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Eclettismo di Cicerone

Eclettismo di Cicerone

 

 

Nel presente saggio esaminerò i tratti peculiari della formazione filosofica di Cicerone per inquadrare i punti salienti della critica alla filosofia di Epicuro.

Cicerone all’interno del suo pensiero filosofico si muove saggiando il terreno già dissodato dalle varie scuole filosofiche; lo fa sfruttando con abilità i materiali a disposizione di fonte soprattutto accademica ma anche stoica. Per lui,  non è tanto importante fissare delle verità assolute, quanto stabilire dei fondamenti che possano garantire l’azione, senza preoccuparsi troppo della coerenza generale delle singole tesi. L’atteggiamento probabilistico comporta naturalmente l’eclettismo delle fonti, che vengono fatte tutte confluire con la sola eccezione dell’epicureismo, in un  unico progetto di natura etico-politica.

L’eclettismo di Cicerone pur inclinando in genere per il probabilismo neoaccademico di Filone di Larissa e di Antioco di Ascalona, accoglie di volta in volta dalle varie scuole, e in particolare dallo Stoicismo singoli elementi dottrinali. Di qui scaturisce il concetto di eclettismo che caratterizza Cicerone filosofo: egli accoglie e fa proprie, di volta in volta le posizioni che gli appaiono più valide e convincenti, senza aderire ad un’unica dottrina, bensì assumendo nei confronti di tutti un atteggiamento disponibile e aperto ma anche indipendente e critico.(G. B. Conte, letteratura latina Le monnier Firenze 2003, vol 2 p. 20).

L’eclettismo filosofico di Cicerone obbedisce alle esigenze di un metodo rigoroso, che si sforza di stabilire tra le diverse dottrine un dialogo dal quale sia bandito ogni spirito polemico. Le opere filosofiche dell’autore presuppongono un vasto dominio della materia e hanno un taglio originale soprattutto per quanto riguarda l’adattamento del pensiero greco alla situazione romana.

Se Cicerone non era un pensatore originale, significa anche che non aveva un orientamento filosofico proprio? Fino a qualche anno fa si rispondeva a questa domanda dicendo che Cicerone era un eclettico, che cioè ha costruito la sua filosofia mettendo insieme spezzoni prelevati dalle varie scuole. Questo supposto eclettismo, a mio avviso pare assai prossimo all’incoerenza perché l’autore sembra simpatizzare, in occasioni diverse per  le varie scuole filosofiche tranne cinismo ed epicureismo. Nelle righe che seguono esaminerò brevemente i motivi per cui egli critica la filosofia epicurea soffermandomi in particolare sul problema religioso.

Nella fisica, egli rigetta la concezione meccanica degli Epicurei; che il mondo possa essersi formato in virtù di forze cieche gli sembra altrettanto impossibile quanto lo è ottenere, per esempio, gli Annali di Ennio buttando a terra a casaccio un gran numero di lettere alfabetiche. Ma quanto a risolvere in modo positivo i problemi della fisica, Cicerone lo ritiene impossibile e così egli si ferma su questo punto ad un atteggiamento scettico.

Nell'etica, afferma il valore della virtù per se stessa, ma oscilla tra la dottrina stoica e l'accademico-peripatetica. Egli afferma l'esistenza di Dio e la libertà ed immortalità dell'anima, ma evita di affrontare i problemi metafisici che sono inerenti a tali affermazioni.

Cicerone era stato uno dei protagonisti delle convulse lotte della  prima metà del I sec A. C.; nel momento in cui fu costretto a un ozio forzato, egli scrisse di filosofia ma anche allora per lui la politica rimase una delle dimensioni fondamentali della vita. Infatti, una delle ragioni della sua condanna dell’epicureismo, è l’apoliticità di questa scuola.

Un altro  motivo dell’avversione di Cicerone verso Epicuro si lega alla concezione epicurea degli dèi come esseri inattivi. Egli giudica tale concezione  pericolosa e inattendibile soprattutto per motivi politici. Essa distrugge infatti le basi religiose e culturali della costituzione repubblicana, perché la protezione accordata dagli dèi alla città fa parte delle convinzioni più radicate trasmesse al popolo romano dai suoi padri e dalla tradizione.

Significativo e accorato, in questo senso, è il prologo al De natura deorum, nel quale viene ribadito che l’eliminazione della pietas verso gli dèi comporterebbe necessariamente quella di ogni devozione e pratica religiosa, soppresse le quali, il disordine e il disorientamento si impadronirebbero della vita umana minando le basi stesse dei rapporti sociali e politici.

Cicerone  stesso dimostrerà, per bocca del suo portavoce Cotta, che non è possibile offrire nessuna dimostrazione razionale della provvidenza degli dèi, e quindi nemmeno della provvidenza verso Roma. Al contrario, l’idea  che degli  dèi abbiamo pronoia e preveggenza si dimostrerà pericolosa e suscettibile di sviluppi in senso ateistico, al punto che Cotta sarà spinto, drammaticamente, a recuperare la tesi epicurea dell’inattività divina come la massima espressione filosofica della pietas verso gli dèi, e a fondare la tesi della pronoia esclusivamente su basi irrazionali, ossia sulla tradizione. Questa posizione di Cotta, Pontefice Massimo, e come tale assertore della religione tradizionale, e, come filosofo accademico, critico spietato di tutti i tentativi di conciliare la religione con la filosofia, di creare una religione razionale, è assolutamente originale, e possiamo ritenere che sia la stessa posizione di Cicerone.

L’Arpinate, infatti, giudicava inopportuno presentarsi al pubblico romano nella duplice veste di difensore e insieme critico della religione, pensò quindi di nascondersi nella persona di Cotta, per poter più liberamente esporre le proprie idee filosofiche tendenti verso lo Scetticismo neo-accademico, e, nello stesso tempo, difendere la religione tradizionale, perché questa era il cardine della vita pubblica.

Cicerone, come tutti sanno, non perde la minima occasione per attaccare Epicuro e l’epicureismo. Le accuse sono quindi sparse a pioggia su tutta la sua  produzione filosofica  ma le opere più significative in proposito sono gli Academica, il De natura deorum e il De finibus.

Bisognerebbe aggiungere anche il III libro delle Tusculanae, che tuttavia è essenzialmente un compendio del II libro del De finibus. Pur essendo avversario dell’epicureismo, Cicerone si dimostrerà intelligente, in grado di riportare con grande acume il pensiero della controparte con l’obiettivo di potervi opporre un punto di vista e un percorso d’azione alternativo.

L’epicureismo ha  comunque giocato un ruolo importante nella formazione filosofica di Cicerone essendo una  dottrina dogmaticamente impegnativa per l’elaborazione di un pensiero scettico e probabilista.

 

 

 

Bibliografia:

Nicola Abbagnano Dizionario di filosofia, Utet1994 p. 272-273

Reale Giovanni, Storia della filosofia greca e romana, vol Vi, Bompiani, 2004   

G. B. Conte, Profilo storico della letteratura, Milano-Firenze Lemonier, 2004 




Aggiunto il 22/12/2014 11:26 da Mariella Chessa

Argomento: Filosofia antica

Autore: Mariella Chessa



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