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Lezioni di filosofia ... su Socrate

 SOCRATE, PERSONAGGIO STORICO O SIMBOLICO ?
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  (Pubblicato su
Cronache - 11 dicembre 2000)

Vi è un grosso problema storiografico intorno alla personalità di Socrate. Il filosofo per eccellenza viene rappresentato in modo diverso da più testimoni. Tale incertezza ha indotto qualche critico ad ipotizzarne persino l’inesistenza e a ritenerlo un personaggio piuttosto simbolico o ideale. Socrate sarebbe una figura leggendaria, inventata da Platone per meglio far risaltare i problemi politici e culturali della propria epoca. Tale  posizione è favorita proprio dalla difficoltà nel delineare il genuino pensiero di Socrate, perché inficiato dai vari discepoli, dal momento che il maestro, per una scelta ben precisa, non ha voluto lasciare nulla di scritto. Due gli studiosi principali che sostengono tale tesi: E. Dupréel, «La legende socratique et les sources de Platon», Bruxelles, 1922 e O. Gigon, «Sokrates, sein Bild in Dichtung und Geschichte», Berna, 1947. Naturalmente non hanno avuto seguito, perché smentiti subito da avvenimenti storici inconfutabili, cui Socrate prese parte. Basti aprire «La guerra del Peloponneso» di Tucidide.
Una delle testimonianze cui oggi si presta molta attenzione, è quella di Aristofane che ne «Le Nuvole» ci presenta, senza idealizzazione, la figura del filosofo nella sua genuinità ed obiettività con una naturalezza di azione e di pensiero rimasta proverbiale. Il grande commediografo, contemporaneo di Socrate, nel tentativo di screditarlo – sulla scena lo pone in una cesta sospeso per aria, proprio fra le nuvole – ha diffuso la favola del filosofo distratto, perché perennemente rivolto col pensiero a cose dell’altro mondo tanto da finire nei pozzi; cosa, del resto, capitata a Talete che suscitò il riso di una servetta tracia.
Ripercorriamo brevemente «Le Nuvole», gustosamente fruibile nell’Ed. Garzanti.
Il primo personaggio che compare sulla scena è Strepsiade. Costui ed il figlio Fidippide sono a letto. Quest’ultimo dorme tranquillamente, mentre il primo non fa che dimenarsi. L’insonnia di Strepsiade è causata da alcuni debiti contratti per colpa del figlio.
Il suo primo creditore è Pasia, da cui si fece prestare del denaro, per comprare un cavallo di razza da donare al figlio stesso. Il suo secondo creditore è Aminia che gli fece altro prestito per acquistare un carro leggero ed un paio di ruote. Il povero uomo, parlando di ciò con un suo servo, giunge alla conclusione che l’unico modo per salvarsi dai creditori sia quello di mandare il figlio presso gli spiriti sapienti. Gli spiriti sapienti sono Socrate ed i suoi discepoli, da tutti considerati uomini che, con i loro discorsi, riescono sempre ad aver ragione anche se quello che sostengono è ingiusto. Ecco la scuola adatta, per imparare ad avere la meglio con le parole, a ragione o a torto! Infatti, Strepsiade ritiene che il figlio, una volta istruito sul ragionamento debole (quello che fa vincere con i discorsi le cause più ingiuste), possa evitargli di pagare i debiti. Fidippide si rifiuta di accontentare la richiesta del padre. E questi, infuriato, decide di andare lui stesso ad imparare, pur dubbioso delle sue capacità, essendo vecchio, lento e smemorato. Si reca, quindi, da Socrate, dove lo accoglie un discepolo. Entrato in casa vede un gruppo di alunni tutti curvi che scrutano l’Erebo. Poi vede degli strumenti scientifici e chiede cosa siano. Il discepolo, che lo ha fatto entrare, gli risponde che uno è per l’astronomia, l’altro è per la geometria, e poi gli mostra una carta geografica.
Subito dopo  Strepsiade vede Socrate in una cesta sospesa al soffitto. Il maestro gli dice che sta lì per scoprire i fenomeni celesti, l’intelletto deve mescolarsi con l’aria e non essere attirato dalla terra. Sceso dalla cesta Socrate gli chiede se vuole sapere esattamente qual è la vera natura delle cose divine. Alla risposta affermativa di Strepsiade, Socrate invoca le NUVOLE, impersonate dal coro, affinché si mostrino e gli spiega che costoro donano scienza, facondia, intelletto ed anche loquacità, cavilli e percezione. Le Nuvole sono divinità al cui confronto Zeus e la sua discendenza si rivelano come “ciarle“. Gli chiarisce pure in che modo le nuvole fanno piovere, tuonare e “fulminare“. Dopo di ciò Socrate dice al vecchio che, se vuole essere suo allievo, non deve onorare nessun dio oltre Caos, Nuvole e Lingua. Strepsiade accetta ed inizia così il suo percorso da discepolo; ben presto, però, Socrate si rende conto di avere a che