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E gli uomini giudicheranno Dio

EPIGRAFE:  " Il gran dolore è un raggio divino e terribile che trasfigura gli infelici" (Victor Hugo,  "I Miserabili")


PREMESSA

E' arduo parlare di Dio Ogni pensiero può esprimersi al meglio , ma il dardo di fuoco non potrà  conficcarsi nel centro del bersaglio. Non  che il pensiero non afferri la questione (Querere),  ma ogni parola detta, la mia inclusa, risulterà inadeguata. Dio trascende l'umana riflessione, essendo l'Assoluto. Nondimeno, non possiamo non parlarNe, perché è proprio nel "Quesito" che si annida/annoda la filigrana dell'Essere e del travaglio universale. Dio è la formidabile Incognita che, ci è maestro Aristotele, muove, attrae ogni divenire, ogni creatura, ogni mente pensante verso la propria Inaccessibilità.


INTRODUZIONE


Epigrafe: " De profundis clamavi ad Te, Domine",

(Salmo 129)

"Et exsultabunt Domino ossa humiliata,"

(Antifona Messa defunti)


A) Accetto anche questo dolore
B) Mi mandi  anche questo dolore

Rappresentano due stati d'animo antitetici.
Nel primo è in atto una fede, una fiducia in Dio senza condizioni (
V. Abramo nel sacrificio di suo figlio Isacco e Gesù nell'orto degli ulivi). Si dà per certo che Dio ci sia e che eserciti il Suo potere assoluto in ordine alla Bontà, alla Giustizia e all'Amore verso  le creature, nonostante i dolori, numerosi, della vita, le ingiustizie che ci feriscono, nonchè le miserie della quotidianità. L'aforisma: "Dio scrive dritto su righe storte" è una buona sintesi di questo percorso.
Gesù nell'orto degli ulivi si sottomise al suo imminente destino. Ma poi, inchiodato alla croce, in un inferno di dolore fisico, morale, sentimentale, spirituale, ebbe a gridare:"Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?" Tuttavia nella tenebra glaciale del silenzio di Dio, proprio mentre stava morendo nello strazio  del suo patibolo, uscirono da quelle labbra riarse (Vangelo Giovanni"ho sete") le parole:"tutto è compiuto!" Veramente  una fede che smuove le montagne, quella di Gesù, capace di morire abbandonato all'abbandono di Dio.
Nel  secondo stato d'animo, non agisce una fede, una fiducia senza riserve, ma è presente un atteggiamento che vuole dare a Dio, implicitamente, la misura del Suo intervento: non più di così! E'  già tanto quello che ho sofferto!
Nondimeno, in entrambe le posizioni, l'ingiustizia e la crudeltà degli uomini, estreme, innominabili, nonchè gli artigli acuminati del Destino, l'insensatezza montante e soffocante del nostro esperire, sono vissuti come violenza alla nostra vita e come immane ipoteca alla fiducia in Dio. In certi casi estremi, vedi ad esempio le vittime della Shoà, sentiamo che è stata superata ogni possibile destrutturazione del Buono, del Bello, del Giusto. Per cui, se tutto ciò accade, come purtroppo è accaduto, vuol dire che Dio nn c'è (ci diciamo intimamente) e , se ci fosse, sarebbe un Dio insensibile, latitante nelle tragedie delle sue creature. Tuttavia sappiamo bene che sono gli uomini la causa di tante sofferenze. Ma credo anche che la Causa Prima del mondo e della storia, e quindi anche Causa Finale, proprio in quanto assolutamente Prima, dove Prima e Finale si identificano, non può essere tenuta in scacco dalle così dette "libere" iniziative degli uomini. E' assai difficile perciò in queste catastrofi che si mantenga integra la casa costruita sulla roccia.
Ma torniamo alla seconda opzione. Ebbene, in base a quale criterio si crede di poter stabilire un limite al peggio? In base  alla quantità di dolori che una creatura si pensa possa sostenere, oppure in base alla qualità di talune sofferenze o a entrambe le categorie?
