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L’infinitesimale scomponibilità del finito dell’Infinito: probabilità e destino nella struttura della realtà

L’infinitesimale scomponibilità del finito dell’Infinito: probabilità e destino nella struttura della realtà

di Giovanni Mazzallo

La filosofia è la branca universale del sapere che si concentra sugli interrogativi imprescindibili dell’essere e dell’esistenza; in particolar modo, sull’articolazione, strutturazione e formulazione della realtà e sui suoi fondamenti gnoseo-ontologici (ossia sulle dinamiche dominanti sottostanti al procedimento di acquisizione della conoscenza scientifica e generale (ivi incluse ovviamente le qualità epistemiche attinenti alle precondizioni indispensabili per la costruzione dei giudizi di carattere conoscitivo, ossia l’a-priori e l’a-posteriori), sulla concepibilità esistenziale di quanto esperito in ciò che si chiama realtà e sulla sua effettiva sussistenza e validità intersoggettiva). Per sua stessa natura, la filosofia, ogni corrente di pensiero non può che essere sistema, giacché la filosofia cerca ciò che permane immutato nel mutato, la base sostanziale del divenire stesso della realtà (di cui è il fondamento logico ineludibile) da cui si dipana l’insieme di tutti quegli avvicendamenti (che prendono poi il nome complessivo di “storia”) che compongono l’anima, l’essenza irrelata dell’esistenza naturale e, più specificamente, umana nella sua interezza. La filosofia ricerca il necessario, il principio supremo dell’essere e del conoscere per cui la realtà si manifesta nel modo in cui si presenta e tutto trova la sua esatta collocazione nell’ordine delle cose. Ciò che si cerca è, pertanto, il senso fenomenico del reale. Per conoscere la natura ultima delle cose, bisogna ricercarne l’origine. E in origine dovette essere il Tempo, quella profusione energetica infinitiva spazio-temporale ingenerata ed imperitura da cui scaturirono le concrezioni finite della realtà naturale (il multiverso), e quindi della realtà umana. I primi uomini che si affacciarono alle soglie della storia della realtà esperirono le molteplici manifestazioni della natura in tutta la loro potenza, ne restarono meravigliati (infanti delle civiltà nasciture) e, sulla base del loro rudimentale ed ancestrale assetto di ragionamento primordiale, elaborarono i primi principi di matrice icastico-mitologica (non sapevano ancora in quale altro modo rappresentarsi e comprendere l’esterno) che costituirono la prima “storia del mondo” e da cui sorsero le fondamenta del futuro “sistema del mondo” in concomitanza con la presa di coscienza da parte delle prime tribù dei loro bisogni individuali e collettivi (le società, con le loro istituzioni, religioni, valori, riti, consuetudini, economia, politica, etc…). Ogni individuo (ogni ente naturale) è ciò che è in virtù della sua natura innata (la sua biologia e il suo genotipo (da cui si determina il suo fenotipo) che si determinano a partire dal genotipo di chi lo ha preceduto, quindi dal passato) e della propria storia vissuta nel mondo (le esperienze di vita); questi due fattori forgiano il prodotto finale, la personalità di ciascuno. La personalità, pur nascendo come primigenia “storia del mondo” in attesa di inoltrarsi nei meandri del reale, è già introiettata nel “sistema del mondo” sviluppatosi nel tempo così che non ha più la sola natura biologica, ma possiede anche la natura culturale del particolare “sistema del mondo” in cui è sorta. Dunque, ogni uomo ha una duplice natura (biologia e cultura), perché la cultura stessa ereditata dai tempi antichi è prodotta dalla natura biologica e a quest’ultima poi si affianca nella determinazione della singolarità personale (in principio la “storia del mondo” ha originato il ”sistema del mondo”, in seguito, inevitabilmente, il ”sistema del mondo” ha assunto la posizione di naturale elemento condizionante della “storia del mondo” a cui si sovrappone). La natura biologica della “storia del mondo” è l’autenticità dell’essere, la natura culturale del “sistema del mondo” ne è invece l’inautenticità, naturale però (anche se per ovvie ragioni in modo secondario) tanto quanto la prima natura biologica. La coscienza della soggettività consiste nella percezione del mondo, l’autocoscienza nel rendersi conto del posto che si occupa nel mondo date le circostanze oggettivo-culturali vigenti, la ragione infine nella comprensione armonica del Tutto nella completezza e complementarità della sue varie parti costituenti nel ciclo infinito del divenire storico che conforma la realtà nella sua globalità. Essere e tornare in se stessi significa andare oltre (senza dover necessariamente gettarla via) la maschera naturale della cultura fabbricata dalla natura biologica per apprendere la fonte pulsante delle radici dell’esistenza da cui ogni cosa ha avuto origine e in cui ogni cosa trova infine la sua definitiva spiegazione al di là di ciò che è finito e transeunte (ciò si ha con la filosofia (da cui discendono l’arte e la scienza)). Tutto ciò che si esperisce è effetto di una ben precisa causa e può essere a sua volta causa di molti altri effetti (e così via dicendo all’infinito, sia per le cause che per gli effetti). Tutto è il principio e la fine di tutto, tutto è in comunicazione con tutto perché concretizzazione finita dello stesso principio trascendentale,  necessariamente infinito ed ingenerato (il Tempo) che dà senso ed esistenza a tutto. Tutto ciò che è lo è per il Tempo, causa incausata e natura naturante del Tutto (il Tempo stesso è il