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ARTICOLO SUL SAGGIO THE GREEK LAW AND THE FAMILY (EVA CANTARELLA)

ARTICOLO SUL SAGGIO THE GREEK LAW AND THE FAMILY (EVA CANTARELLA)


di Davide Orlandi



INTRODUZIONE




The Greek Law and the Family è un saggio scritto da Eva Cantarella contenuto nel libro A companion to Families in the Greek and Roman Worlds1.

Gli argomenti che in esso vengono trattati sono fondamentali se si vuole compiere un'analisi dell'apparato giuridico della Grecia in età antica e del ruolo che in esso ricopriva la donna: nel mondo antico il confine tra pubblico e privato è così labile che, per studiare e capire uno, è necessario appellarsi all'altro, e viceversa. Quando parliamo della Grecia in età classica, dobbiamo ricordare a noi stessi che essa non era una nazione, ma era formata da diverse comunità politiche note con il nome di poleis, ognuna indipendente, autonoma e con leggi proprie. Proprio per questo motivo gli storici del diritto sono dubbiosi sulla possibilità di poter parlare di una «legge greca» e preferiscono adottare l'espressione «leggi della Grecia». In altre parole, le poleis di origine dorica e quelle di origine ionica hanno concezioni completamente diverse delle relazioni tra l'individuo e lo stato, tra il pubblico e il privato: di conseguenza, le regole e le consuetudini familiari rispecchiano questa differenza.




Ancient Greek law is fragmented and elusive subject for study. Every city-state had its own laws: no doubt there were similarities and some states copied laws from others, but we should never assume without evidence that any particular rule was shared by two different states2.





Con queste parole Douglas MacDowell3 apre la prefazione del suo libro sulle leggi nell'età classica, con particolare riferimento ad Atene, e rinsalda la tesi degli storici del diritto e della stessa Eva Cantarella, che proprio in questo saggio cercherà di dimostrare come il diritto della Grecia fosse allo stesso tempo diversificato, ma con tracce di unità di fondo. Come abbiamo anticipato, nelle poleis il rapporto tra pubblico e privato è molto stretto, e di conseguenza parlare delle leggi che regolano i rapporti tra l'individuo e lo stato è anche un modo per parlare dei rapporti che intercorrono tra i membri di una famiglia: questo è uno dei motivi per cui, molto spesso negli studi sulla Grecia antica, appare l'espressione «le leggi della Grecia e la famiglia», ma quasi mai «la famiglia greca». Venendo al saggio, questo si articola in due sezioni: una prima parte in cui si analizza la legge e la famiglia di Atene, presa come modello per la polis ionica; una seconda parte in cui Sparta e Gortina sono prese a modello della polis dorica. Le informazioni che riguardano Atene, grazie alla quantità e alla qualità delle fonti, sono complete e forniscono un quadro piuttosto chiaro dell'organizzazione della polis, mentre per quanto riguarda Sparta e Gortina non si può affermare la medesima cosa: ma di questo parleremo più avanti.










ATENE, LA POLIS IONICA



Per parlare della famiglia ateniese è necessario un chiarimento terminologico: la famiglia, ad Atene – ma questa riflessione è estendibile all'intera Grecia antica – non era la semplice relazione tra membri quali padre, madre e figlio, come la intendiamo noi occidentali del XXI secolo. Il termine greco utilizzato per indicare la famiglia è oikos [οἶκος] e indica, oltre ai membri di quella che noi chiamiamo «famiglia tradizionale», anche la ktesis [κτῆσις], cioè la proprietà della famiglia e gli schiavi, considerati parte del patrimonio (poiché considerati alla stregua di oggetti). Ogni oikos ha tradizioni religiose proprie, propri dèi domestici, che sono un importante elemento di identificazione e di coesione. Ugo Paoli definisce l'oikos come un «organismo nel quale sono compresi cose, persone e riti»4: ed è proprio questa definizione, che comporta un' implicita dinamicità del concetto di oikos, che Eva Cantarella cerca di sottolineare.

Una delle fonti, qualitativamente e quantitativamente, più complete usata per la ricostruzione del modello di oikos è la produzione di Aristotele, che nella Politica e nell'Etica nicomachea espone la concezione di famiglia: dopo aver analizzato che cosa intende il Filosofo per famiglia, lo confronteremo con le leggi in vigore ad Atene per verificare se i due modelli coincidono. La Polis per Aristotele è composta da diversi oikiai [οἶκοι]: il termine oikia è usato con due diverse accezioni poiché può essere inteso come sinonimo di oikos oppure per indicare la casa come edificio; in questo caso lo useremo come significato di oikos, famiglia.