Ci sono dei dolori che si appropriano derlla tua vita su aspetti marginali o anche significativi. In queste circostanze ciò che ci orienta verso l'una o l'altra delle due opzioni è un sentimento di necessità destinale, superiore, che ci sostiene più o meno. In questi momenti dolorosi finiamo, prima o poi, per inchinare il capo, se si fa strada in noi una sofferta adesione a Dio. In caso contrario, l'orizzonte della nostra vita resta angosciosamente buio, proprio perchè non ci fidiamo di Dio, sentendolo lontano, assente, ( o inesistente), come un estraneo che non ci ama e che ci perseguita.
Ma perchè ci allontaniamo da Dio? Perchè abbiamo come retaggio storio-culturale una idea/immagine di Dio quasi antropomorfica, ammantata di Giustizia, Bontà, di compassione, mentre invece ci sembra che dal Diviono emanino crudeltà e ingiustizia. Ragion per cui ciò che accade a molte creature, contraddice, stride apertamente con le essenziali prerogative divine. Non  ci pare possibile che Dio possa tollerare o permettere e tantomeno causare direttamente tali "efferatezze".
E quì divampa nel nostro animo lo scandalo della Volontà Divina. Perchè, ci arrovelliamo dentro, Egli crea? Se Dio è tutto, proprio tutto (Pleroma), perchè dare esistenza ad un universo in continuo e violento divenire e a delle effimere creature umane e non umane, fatte di carne e sangue, fragili, sensibili, assai bisognose di protezione, cura e amore? Creature infinitamente diverse e distanti dalla Sua assoluta perfezione e beatitudine! Non c'è ragione di farlo pensiamo. E allora? Allora rtorna alla mente l'istantanea, il flash: Dio non c'è! e, se ci fosse, sarebbe da respingere, da allontanare decisamente dal nostro cuore e dalla nostra mente. E'quì, mi pare, che attecchiscono le radici dell'antiteismo esistenziale, nel quale annega sia il supposto Creatore, nonchè il senso trascendente della creatura, la quale viene a scadere, nella lente immaginale, in un banale quanto tragico incidente di percorso della Natura. Anzi, la stessa natura si può deformare ai nostri occhi, diventando un gigantesco quanto insensato dinamismo di cause-effetti, alla cui sorgente c'è solo il Caos prima e il Caso poi, movimento brutale di atomi che si aggregano senza uno scopo, ciecamente, senza uno statuto ontologico ......
Ma possiamo accettare una tale prospettiva? Non ci possono sovvenire altre visioni del mondo che rimandino ad un Ordine arcano in cui trovino una spiegazione alternativa sia la matrice divina del mondo, nonchè l'aberrante "mattatoio della Storia?" (Hegel)
Ci sono le filosofie orientali vedi il Buddismo, che postulano un mondo di apparenze, destinate ad essere squarciate in un Nirvana escatologico. Ma anche queste grandi saggezze non rendono ragione, mi pare, di una dicotomia del mondo così radicale. Perchè l'apparenza, l'inganno, il dolore, la tragedia? Perchè, sostengono, siamo visceralmente attaccati alle cose sensibili, mentre se ci distaccassimo vedremmo la verità e saremmo in pace (Nirvana). Ma, dico io, come si può essere distaccati da un figlio, dalla tenerezza per la fragilità e sofferenza di tante esistenze così coinvolgenti anche eticamente? Ma forse si parla di un distacco speciale, non di indifferenza, anaffettivo, bensì pieno di pathos che rende doloroso lo stesso attaccamento, maturandolo ed elevandolo in un sentimento struggente di compassione. E forse, nella grande compassione (V. Siddarta), si può intravvedere in queste esistenze così fugaci i bagliori di una loro commovente sacralità.

