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Il ruolo del dovere morale kantiano nella pedagogia del gioco di Piaget

Il ruolo del dovere morale kantiano nella pedagogia del gioco di Piaget

Di Alessandro Montagna, dottore in Filosofia e docente di filosofia presso Unitre Pavia

© 2014 Alessandro Montagna

 

L’obiettivo del presente articolo si dimostra quello di rilevare analogie e differenze tra la prospettiva kantiana nei confronti della morale e i risultati teorici degli studi condotti da Jean Piaget sull’attività ludica nei bambini. Questi ultimi attraversano diversi stadi di sviluppo morale riscontrabili ad occhio nudo nei loro giochi: si passa dall’anomia (mancanza di regole) alla morale eteronoma ed infine in quella autonoma verso i 12 anni. Risulta chiaro come in Piaget la morale deontologica di Kant viene tradotta in termini pratici nell’attività concreta di vita dell’individuo.

Keywords: Kant, Piaget, gioco, morale, dovere, eteronomia, autonomia

 

Introduzione

Nello studio sul ricorso alle regole nel momento gel gioco condotto dal pedagogista svizzero Jean Piaget (1896 - 1980) prende forma una concezione che per molti versi riprende la dottrina morale elaborata da Immanuel Kant (1724 - 1804) nelle opere Critica della ragion pratica e nella Fondazione della Metafisica dei costumi (cfr Bibliografia posta a conclusione dell’articolo). Il pedagogista in questione non nasconde una propensione non solamente sul versante dell’ambito morale nei confronti della teoria filosofica proposta da Kant. Più importante ancora dell’apprendimento si rivela il rispetto dei tempi di sviluppo del fanciullo a cui non bisogna mettere fretta né bruciare le tappe dal momento che le strutture cognitive dell’individuo progrediscono naturalmente. A queste va integrato l’insegnamento, ossia l’assegnare dati tangibili alle categorie, altrimenti vuote senza riferimento. La sua battaglia contro un associazionismo empirista eccessivamente riduzionista è assai conosciuta. Egli oppone a queste dottrine una visione complessiva delle facoltà dell’uomo che lo avvicinano al filosofo prussiano, soprattutto per quanto concerne il riferimento alle categorie che unificano e conferiscono significato ai dati provenienti dall’esperienza sensibile.

Rivolgendoci ad indagare l’aspetto morale oggetto del presente articolo, Piaget, sostiene che attraverso la crescita del bambino, le facoltà cognitive e morali progrediscano e questa evoluzione porta con sé un progressivo passaggio dall’anomia morale ad un tipo di morale eteronoma, per giungere infine ad una morale di modalità autonoma. Per essere più chiari: il bambino una volta superata la prima fase di anomia, da ritenere il comando o il divieto un qualcosa imposto dall’adulto, che può essere il genitore o il maestro secondo una scala “verticale” dei rapporti, comprende l’importanza di rispettare e seguire un comandamento auto-imposto che egli avverte come un dovere morale prima facie (a prima vista) come si esprimerebbe William David Ross, portavoce di un’etica neokantiana. In tal modo egli approda ad una concezione autonoma della morale del tutto simile alla massima kantiana secondo cui l’individuo deve considerare il dovere morale che gli appare nella forma di un imperativo categorico come una norma che ambisce ad essere universalizzata e tradotta in pratica. In tal modo il comando è del tutto interno all’individuo e non proviene, dunque, da una qualche contingenza o richiesta esterna.

 

1. Fase dell’anomia


Il gioco intrapreso dall’infante durante i primi sette anni può essere caratterizzato o da un semplice ripetizione senso-motoria al fine di ottenere qualche raggiungimento pratico (es. gioco consistente nel lanciare gli oggetti) oppure, successivamente, a partire dai 18 mesi, come una semplice immaginazione in cui gli oggetti risultano simbolo e rimandano, così a qualcos’altro. Si resta comunque confinati in una situazione di regole che si creano solipsisticamente. L’individuo ripete solamente degli schemi appresi al fine di suscitare nel mondo esterno un certo feedback. Ad ogni modo questa modalità ludica prende il nome di anomia (concetto reso celebre dal sociologo Durkheim), giacché si presenta come mancanza radicale di regole che dirigono il suo comportamento.

Un passo avanti viene compiuto qualche anno più tardi quando si assiste al sorgere nell’attività ludica del bambino di giochi sociali, ossia che coinvolgono la presenza di altre persone. Si tratta di un prima tappa nella direzione dell’intersoggettività e della decentralizzazione del proprio ruolo e smussare il suo inziale egocentrismo.