fare con uno zotico impacciato, inetto e smemorato. Su consiglio del maestro, il povero contadino si sdraia di malavoglia su un lettino a meditare, ma non sa far altro che lamentarsi delle cimici che lo mordono. Strepsiade, all’improvviso dice di aver avuto “l’idea frodatoria d’interessi“: basta comprare una fattucchiera che di notte rubi la luna in modo da non far trascorrere più i giorni, poiché il danaro si presta a interesse mensile. Socrate gli chiede come farebbe a cancellare una causa per 5 milioni. Strepsiade dopo un po’ risponde che la farebbe bruciare. Il maestro allora gli domanda, come si difenderebbe in tribunale al momento di essere condannato per mancanza di testimoni. Il povero vecchio replica che, ad un punto simile, invece di aspettare di essere impiccato, si impiccherebbe da solo. Socrate gli chiede, infine, la natura dei nomi. Strepsiade crede di conoscerla e fa alcuni esempi, ma poi casca in un equivoco col nome “pollo” che vale sia per il maschile che per il femminile. Né vale la distinzione tra finale terminante in “o” maschile e quella terminante in “a” femminile e Socrate coglie l’occasione per accennare  ad alcune persone note di Atene, i cui nomi finiscono in “a” e che non erano ritenuti propriamente “maschi”. Strepsiade, alla fine, è talmente confuso da non riuscire più a raccapezzarcisi. Socrate sdegnato lo manda via e se ne rientra in casa. Le Nuvole consigliano Strepsiade di mandare suo figlio. E lui, tornato a casa, costringe il figlio ad andare dal maestro, cui chiede di istruirlo, ma Socrate gli risponde che Fidippide imparerà dai due ragionamenti, quello “giusto” e quello “ingiusto”. A questo punto sulla scena viene rappresentato un dialogo tra il Discorso Giusto e il Discorso Ingiusto. Il primo fa l’apologia dell’educazione tradizionale, secondo i criteri della paideia spartana: esercizi molto duri, abitudine a sopportare il caldo e il freddo, ubbidienza, silenzio, rispetto degli anziani. Il Discorso Ingiusto gli contrappone un ideale opposto: irriverenza, improntitudine, mania di primeggiare, apprezzamento delle comodità della vita. Alla fine il Discorso Ingiusto vince sul Discorso Giusto e tocca quindi al primo istruire il giovane. Dopo un po’ di tempo Strepsiade torna a casa di Socrate, per riprendersi il figlio ormai istruito e porta, al maestro, un po’ di denaro come regalo per il favore fattogli. A casa del vecchio arriva quindi il primo creditore, Pasia, ma costui viene deriso e beffeggiato dal debitore. Pasia furioso se ne va, minacciando di citarlo in tribunale. Intanto arriva il secondo creditore che non ha una sorte più fortunata del primo. Strepsiade, infatti, sicuro della protezione del figlio, ormai istruito, si diverte a pungolarlo e a percuoterlo. Anche il secondo creditore va via pronunciando parole di vendetta. Per festeggiare la vittoria sui creditori, Strepsiade imbandisce un ricco banchetto e chiede al figlio di recitargli qualche poesia. Fidippide vorrebbe recitare Euripide, ma è un poeta considerato troppo volgare dal padre. Allora il figlio, offeso, aggredisce il padre, adducendo come motivo uno strano desiderio di rivincita per tutte le percosse prese da bambino. Strepsiade, scandalizzato, dice che da nessuna parte si usa picchiare il padre. Fidippide ribatte che chi ha stabilito questo uso, essendo un uomo autoritario, lo ha imposto con la forza delle parole. “Perché non dovrei stabilire io per il futuro un nuovo uso, che i figli picchino i padri?” conclude Fidippide che minaccia di picchiare anche la madre. A questo punto Strepsiade, rimpiangendo di aver mandato il figlio da Socrate, per vendetta, va a bruciare la scuola, denominata “pensatoio”.
Emerge qui un Socrate filosofo dedito alle indagini sulla natura. Un filosofo che non crede agli dei venerati nella città di Atene. Crede, invece, ad altre divinità, più nuove e recenti, come lo studio dell’oratoria, della retorica e della tecnica avvocatesca di far prevalere il discorso più debole su quello più forte. A molti è sembrato un Socrate completamente opposto a quello di Platone, presentato come l’avversario principale dei Sofisti, uno che non si è mai occupato della natura. Si è detto che la commedia di Aristofane non avesse avuto successo, per l’immagine falsificata di Socrate, incomprensibile per gli ateniesi, perché lontana dalla realtà. Il Socrate di Aristofane, dunque, è una figura emblematica composta di varie personalità, un misto di Anassagora, l’ateo per eccellenza, e dei Sofisti. In realtà Socrate non può essere un personaggio inventato, perché la commedia antica non mette mai sulla scena persone inventate per fare più colpo, adopera sempre persone reali, lo prova il fatto che ci furono moltissime denunce e censure contro il cosiddetto “onòmati komodéin” (il mettere sulla scena persone reali con nome e cognome). Inoltre, affinché una parodia possa riuscire, deve conservare un minimo di verosimiglianza.