ELABORAZIONE

Epigrafe:" Non coherceri maximo, sed contineri minimo Divinum est"
(frase incisa sulla tomba di Ignazio di Loyola).

" Dopo la morte, attendono gli uomini cose che essi non sperano e neppure immaginano"
(Eraclito, fr. 27)

Propongo un semplice ed ingenuo antropomorfismo:  quale immensità, grandiosità,  potremmo immaginare per la dimora  in cui Dio abita? Stando alla dignità dell'Ospite, potremmo pensarla immensa, infinita, lucentissima, seconda solo a Lui che è il Primo, una reggia senza uguali, un Paradiso insomma. Ma, riflettendoci un pò, se l'Eterno ha una abitazione, questa dovrà essere totalmente adeguata a Lui, che in verità, è ben al di là del Primo ..... il che è impossibile.. Pertanto Dio nn "abita", non ha alcuna abitazione.  Ma se il minimo lo può contenere (V. epigrafe), tale dimensione non potrebbe essere concepita anche come sua dimora? E il "minimo" dove lo incontriamo? Non in una dimensione finita, perchè, se frazionata, può giungere a destinazione soltanto all'infinitesimo e quindi mai, se  non ad avvertire il brivido di remote "vicinanze" dalla Singolarità, dove finito e infinito, minimo e massimo, potenza e atto, fisico e metafisico vengono a coincidere.
Ora, l'infinito frazionamento del finito, ci conduce inevitabilmente dinanzi alla coppia indivisibile "zero-uno", la cui serie numerica intermedia è solo ipotetica,  virtuale o non esistente, perchè non sappiamo se e come potremo uscire dal vuoto dello zero per addentrarci nella regione dell'uno. E, d'altra parte, l'uno ontologico-numerico non può essere concepito come il "minimo" in quanto ipotecato dalla sua inseparabile metà ( sempre una bensì, ma non unica) e così di seguito, oltre e oltre, fino alla soglia dello zero, sempre più vicina ma sempre inafferrabile, data la loro incolmabile distanza concettuale.
Pertanto, non rimane che interfacciare l'area dello zero che ha parvenza d'essere, almeno come "sfondo" della Singolarità, alla fuga infinitesimale dall'uno, sempre duale e giammai residuale, tendente infinitamente allo zero. In questo limbo ontologico, il supposto "minimo" appare indefinibile, senza figura, senza nome, senza identità, sempre elusivo.
Ma è proprio questo "locus utopicus" fra l'uno replicante e lo zero attrattore che potrebbe avvolgere l'Altissimo. E' in questa deduttività obbligata, senza tregua, vero travaglio speculativo verso l'Ignoto che, all'improvviso potrebbero delinearsi i "lineamenti" della trascendenza (Locus Dei. Ora se il "Massimo" non  può  quartare il Divino ciò vuol dire che la "Potestas  Dei" trascende il Massimo, vale a dire ogni "Possibile", proprio in quanto Potere Assoluto. L'"Autocoscienza" onnipotente dell'Eterno, infatti, affonda le sue radici nell'accecante luce dell'"A-seità", il tremendo enigmna per cui Dio riferisce a Se stesso il proprio Essere.
Proseguendo in questo stretto sentiero speculativo, prendo spunto da una frase di George Steiner, dal suo libro " grammatiche della Creazione", dove dice che la Kenosis (cioè umiliazione - alienazione - svuotamento) è un cataclisma, oppure un sospiro di Dio.
Ebbene, l'Assoluto senza volto, senza figura, senza nome, si declina volutamente in un volto, in una figura, in un nome: la Creazione! Egli si contrae, si materializza, si temporalizza, si depotenzia, si relativizza. Quello che è l'Assoluto si " depone", pervenendo all'Essere come Sostanza creata, al  cui vertice, il cosiddetto "Massimo", non c'è alcuna presa d'atto definita (V. il "possibile" e/o il Multiverso) e dal cui "minimo" c'è la legittimazione teologica dello zero numerico e del nulla "ontologico". Ma ormai, entrambe le estremità sono avulse dal confronto con Dio, in quanto iperbole possibile solo nell'ottica di una reale distinzione fra Creatore e creatura, ma senza valore comparativo nella prospettiva della tremenda iniziativa dell'Onnipotente: è l'assurdo, il non - possibile!
