di tutta la tradizione giuridica occidentale, il punire per «quello che si fa» non «per quello che si è»[32].

La logica conseguenza di tutto questo è la modifica del processo di accertamento penale, non più incentrato sulla verifica dell’esistenza del fatto, ma in vista della provata sussistenza delle qualità soggettive del «nemico». Non avrebbe più alcun senso, dunque, il processo, inteso come momento formale di accertamento della verità giudiziale, avendo rilevanza soltanto la verifica empirica della personalità pericolosa del soggetto, la sua «soggettività sostanzialmente nemica od amica». Il processo, insomma, decadrebbe inevitabilmente «da procedura di verifica empirica delle ipotesi d’accusa in tecnica d’inquisizione sulla persona». Oggetto del giudizio, in questo processo inteso come «lotta al nemico», non sarebbe tanto se l’accusato avesse commesso, ad esempio, un atto terroristico, ma se egli fosse stato e se fosse ancora un terrorista, un complice o un connivente con il terrorismo[33].

In tutto questo, poi, è da rilevare che, in caso di attribuzione erronea ad un soggetto della qualifica di «nemico», l’applicazione del diritto penale del nemico non comporterebbe l’applicazione di quelle garanzie destinate alla correzione dello sbaglio giudiziario, con conseguenze aberranti.

Questa possibilità di errori sarebbe, poi, altissima, attesa la completa relatività dei criteri esposti dal giurista tedesco ai fini della individuazione del «nemico», per cui chiunque potrebbe essere inserito in tale categoria a condizione di ritenerlo in grado di minacciare o aggredire beni o valori fondanti per l’ordinamento giuridico. E di «nemico», come concetto «fuzzy», evanescente, parla proprio Massimo Donini, ritenendo che esso possa essere utilizzato solo in funzione critica e non in senso dogmatico[34].

Di qui, un’altra importante considerazione. L’applicazione del diritto penale del nemico verrebbe veramente limitata a casi eccezionali o, per il suo effetto dirompente, deborderebbe, estendendo i suoi principi anche ad altri soggetti? In pratica, non ci vorrebbe molto a definire come «nemici», tutta una serie di soggetti scomodi ed assoggettarli alla speciale tutela penale. L’eccezione, cioè, potrebbe facilmente diventare una «eccezione senza limiti».

Queste sono solo alcune delle critiche che numerosi giuristi sollevano nei confronti delle teorizzazioni di Jakobs. Una cosa è certa, l’impostazione dello studioso tedesco è ritenuta dirompente per la stessa esistenza del Diritto. Accettare, seppure in alcuni settori soltanto dell’ordinamento e in casi particolari, norme non rispondenti alla logica del diritto ma alla logica della guerra, porterebbe ad una progressiva contaminazione dell’intero sistema giuridico, con il ritorno ad un passato in cui è il potere ad avere la meglio sulla giustizia.

 


[1] Su queste problematiche si vedano: Di Giovine A. (a cura di), Democrazie protette e protezione della democrazia, Torino, Giappichelli, 2005; P. Bonetti, Terrorismo, emergenza e costituzioni, cit.; Benazzo A., L’emergenza nel conflitto fra libertà e sicurezza, Torino, Giappichelli, 2005; Bonetti P., Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, Il Mulino, 2006; Flick G.M., I diritti fondamentali della persona alla prova dell’emergenza, in AA. VV., A tutti i membri della famiglia umana, Milano, Giuffré, 2008, 261-276.

[2] Su tale problematica cfr. De Vergottini G., La difficile convivenza tra libertà e sicurezza: la risposta delle democrazie al terrorismo. Gli ordinamenti occidentali, in AA.VV. (A.I.C.), “Annuario 2003. Libertà e sicurezza nelle democrazie contemporanee. Atti del XVIII Convegno Annuale Bari 17-18 ottobre 2003”, Padova, CEDAM, 2007.

[3] Cfr., a tale proposito, Gamberini A., Orlandi R., Introduzione a Delitto politico e diritto penale del nemico. Nuovo revisionismo penale, Bologna, Monduzzi, 2007.

[4] Ackerman B., The Emergency Constitution, in “The Yale L. J.”, 2004, tradotto in italiano in La Costituzione di emergenza, Roma, Meltemi, 2005.