Tutto). La scissione che la soggettività può provare in seguito al contrasto avvertito fra il suo essere “storia del mondo” e il suo naturale appartenere al “sistema del mondo” è la conseguenza di una concezione della realtà universale ancora poco chiara, perché non ha ponderato il comun denominatore (il Tempo) di ogni frammentarietà particolare da cui si spiegano tanto le singolarità esistenziali quanto (deduttivamente) l’Intero di base delle singole parti che spiana il sentiero verso la Verità. I singoli enti solo per convenzione si definiscono responsabili e autori delle loro azioni, dal momento che in verità tutto ciò che fanno è stato già determinato dal tempo passato (biologia e cultura, la duplice natura) che li ha formati in modo tale che non potevano prendere decisioni diverse da quelle infine prese. In tal senso, non sono gli uomini (col loro libero arbitrio) a compiere le azioni, ma è il Tempo ad effettuarle attraverso ogni sua infinita particellizzazione sotto forma di singolo ente. Il concetto stesso di “libero arbitrio”, quindi, andrebbe ridimensionato alla luce del Tempo (la volontà di ogni individuo è per natura condizionata dalla propria costituzione biologica e dalle proprie esperienze di vita (la “storia del mondo” nel “sistema del mondo”)). Non a caso, si dice che l’uomo altro non sia se non la conseguenza delle proprie azioni e che la verità sia figlia del tempo. Il viaggio esteriore che si compie nel mondo (nel suo “sistema” e nella sua configurazione naturale) è al contempo un viaggio interiore di formazione ed evoluzione emotiva che, catapultando la soggettività nel turbine accidentale della vita, permette di capire appieno come si sia parte di un firmamento ontologico assoluto infinito perfettamente articolato nelle sue parti altrettanto infinite costituente il segno della Necessità sotto cui si staglia la ciclicità infinitamente cangiante della storia naturale nelle sue finitizzazioni procedenti all’infinito. La Necessità (una delle tante facce del Tempo) consente di accettare la realtà, dunque di amare la vita in sé con tutto ciò che essa comporta e può aver comportato perché ciò che è stato, ciò che è e ciò che potrà essere (e sarà date certe condizioni) non poteva essere evitato, fa parte della Natura ed è una delle tante tappe del “tirocinio” esistenziale che con tutte le sue gioie e tutti i suoi dolori determina infine l’identità della Soggettività di ogni singolo individuo e l’irripetibilità della sua storia personale (con tutti i suoi fatti e tutti i suoi personaggi). Senza più alcun rimorso per il passato, per ciò che è o per ciò che avrebbe potuto essere. La malinconia scaturisce dalla nostalgia per gioie trascorse e/o dal fatto che il tempo presente non è all’altezza di quello passato; la tristezza si attesta perlopiù nel presente come conseguenza di una delusione o disillusione; l’aspettativa-speranza è lo slancio verso il tempo futuro. Emozioni e sentimenti si diversificano in ogni singolo ente sulla base del tempo (la duplice natura biologico-culturale che si affina con le esperienze di vita) che egli rappresenta e incarna. L’ultima parola, naturalmente, spetta alla Realtà. Se una cosa non avviene, ciò significa che non era tempo, che non era destino che si avverasse. Ciò perché fattori esistenziali più potenti (sedimentati nel “sistema del mondo” quando i conflitti soggettivi riguardano l’esterno) che hanno assunto la propria forza col e nel tempo soverchiano le singolarità sancendo l’andamento della realtà nel suo insieme (nel caso dell’esterno). Pertanto, in virtù del fatto assodato per cui il Tempo determina il destino di ogni cosa (l’uomo, nella fattispecie, è ciò che è per il suo passato biologico-culturale e  per il suo presente figlio del passato e vorrà essere per il futuro ciò che vorrà essere sulla base dei suoi desideri causati dal suo passato biologico-culturale), sarebbe anche coerente e consistente viaggiare nel tempo futuro. Ciò che in principio è solo probabilità (sia per quanto concerne la costituzione biologica degli esseri sia per quanto riguarda gli eventi che possono aver luogo nella realtà) diviene poi vero e proprio destino perché strettamente dipendente (in modo estremamente sensibile) dalle condizioni iniziali di partenza (quindi dal tempo passato) che determinano ciò che si manifesta nel tempo presente e che molto probabilmente (dopo un po’ di tempo già trascorso, certamente) si manifesterà nel tempo futuro nel sistema più complesso e universale fra tutti che comprende tutti gli altri, ossia la Realtà. Dalla prospettiva del contingente non è dato sapere cosa accadrà (sarebbe come cercare di “profetizzare” l’avvenire), dalla prospettiva dell’eterno è già dato. Nel Tempo si scopre che probabilità e destino sono facce della stessa medaglia che, dal punto di vista dell’eterno, si identificano completamente. Il finito (le manifestazioni naturali esistenzialmente concepite che vivono allo stato potenziale prima di insorgere) è infinito per il contingente, ciò che è infinito per il contingente è finito per l’eterno, unico solo Infinito da cui si dirama la realtà nell’infinità dei suoi dispiegamenti nel tempo. Il senso fenomenico della realtà è il Tempo (il significato della vita è relativo per ogni ente sulla base della sua soggettività) che si concretizza nel suo divenire invisibile. Il Tempo è la Storia. La Storia è Metafisica.  

 




Aggiunto il 12/06/2018 14:23 da Giovanni Mazzallo

Argomento: Filosofia teoretica

Autore: Giovanni Mazzallo



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