L' oikos aristotelico si costruisce intorno a tre associazioni tra individui:

- la relazione tra un padrone e il proprio schiavo;

- la relazione di un marito con la propria moglie;

- la relazione di un padre con il proprio figlio.

L'autrice del saggio però ha deciso di prendere in considerazione solo le ultime due coppie, che

costituiscono il modello di famiglia che noi oggi chiamiamo «tradizionale».






MARITO E MOGLIE



Gli esseri umani sono naturalmente portati a unirsi tra di loro, non solo per riprodurre la specie, ma anche per rendere la propria esistenza più piacevole, per organizzare il lavoro e per dividere i beni. Anche per parlare della relazione tra moglie e marito è necessario fare una riflessione, che ci serve per abbandonare i nostri modelli che hanno poco da spartire con quelli antichi. Il sentimento che riconosciamo esserci tra moglie e marito è indicato con il termine amore: ma la parola amore nell'antica Grecia ha due significati diversi. Aristotele nella Politica riflette sui due termini che si usano per indicare ciò che noi chiamiamo amore e sono philia ed eros.

L'eros è l'amore passionale, quello che si prova quando il Dio Eros colpisce le sue vittime con il suo dardo e queste, immediatamente, provano un insaziabile e irresistibile desiderio nei confronti di

un oggetto: è la parte degli appetiti, quella impetuosa e viscerale.



Eros che incorda l'arco, Copia romana in marmo dall'originale di Lisippo conservata nei Musei Capitolini di Roma.

(it.wikipedia.org/wiki/Eros)





La philia è l'esatto opposto dell'amore passionale, si definisce come il feeling di serenità e complicità necessario per l'armonia dell'oikos. La natura stessa della philia, ipse dixit, è legata a un'idea di disparità, in cui esiste un superiore e un inferiore: nel caso qui analizzato, la disparità è quella tra marito e moglie. Aristotele afferma che solo l'uomo ha il logos, inteso qui come ragione, capacità di deliberare. La donna invece è schiava della sua parte concupiscibile, dotata di un logos imperfetto: è all'uomo che spetta prendere le decisioni e comandare sulla donna, proprio secondo natura. Così infatti leggiamo nel testo di Aristotele:



Esiste, poi, un’altra specie di amicizia, quella che implica una superiorità: per esempio, quella del padre verso il figlio ed in genere dell’uomo più anziano verso il più giovane, del marito verso la moglie e di chiunque eserciti un’autorità verso chi vi è soggetto. Ed anche queste amicizie differiscono l’una dall’altra: infatti, non è la stessa l’amicizia dei genitori verso i figli e quella di coloro che esercitano il potere politico verso coloro che vi sono soggetti, né quella del padre verso il figlio e quella del figlio verso il padre, né quella del marito verso la moglie e della moglie verso il marito. Diversa, infatti, è la virtù di ciascuna di queste persone, diversa la funzione, diversi i motivi per cui amano: diversi, quindi, anche gli affetti e le amicizie. Per conseguenza, non è la stessa cosa quella che uno riceve dall’altro, né quella che deve essere ricercata: ma quando i figli rendono ai genitori ciò che si deve a chi ha generato, e quando i genitori rendono ai figli ciò che si deve a chi è stato generato, l’amicizia tra persone di questo tipo sarà permanente e virtuosa. Ma in tutte le amicizie che implicano una superiorità ci deve essere anche un affetto proporzionale: per esempio, il più virtuoso deve essere amato più di quanto ami, come pure chi è più utile, e parimenti in ciascuno degli altri casi. Quando, infatti, l’affezione è proporzionata al merito, allora si produce, incerto qual modo, un’uguaglianza, il che, per conseguenza, è considerato proprio dell’amicizia5.