L’insuccesso di ”Le Nuvole” non dipese tanto dal fatto che Socrate era irriconoscibile sulla scena, ma probabilmente, perché il filosofo non era così famoso come ci aspetteremmo; alle grandi Dionisiache, nel 423, alla prima della commedia, vi erano, infatti, molti stranieri che certamente non lo conoscevano, per cui molti passaggi, riferimenti, battute, che Aristofane attribuisce a Socrate, riuscirono incomprensibili per quel tipo di pubblico. E, si racconta, che Socrate, tra gli spettatori, avendo notato l’insofferenza dei presenti, per farsi riconoscere, si alzò ed esclamò: ” Guardate che sta parlando di me! ”.
L’immagine del Socrate naturalista ed ateo, comunque, è confermata anche da Platone nell’Apologia. Quando Socrate distingue gli accusatori più antichi da quelli più recenti, chiama in causa proprio Aristofane, riassumendo in questo modo la propria posizione : ” C’è un tal Socrate, uomo sapiente, che specula sulle cose celesti, che investiga tutti i segreti di sotto terra (infatti Strepsiade ha trovato i discepoli di Socrate inginocchiati e con le orecchie appoggiate per terra), che le ragioni più deboli fa apparire più forti (è il contrasto discorso giusto/discorso ingiusto), codesti, o cittadini, che hanno sparsa per il mondo tale fama di me, sono gli accusatori di cui io temo maggiormente perché, udendo costoro, la gente reputa che chi si occupa di tali speculazioni non riconosca nemmeno gli dei ”: Socrate fa discendere l’accusa di ateismo proprio da ciò che di lui era stato detto da Aristofane. Da questo punto in poi inizia tutta una sezione in cui Socrate tenta di scalzare questa raffigurazione. Se, dunque, richiama Aristofane, vuol dire che la sua opinione era ancora diffusa, per cui sente il bisogno di confutarla. Altra conferma si trova nel Fedone, in cui Socrate rievoca le sue letture di Anassagora sulla teoria del vortice e della natura ignea degli astri. È storicamente documentato, del resto, che i due filosofi si siano conosciuti nel circolo di Pericle. Quindi Aristofane ci presenta un Socrate nello sfondo culturale dell’Atene periclea e certamente diventa il personaggio da prendere di mira, perché riassume tutta quella vicenda culturale, soprattutto per chi, come Aristofane, fu un avversario del circolo pericleo e un sostenitore di quello avversario di Cimone. La battaglia di Aristofane, allora, è prettamente culturale e politica. Intende colpire tutto il retroterra culturale della democrazia periclea, che lui ritiene responsabile delle degenerazioni di Clèone, il demagogo radicale, quello che, secondo Aristofane, porta a conseguenze parossistiche la politica periclea. Se inquadriamo il Socrate aristofaneo proprio in questo contesto storico, in questo clima di vicende culturali e politiche dell’Atene post-periclea, nella 1a fase della guerra del Peloponneso, quella dominata dalla politica di Clèone e dalla politica di Brasida per gli spartani, non lo consideriamo più una stravaganza. Ci rendiamo conto, quindi delle ragioni di Aristofane, perché possiamo stabilire una linea di continuità tra il Socrate, reduce dalle campagne della guerra del Peloponneso ed un Socrate con già un circolo di uditori e amici, se non di discepoli, che vuole riprendere l’esperienza periclea con più attenzione e quindi tanto più pericolosa, secondo Aristofane, che, subito, si preoccupa di prendere posizione contro di lui. Alle motivazioni politiche si aggiunge, poi, l’itinerario intellettuale di Socrate, presente nel Fedone, già citato prima, dove Socrate esprime un interesse spiccato per la filosofia di Anassagora che, con la teoria del “nus” (l’intelletto), gli sembra fornisca una spiegazione finalistica della natura. Forte, quindi, la delusione di Socrate, quando si accorge che Anassagora adoperava il “nus” non come una causa finale, ma come una causa meccanicistica e, quindi, la decisione di abbandonare le ricerche naturalistiche per dedicarsi ai “logoi”. La sua fama di anassagoreo, però, rimarrà viva fino al processo. Questo non vuol dire che il Socrate di Aristofane è quello vero, bensì occorre tenerne conto, accanto a quello presentato da altri, per avere il massimo di obiettività storica.



Aggiunto il 24/07/2015 22:42 da Benito Marino

Argomento: Filosofia antica

Autore: Benito Marino



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