Ma è l'Avvenimento! inaudito, impensabile. E' pura follia ipotizzarlo! E forse io sono folle, filosoficamente disarmato. Ma, dopo tanti anni, mi sembra una buona teodicea (giustizia di Dio sul mondo) che può essere proposta per dare un senso al dolore immenso,  sconfinato, dell'umanità e delle altre creature.
Martin Heidegger riporta una frase di Nietzche, tratta dalla "volontà di potenza", attinewnte al tema "il significato della filosofia tedesca: escogitare un panteismo in cui il male, l'errore e il dolore non siano avvertiti come argomento contro la Divinità. Di questa grandiosa iniziativa hanno abusato i poteri esistenti (Stato, ecc..) come se fosse in tal modo sancita la razionalità di ciò che è ora dominante". (M. heidegger, Nietzche, ed. italiana Adelphi 1994,  pag. 72).
E così ci viene additato un panteismo dialettico, perchè è la Profondità di Dio che è dialettica. Perciò, se il mondo universo è l'Alterità di Dio, è perchè Dio vuole esserlo fin dall'Eternità. In questo onnipossente "sospiro", l'Intrasmutabile e Inaccessibile, scardina il Suo trono di gloria e di luce precipitando e diventando, nelle spire del tempo, creatura fragile, debole, sofferente e mortale ..... la quale, per converso, estremo paradosso, è l'Abisso insondabile dell'onnipotente Essenza dell'Altissimo, il culmine della sua luce e gloria: Abissus Abissum invocat!
A questo punto, non possiamo più pensare un Dio che, dall'alto della Sua Intangibilità "crea dal nulla tutte le cose" (catechismo), anche se la nozione di "creazione dal nulla" è talmente potente da non esseere sostenuta da alcuna analogia immaginale e da altri supporti concettuali. Ma presenta un grosso limite, quello cioè di delineare un Essere Supremo, infinito, onnipotente, perfetto,  felicemente ricolmo di Sé, che crea l'uomo, di fatto così piccolo, fragile, bisognoso di tutto, ignorante, spesso infelice e non meno disperato .... Perchè Dio dovrebbe creare un mondo così travagliato in ogni momento del suo divenire?
Proprio Colui che non conosce il limite e la sofferenza? E' una proposta difficile da accettare. Questa visione di Dio e del mondo mi pare non reggere più.E' culturalmente e storicamente datata.
E Dio giudicherà gli uomini? Come? Rimproverando loro il male che hanno commesso e il bene che hanno generato?
Ma ogni uomo è Dio, non in Sé, ma in Altro da Sé, che, in quanto Altro, è proprio Dio stesso nella sua Kenosis. E' un Dio " In Sé - per Sé -  Non Sé -  A Sé" che è realmente il Suo "Non Sé" allo stesso titolo del Suo " In Sé - per Sé - A Sé". Divini momenti trapassanti ed includentisi  ad invicem, ma solo " Per noi".
Quindi Dio giudicherà se stesso?.
 Perciò se Dio giuudicherà il Bene e il Male, lo farà (propongo una drammatizzazione) pressappoco così:
si siederà umilmente in mezzo agli uomini e alle Sue creature e chiederà a ciascuno di esternare le proprie sofferenze e agli esseri umani (ci sono altri esseri viventi nell'univero? Se ci sono avranno anch'essi il loro momento) chiederà di palesare i loro limiti e le cose buone, cattive, malvagie che hanno compiuto. E il malvagio scoprirà l'orrore dei suoi crimini nel dolore e nel destino delle vittime e saprà di essere stato comne "fuori di sé", nonostante la piena avvertenza e il deliberato consenso alla sua malvagità, la quale, anzi, gli appariva come necessaria, come sopravvivenza, come legge del più forte ...... Ma imputerà ugualmente al proprio cuore il male compiuto implorando di poter riparare (cfr. il ricco Epulone dopo la sua morte). Ma poi si accorgerà che la conoscenza del Bene e del Male, delle vittime e dei carnefici sta nella luce di Dio. Il Serpente lo aveva già insinuato ai Progenitori dinanzi all'albero del Paradiso rtendendolo un miraggio molto, molto, allettante. E poi Dio chiederà a ciascuno di esprimere tutta l'amarezza, la delusione, la rabbia, l'odio con i quali è stata condita la sua pietanza terrena e di "vedere" le carte che gli sono state assegnate per la "grande partita". Allora gli uomini si rivolgeranno verso l'Interlocutore per lamentarsi e così giudicare il Grande Giudice......
Ma poichè "di fronte a Dio abbiamo sempre torto" (S. Kierkegaard), ogni parola umana finirà per risuonare come sofferta domanda ("il domandare è la pietà del pensiero" Martin Heidegger) e infine come estrema invocazione, e , mentre si spengerà in ogni gola l'ultima sillaba si accenderà la Parola intimissima e universale dell'Eterno. In questo culmine verrà manifestata la segreta identità di ogni creatura. E la distinzione ontologica Creatore/Creatura svanirà, cosicchè "Dio sarò tutto in tutti" (San Paolo). E gli orrori di questo mondo saranno conosciuyti come dimensione che Dio ha voluto immettere nella Sua stessa "Identità", alienandosi, svuotandosi, vale a dire facendosi Esso stesso caduco, imperfetto, mortale, preda e predatore, santo e malvagio. Per cui anche l'estremo dolore, estremamente ingiusto di ogni innocente è quel culmine, quell'abisso di negatività il cui fondo era necessario che il "Non Sé" di Dio toccasse, l'ombra della caducità di quel Finito che Dio ha voluto essere. Perciò il Finito è necessario che si accresca bensì, ma che poi finisca, come afferma Hegel, o, come preofetizza San Paolo, "sia  nelle doglie del parto", che si consumi insomma, che si riveli per quello che è scritto fra le pieghe della sua bontà ontologica: " l'Antagonista" di Dio in Sé e per Sé, cioè l'Alterità che, dialetticamente, nega Dio. Ma è proprio quell'Alterità la vertigine nella quale Dio si è gettato e risolto (non Sé), diventando creatura, ogni creatura umana e non umana che, fragile, effimera, tenera, amabile, Dio vuole essere, perchè non vada smarrita nella polvere del tempo, perchè le sue lacrime vengano raccolte tutte, una ad una, per poterla amare totalmente proprio come ama Se Stesso. Ma è  stato necessario che la immergesse, che Si immergesse, nelle fauci di Kronoss (Kenosis), perchè ogni diverso da Dio è il "contraddittore" di Dio, e perciò paradossalmente il "Male" nel Bene. Per cui la sofferenza del mondo, ma specie degli innocenti, è rivelazioine del Sacro, bagliore oscuro che promana anche dalla dignità ferita di ogni reietto. Senza sofferenza, sovente ingiusta, il Sacro non potrebbe balenare, lampeggiare ai nostri occhi come "raggio divino e terribile che trasfigura gli infelici" (Epigrafe), come negazione dialettica del Finito, così da far trasparire, anche se da lontano, la suprema Ostensione della creatura. " Et exultabunt Dominu Ossa Humiliata".




Aggiunto il 03/01/2015 19:56 da Pierluigi Solenni

Argomento: Teologia laica

Autore: Solenni Pierluigi



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