Sulla base di questa disparità tra uomo e donna, abbiamo il primo parallelo tra la vita privata e la vita pubblica. Il Filosofo infatti afferma che l'uomo ha potere sulla propria moglie, proprio come un uomo ha il potere di uno stato e quindi, su dei cittadini: ma se il capo di uno stato è soggetto all'autorità dei propri cittadini (almeno in una certa misura), un marito non sarà mai soggetto all'autorità della propria moglie, perché sarebbe contro natura. E ancora, per dare maggior vigore a questa spiegazione, sentiamo le parole di Aristotele:



Ci sono tre specie di costituzione, ma anche altrettante deviazioni, intese come degenerazioni delle prime. Le costituzioni sono il regno e l’aristocrazia da una parte, e, dall’altra, in terzo luogo, quella che si basa sul censo, che è manifestamente appropriato chiamare “costituzione timocratica”,mentre i più sono soliti denominarla semplicemente “costituzione”. Di queste, la migliore è il regno, la peggiore è la timocrazia. Deviazione del regno è la tirannide: tutt’e due, infatti, sono monarchie, ma c’è tra loro una grandissima differenza, perché il tiranno mira al proprio interesse, il re a quello dei sudditi. Non è, infatti, un vero re colui che non è autosufficiente e che non è superiore per ogni tipo di bene: ma chi è tale non ha bisogno di nulla; avrà, dunque, di mira non il suo interesse personale, ma quello dei sudditi; chi, infatti, non ha tali qualità, sarà re solo di nome. La tirannide, invece, è il contrario di questa costituzione, giacché il tiranno persegue ciò che è bene per lui. E per quanto la riguarda è anche più evidente che è la costituzione peggiore perché il peggiore è il contrario del migliore. D’altra parte, dal regno si trapassa nella tirannide, giacché la tirannide è la perversione della monarchia, ed il cattivo re diviene un tiranno. Dalla aristocrazia, poi, si passa nell’oligarchia per il fatto che sono viziosi i governanti, i quali distribuiscono ciò che appartiene alla città senza tener conto del merito, e attribuiscono tutti o la maggior parte dei beni a se stessi, e le cariche pubbliche sempre alle stesse persone, tenendo nel massimo conto il fatto che siano ricche: per conseguenza, sono pochi e perversi quelli che comandano, al posto dei più degni. Dalla timocrazia si passa alla democrazia, giacché queste due costituzioni hanno gli stessi confini: la timocrazia, infatti, vuol essere governo della maggioranza, e uguali sono tutti quelli che hanno un determinato censo. Delle costituzioni corrotte, poi, la meno cattiva è la democrazia, giacché la forma di questa costituzione è deviante di poco. Orbene, è per lo più in questo modo che le costituzioni si trasformano: queste, infatti, sono le trasformazioni più piccole e più facili. Somiglianze con le costituzioni, che, anzi, fungono quasi da modelli, si potranno trovare anche nelle comunità familiari. Infatti, la comunità che c’è tra padre e figli ha la struttura di un regno, giacché il padre ha cura dei figli. È per questo che anche Omero chiama Zeus “padre”: il regno vuol essere un’autorità paterna. Tra i Persiani, invece, l’autorità del padre è tirannica: trattano i figli come schiavi. Tirannica, poi, è anche l’autorità del padrone nei riguardi degli schiavi: in essa, infatti, si fa solo l’interesse del padrone. Ma mentre quest’ultima autorità è manifestamente corretta, quella dei Persiani, invece, è errata, giacché differenti devono essere i modi di governare uomini <socialmente> differenti. La comunità di marito e moglie è manifestamente di tipo aristocratico: il marito, infatti, esercita l’autorità conformemente al suo merito, e nell’ambito in cui è il marito che deve comandare; quanto invece si addice alla moglie, lo lascia a lei. Il marito, invece, che comanda su tutto trasforma la comunità matrimoniale in oligarchia, perché fa questo al di là del suo merito, cioè non per quanto è superiore alla moglie. Talvolta, poi, comandano le mogli, quando sono delle ereditiere: quindi, la loro autorità non deriva dal valore personale, ma si fonda sulla ricchezza e sul potere, proprio come nelle oligarchie. La comunità dei fratelli assomiglia a quella timocratica: essi, infatti, sono uguali, tranne che nella misura in cui differiscono per età; perciò, se la differenza d’età è grande, non sorge più l’amicizia fraterna. La democrazia, infine, si trova soprattutto nelle case dove non c’è un padrone (giacché qui sono tutti su un piano di uguaglianza) e in quelle in cui chi comanda è debole e ciascuno può fare quello che vuole6.