[5] Sul tema cfr. Gambino S., Scerbo A.,  Diritti fondamentali ed emergenza nel costituzionalismo contemporaneo. Un’analisi comparata, in “Rivista di Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, n. 4, 2009.

[6] Jakobs G., Kriminalisierung im Vorfeld einer Rechtsgutverletzung, in “ZstW” 97 (1985), pp. 751 e ss.

[7] Jakobs G., Das Selbverstandnis der Strafrechtwissenschaft vor den Herausforderungen der Gegenwart, in Eser A., Hassemer W., Burkhardt B. (a cura di), “Die Deutsche Strafrechtswissenschaft vor der Jahrtausendwende”, München, 2000, pp. 47 e ss.

[8] Cfr. Jakobs G., Derecho penal del ciudadano y derecho penal del enemigo, in Jakobs G., Ciancio Melià M., “Derecho penal del enemigo”, Madrid, 2003, pp. 19-56., nonché id, Diritto penale del nemico? Una analisi sulle condizioni della giuridicità, in Gamberini A., Orlandi R. (a cura di), “Introduzione a Delitto politico e diritto penale del nemico. Nuovo revisionismo penale”, Bologna, Monduzzi, 2007, pp. 109-129.

[9] Cfr. Jakobs G., Derecho penal del ciudadano y derecho penal del enemigo, cit., p. 26.

[10] Ivi, p. 30. Jakobs G. Diritto penale del nemico?Una analisi sulle condizioni della giuridicità, cit., p. 118.

[11] Jakobs G., Derecho penal del ciudadano y derecho penal del enemigo, cit., pp. 109-110.

[12] Jakobs G. Diritto penale del nemico, in Donini M., Papa M. (a cura di), “Diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale”, Milano, 2007, p. 13.

[13] Per queste considerazioni cfr. www.altrodiritto.it

[14] Jakobs G. Derecho penal del ciudadano y dercho penal del enemigo, cit., pp. 19 e ss.;

[15] Jakobs G. Diritto penale del nemico, in Donini M., Papa M., cit., p. 18.

[16] Zumpani F., Critica del diritto penale del nemico e tutela dei diritti umani, “Diritto e questioni pubbliche”, Palermo, 2011, p. 530.

[17] Jakobs G., Derecho penal del ciudadano y derecho penal del enemigo, cit., p. 118.

[18] Ivi, p. 122.

[19] Ivi, p. 34.

[20] Jakobs G. Diritto penale del nemico? Una analisi sulle condizioni della giuridicità, cit, p. 120.

[21] Ivi, p. 123.

[22] [22] Zumpani F., Critica del diritto penale del nemico…, cit., p. 530.

[23] Jakobs G. Diritto penale del nemico? Una analisi sulle condizioni della giuridicità, cit, pp. 125 e ss.

[24] Ivi, p. 117.

[25] Ivi, p. 128.

[26] Ivi, p. 11.

[27] Sull’appesantimento punitivo in funzione preventiva e repressiva cfr. Caputo A., Introduzione, Verso un diritto penale del nemico?, in “Quest. Giust., 2006, pp. 623-652.

[28] Hobbes T., Leviatano, Firenze, La Nuova Italia, 1987, cap. XXVIII, p. 312.

[29] Per questo particolare aspetto del pensiero kantiano si veda GÓMEZ-JARA DÍEZ C., Enemy combatants versus enemy criminal law: an introduction to the european debate regarding enemy criminal law and its relevance to the angloamerican discussion on the legal studies of unlawful enemy combatants, in «New criminal law review», 2008, vol. 11, n. 4, p. 529.

[30] Rousseau J.J., Il contratto sociale, Milano, BUR, 2007, p. 86.

[31] Ferrajoli, L., Il “diritto penale del nemico” e la dissoluzione del diritto penale, in “Quest. giust.”, 2006, pp. 87-88.

[32] Ferrajoli L., op. cit., pp. 92-93.

[33] Ivi, p. 93.

[34] Donini M., Diritto penale di lotta v. diritto penale del nemico, in Gamberini A., Orlandi R. (a cura di), “Introduzione a Delitto politico e diritto penale del nemico…”, cit., p. 165. Dello stesso autore si veda anche Il diritto penale di fronte al ‘nemico’, in “Cass. Pen”, 2006.




Aggiunto il 15/12/2015 13:17 da Michele Strazza

Argomento: Filosofia del diritto

Autore: Michele Strazza



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