2. Morale eteronoma


Verso i sette anni di età, l’individuo comincia ad adottare le regole stabilite solitamente dagli adulti per eseguire con altri la propria attività di gioco. Questa morale che “viene dall’alto” viene accettata in modo totalmente acritico, come una sorta di fondamentale comandamento.

Non concordando perciò alcuna regola condivisa, i bambini, di conseguenza, non sono in grado di realizzare un gioco con gli altri in cui le regole siano precise e prese di comune accordo (esse possono cambiare in corso di opera e trasformarsi nelle maniere più disparate, provocando magari litigi tra i partecipanti al gioco).


3. Morale autonoma


Il bambino perviene allo stadio della morale autonoma verso i dodici anni di età. Egli, infatti, capisce l’importanza della stipulazione delle regole come un accordo tra pari, con il compito di rispettarle e al fine di chiarire finalmente cosa è lecito e cosa non lo è nella strutturazione del momento ludico prima della sua effettiva partenza. Nelle ricerche di Piaget, l’approdo a questa tappa fondamentale comporta un maggiore senso civico e consapevolezza morale da parte del piccolo essere umano, ormai vicino a comprendere il rilievo che possiede il rispetto di regole condivise mediante un accordo convenzionale tra parti. In questo punto, il pensiero piagetiano ricorda da vicino la riflessione politica dei contrattualismi moderni come, un esempio fra tutti, Rawls. Dal gioco al comportamento in società il passo che ne risulta è breve come sosterrebbe Huzinga (autore del saggio Homo ludens), uno dei massimo teorici della filosofia del gioco, assieme a Caillois e Fink. Egli ritiene che le strutture di senso presenti nel gioco ricalcano le stesse modalità presenti nelle diverse espressioni della cultura condivisa quali, ad esempio, la filosofia, la letteratura, l’arte ecc…

La rilevanza del valore di astrattezza di questo stadio può senz’altro essere posto in correlazione con il tipo di stadio cognitivo del pensiero operativo astratto, che sorge verso questo periodo. L’individuo coglie le caratteristiche principali del ragionamento simbolico e formale e ciò porta alla realizzazione di giochi più complessi e schematico-ipotetici come ad esempio gli scacchi o taluni giochi da tavolo di tipologia complessa. Egli è quindi in grado di universalizzare la propria legge morale che avverte in sé, e riflettere sulla sua effettiva applicazione con relativo risultato.


Conclusione


Il contributo pedagogico di Jean Piaget consiste in una concretizzazione del ruolo della morale in un essere umano in questo caso non più ideale (come quello tratteggiato da Kant), ma descritto nella sua peculiare esistenza concreta e nel suo sviluppo fisico e psichico. La tematica che ne emerge in ultima istanza si rivela una omologia di teorizzazione in ambito etico che viene solamente posta su un piano differente: dall’uomo astratto enigma per la filosofia universale kantiana all’uomo nel suo reale sviluppo bio-psichico durante gli anni (Piaget). Anche Kant, possiamo non dubitarne, avrebbe ritenuto, analogamente a Piaget, che il bimbo, ovviamente, non intende il dovere morale come lo avverte l’adulto; tuttavia, il compito kantiano era differente nella sua portata e non era d’interesse indagarne l’origine e le tappe che avevano portato ad una tipologia deontologica di morale l’individuo. Il suo obiettivo era descrivere le vaste capacità, ma anche i limiti dell’essere umano considerato come uscito dallo stato di minorità come teorizzato in Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo.

Lo studio piagetiano ricorda allora nella storia della filosofia il compito marxiano di far camminare la dialettica hegeliana con i piedi per terra anziché per aria. Anche Marx apprezzava Hegel, allo stesso modo che Piaget stimava Kant e ne era influenzato, ma è tuttavia vero che Marx e Piaget desideravano porre il problema in altri termini, ossia d’intento più pragmatico rispetto ai loro diretti “maestri” ispiratori.

L’obiettivo della morale in senso politico accomuna come non mai i due pensatori presi in esame. Essi infatti sostengono che il rispetto delle norme condivise in una sorta di etica di respiro universale e di stampo cosmopolita possa giovare alla tolleranza e alla conservazione della pace, nella speranza questa pace che sia “perpetua”, parafrasando l’ultima parola del titolo di un’altra opera di Kant.

 

Bibliografia

Kant, Immanuel, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma - Bari 1995

Kant, Immanuel, Fondazione della metafisica dei costumi, Bompiani, Milano 2003

Kant, Immanuel,  Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Utet, Torino 1965

Piaget, Jean, Il giudizio morale nel fanciullo, Giunti, Firenze 1996




Aggiunto il 10/01/2014 13:52 da Alessandro Montagna

Argomento: Filosofia morale

Autore: Alessandro Montagna



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