In questi pochi passaggi emerge in maniera lampante come il rapporto tra pubblico e privato

fosse importante nella vita ateniese. Ora possiamo affermare di conoscere l'opinione di Aristotele su questi argomenti, fonte di straordinario valore: ma per avvicinarci in maniera più completa possibile a questo argomento, vale la pena fare un confronto tra il modello proposto da Aristotele – sicuramente non esente da giudizi di valore e da qualche abbellimento, data la notoria tendenza all'esaltazione di Atene – con il sistema delle leggi. Non ci sono dubbi sull'asimmetria presente nelle leggi ateniesi per quanto riguarda la relazione coniugale: basta solo ricordare che, nonostante il modello di matrimonio fosse monogamico, la fedeltà veniva richiesta solo alla moglie. L'uomo può avere relazioni (sessuali) con altre donne senza incorrere in conseguenze legali o biasimo pubblico.





Abbiamo le etère per il piacere,

le concubine per la cura quotidiana del corpo,

le mogli per procreare figli legittimi e per custodire fedelmente la casa.”


Demostene, Contro Neera, 59, 122.




Così recita Demostene nel suo Contro Neera: si evince da queste parole che a parlare è un uomo – nel dialogo Apollodoro – che spiega come sia uso e costume per gli uomini intrattenere relazioni con più donne, senza alcun problema.




L'uomo aveva appunto una moglie [damar], una concubina [pallake] e una etèra [hetaira]: quest'ultima differisce di molto dalla concubina. Eva Cantarella la definisce come «a high-level prostitute that accompanied a man at social occasions to wich is wife, as with weel-to-do woman,was not ammitted7».







IL REATO DI MOICHEIA




Nella vastità del diritto ateniese Eva Cantarella rintraccia nel crimine di moicheia una delle più grandi ingiustizie nei confronti della donna. La moicheia indica quella colpa di cui si macchia una donna che intrattiene relazioni con un uomo al di fuori del vincolo coniugale: l'odierno adulterio. Le leggi riguardanti la moicheia erano molto severe e potevano portare la rea anche alla condanna della pena capitale. La severità di queste leggi derivava da molti motivi, ma due sono quelli che emergono principalmente: una donna sposata che ha rapporti extra-coniugali non tutela la legittimità dei suoi figli e Demostene ci insegna che dare figli legittimi era la priorità assoluta di una damar nella relazione matrimoniale; inoltre la polis, intesa come un corpus, vede l'adulterio come un reato perpetrato nei confronti di tutto il gruppo sociale. L'integrità sessuale, la morigeratezza nei costumi servivano a dettare lo status di un gruppo e se all'interno di questo vi era una donna che si era lordata di tale crimine, intaccava l'onore di tutti. Anche in questo punto notiamo come pubblico e privato siano strettamente connessi, infatti nel caso in cui un uomo avesse deciso di non ripudiare la moglie adultera incorreva lui stesso nella pena di atimia, ovvero la perdita di tutti i diritti civili e politici. L'analisi del reato di moicheia ci dice molto sulle leggi ateniesi e sul ruolo che la donna ricopriva nel corpus sociale.





PADRE E FIGLIO




Quello che possiamo affermare in prima battuta è che le leggi ateniesi, confrontate con quelle romane, non sono dispotiche (almeno per quanto riguarda la regolazione dei rapporti padre-figlio). Ad Atene il potere del padre sul proprio figlio cessa con il compimento di quest'ultimo dei diciotto anni; a Roma invece un uomo non si può definire sui iuris fino a quando il pater è ancora in vita: esistevano infatti anche uomini di mezza età che avevano ancora lo status di filius, poiché lo statuto di pater è ricoperto dall'uomo più anziano ancora in vita della domus. Inoltre a Roma si parla anche di ius vitae ac necis di un padre nei confronti di un figlio, ovvero del potere di vita e di morte. Ad Atene i padri non godono di questo diritto. La cosa più simile che si rintraccia nel diritto è una cerimonia chiamata Amphidromia, celebrata cinque giorni dopo la nascita, in cui un uomo decideva se accettare il neonato all'interno dell'oikos. Nella Suda [Σοῦδα] un'enciclopedia storica del X secolo, troviamo questa descrizione della cerimonia: «Anfidromie: si svolgono per i nuovi nati nel loro quinto [giorno], nel quale le levatrici si puliscono le mani; queste fanno poi dei giri attorno al focolare recando in braccio il bambino e i parenti portano regali, in gran parte polpi e seppie. Il nome viene dato [al bambino] nel decimo [giorno]».










APOKERUXIS




Un'altra grande differenza con il diritto romano la troviamo nell'impossibilità dei padri di diseredare i propri figli, possibilità concessa ai patres romani. L'unica possibilità che aveva un padre di escludere il figlio dalla sua eredità legittima era quello di espellerlo dall'oikos tramite un atto chiamato apokeruxis. Nonostante nella letteratura e nel diritto sia presente questa voce, non esistono prove concrete che sia mai stato effettivamente praticato: dopo la cerimonia delle Anfidromie i padri non erano soliti escludere i figli dalla loro eredità. Anche se la situazione sembra più idilliaca rispetto a quella romana, non si deve immaginare che non esistessero conflitti tra padri e figli, anche se la minore ingerenza della figura paterna rispetto al modello romano sicuramente diminuiva la tensione generazionale. Eva Cantarella vuole tracciare una linea di continuità tra il mondo antico e la nostra condizione: l'umanità è sicuramente cambiata nei corso dei secoli, ma una cosa permane: lo scontro generazionale. Più che analizzare i motivi economici di questo scontro (come viene più spesso fatto parlando di Roma) la scrittrice ci parla dei sentimenti: la controversia è data dal rifiuto del giovane uomo di condividere il modus vivendi del padre e, rispettivamente, dall'incapacità del padre di comprendere la mentalità giovane e mutata rispetto alla propria del figlio. L'attualità di questa riflessione è condivisibile da tutti e applicabile ad ogni epoca e contesto sociale.







IL PATRIMONIO




Il discorso sulla trasmissione dell'eredità è molto semplice in contesto ateniese: solo bisogna tener bene presente che il patrimonio non è formato solo dai beni materiali, ma anche dalle tradizioni e dai rituali propri di ogni oikos. L'irrilevanza della donna ateniese nella vita urbana si evince anche dalla sua quasi completa estromissione dal patrimonio paterno. Per partecipare all'eredità bisogna appartenere ad un gruppo, l'anchisteia, in cui ogni membro (entro il sesto grado di parentela) ha obblighi e diritti nei confronti degli altri. Ovviamente i primi in lista di eredità sono i figli, maschi, legittimi; in mancanza di questi l'eredità viene tramandata alle figlie femmine, ma solo in attesa che esse diano alla luce figli maschi legittimi. Vi è quindi un salto di generazione e la donna erede non può disporre a suo piacimento dei beni ricevuti: se anche le figlie femmine dovessero mancare, allora partecipano all'eredità anche i figli maschi non legittimi. Ovviamente il diritto regola anche l'eredità per altri gradi di parentela, ma era molto raro che in un'oikos si dovesse scendere così tanto di grado prima di trovare un erede vivo.










SPARTA E GORTINA, LE POLEIS DORICHE




UN PROBLEMA DI FONTI




Prima di poter anche solo tentare di ricostruire, per quanto possibile, le linee fondamentali dell'istituzione familiare delle due città doriche di Sparta e Gortina, e ancor prima di poter sottoporre i documenti in nostro possesso ad un qualsiasi tentativo di interpretazione, è necessario tener presente che, a differenza di quelle su Atene, le fonti su Sparta, come anche quelle su Gortina, appaiono piuttosto parziali, e per questo motivo, per quanto possano esserci utili, devono comunque essere analizzate con una certa cautela.





SPARTA




In particolare, il problema riguardante la documentazione su Sparta consiste principalmente nel fatto che la nostra conoscenza delle istituzioni spartane dipende interamente da fonti, oltre che sporadiche, ideologicamente connotate, e dunque assolutamente non obiettive. Alcune di queste provengono, infatti, da personalità che potremmo tranquillamente identificate come ammiratori dell'organizzazione politica e sociale di Sparta (come Senofonte e Plutarco), mentre altre da autori decisamente anti-spartani (come Aristotele), e per questo motivo deve esser loro riservata una speciale attenzione critica.




L'INGERENZA DEL PUBBLICO NEL PRIVATO




L'EDUCAZIONE DEGLI SPARTIATI




Una prima importante considerazione, dalla quale non è possibile prescindere ai fini della comprensione dell'istituzione familiare a Sparta, riguarda la particolarità del rapporto fra pubblico e privato. A questo proposito, l'ambito dell'educazione degli spartiati è forse quello all'interno del quale l'unicità di questa relazione è più immediatamente riconoscibile, e proprio a questo fine potrebbe rivelarsi utile la lettura di alcuni passi di uno dei testi utilizzati dal saggio di Eva Cantarella, ossia la Vita di Licurgo di Plutarco.







Il genitore non era padrone di allevare il figlio, ma lo prendeva e lo portava in un luogo chiamato lésche, dove i membri più anziani della tribù, riuniti in commissione, sottoponevano il bimbo a un attento esame: se aveva una sana e robusta costituzione fisica, lo facevano allevare, assegnandogli uno dei novemila lotti di terreno; se invece era malnato e deforme, lo mandavano ai cosiddetti Apothétai, un luogo voraginoso presso il Taigeto, nella convinzione che né per se stesso, né per la città fosse vantaggioso che vivesse chi dalla natura non ha ricevuto subito fin dall'inizio quanto è necessario alla buona salute e alla forza fisica8.






Licurgo (…) non affidò i figli degli Spartiati a pedagoghi comprati o stipendiati, né era consentito a ciascuno di allevare o educare il figlio come voleva, ma, appena i fanciulli raggiungevano l'età di sette anni, egli stesso li prendeva in consegna e li raggruppava tutti in drappelli: facendoli vivere insieme, sottoposti a un regolamento e a una dieta comuni, li abituava a condividere il gioco e le attività serie9.




A leggere e scrivere imparavano soltanto nei limiti dello stretto indispensabile; il resto di tutta l'educazione era opportunamente rivolto verso l'obbedienza ai comandi, la resistenza alle fatiche, la vittoria in battaglia. Perciò, col progredire dell'età, intensificavano il loro allenamento: li rapavano a zero e li abituavano a camminare a piedi scalzi e a giocare quasi sempre nudi10.




L’educazione continuava fino all’età adulta. A nessuno infatti era permesso di vivere come voleva, anzi, la vita in città era come quella di un accampamento: tutti si attenevano costantemente a un regime di vita regolato ed erano impegnati negli affari della collettività, e insomma consideravano la loro esistenza non in funzione di se stessi, ma della patria11.





Pur tenendo presenti le diverse fasi del sistema educativo spartano (il cui dichiarato intento era ovviamente quello di formare, attraverso il duro allenamento, le privazioni e la vita in comune, degli eccellenti soldati), l'elemento sul quale probabilmente vale maggiormente la pena di soffermarsi riguarda il fatto che a Sparta i figli non fossero possesso privato dei padri, ma possesso comune della polis: il compito di educare i giovani maschi, come si evince dai passi esaminati, spettava infatti allo stato, piuttosto che alla famiglia. Su questo punto anche Senofonte, nella sua Costituzione degli spartani, concorda: mentre altrove ogni uomo esercitava il proprio controllo esclusivamente nei confronti dei suoi stessi figli, a Sparta ogni padre poteva esercitare la stessa autorità sui propri figli così come sui figli altrui.



Ed ecco altri punti su cui Licurgo ha deciso ha deciso in maniera contraria alla maggior parte degli uomini. Nelle altre città ciascuno è libero di disporre dei propri figli, dei propri servi e dei propri beni; Licurgo invece, la cui mira era ottenere che i cittadini ricevessero un vantaggio gli uni dagli altri senza danneggiarsi a vicenda, fece sì che ognuno avesse potere tanto sui propri figli quanto su quelli degli altri12.









IL MATRIMONIO




L'interferenza dello stato era però tanto presente nella vita coniugale degli spartiati quanto nel sistema educativo dei giovani, e ancora una volta le nostre principali fonti sull'argomento sono Plutarco e Senofonte. In primo luogo, il matrimonio era obbligatorio, e la pena nella quale rischiavano d'incorrere coloro i quali si fossero eventualmente rifiutati di sposarsi era addirittura l'atimìa.




Licurgo inflisse ai celibi una sorta di privazione dei diritti civili e di pubblico disprezzo. Essi venivano infatti esclusi dallo spettacolo delle gimnopedie; in inverno, poi, i magistrati disponevano che essi, nudi, facessero il giro dell'agorà, e, mentre giravano, cantassero al proprio indirizzo una canzone appositamente composta, che diceva che essi subivano una giusta punizione, poiché disobbedivano alle leggi. Erano anche privati dell'onore e del rispetto che i giovani tributavano ai più anziani13.




In secondo luogo poi, pare che persino i rapporti sessuali fossero soggetti a diverse condizioni e restrizioni: poiché era piuttosto diffusa una credenza che voleva i figli nati da rapporti sessuali profondamente desiderati più sani e forti rispetto agli altri, lo sposo poteva raggiungere la propria moglie solo dopo aver partecipato al banchetto nuziale, e ci si aspettava che dopo aver consumato il matrimonio tornasse dai propri amici per passarvi insieme la notte.




Lo sposo [...], non ubriaco né svigorito, ma perfettamente sobrio, perché, come al solito, aveva pranzato alla mensa comune, entrato nella stanza, le scioglieva la cintura e la portava in braccio sul letto. Trascorso con lei non molto tempo, se ne andava compostamente a dormire nel luogo dove era solito farlo anche prima con gli altri giovani14.




L'incontro dei coniugi, così concepito, costituiva non solo un esercizio di autocontrollo e di temperanza, ma li conduceva all'accoppiamento fisicamente fecondi e sempre nuovi e freschi per l'attività amorosa, mai sazi o esauriti per i troppo rapporti sessuali; sempre, invece, quando si separavano, rimaneva in loro un residuo e una scintilla di desiderio e di affetto reciproci15.




Se si avvertisse la necessità di un'ulteriore dimostrazione della prevalenza degli interessi della città rispetto a quelli privati dei singoli cittadini (e dell'ingerenza dello stato in questa), il fatto che gli spartani fossero soliti condividere le proprie mogli con gli altri uomini, al fine di aumentare il numero dei figli, potrebbe senz'altro costituire un'ulteriore prova in questo senso.










Dopo aver imposto al matrimonio una disciplina che teneva in così gran conto il pudore, con impegno ancora maggiore Licurgo ne eliminò il sentimento vano e femmineo della gelosia. Ritenne opportuno infatti salvaguardare il matrimonio da ogni eccesso e disordine, e concedere a chi ne fosse degno la possibilità di avere figli e mogli in comune. Licurgo derideva chi, considerando questi beni come prerogative esclusive e indivisibili, era pronto a combattere guerre e a commettere stragi per rivendicarli a sé. Perciò, se un uomo anziano ammogliato con una donna giovane nutriva affetto e stima per un giovane nobile, poteva condurlo da lei e, dopo che questi l'avesse ingravidata con seme vigoroso, riconoscere il figlio come proprio. Era inoltre possibile a un galantuomo che provasse attrazione per una donna prolifica e onesta sposata a un altro, una volta ottenutone il consenso dal marito, di unirsi a lei, così da gettare il suo seme, per così dire, in una terra fertile, e procurarsi figli buoni destinati a essere fratelli e consanguinei di uomini buoni. Innanzi tutto, infatti, Licurgo riteneva che i figli non fossero proprietà privata dei padri, ma un bene comune della città: e per questo non voleva che i cittadini venissero messi al mondo da chi capitava, ma dai migliori16.




Riassumendo quanto detto finora, si potrebbe concludere che la città di Sparta sia stata uno dei primi stati totalitari della storia, e i costumi degli spartani nell'ambito dell'educazione, così come quelli riguardanti il matrimonio, ci dimostrano chiaramente come il singolo contasse ben poco, se non ai fini di quello che avrebbe potuto significare per la propria città o nei termini del sacrificio che avrebbe potuto offrire alla propria patria.





I REATI SESSUALI




Per tentare però di comprendere più ampiamente il quadro della condizione femminile a Sparta, occorre tener conto di uno degli aspetti che più di altri, in ogni luogo e in ogni tempo, ha rappresentato una specie di termometro per la comprensione di questa questione, e cioè la regolamentazione dei reati sessuali. A questo proposito, la nostra fonte è ancora una volta Plutarco, secondo la cui testimonianza a Sparta non sarebbero esistiti né adulterio né violenza sessuale. Alcuni studiosi identificano quest'informazione con l'assenza di leggi in materia, mentre altri (fra cui la stessa Eva Cantarella) ritengono più probabile che quella di Plutarco sia piuttosto un'idealizzazione della famiglia spartana, forse dettata dal desiderio di contrastare un luogo comune ateniese, avallato da Aristotele, secondo il quale il comportamento delle donne spartane sarebbe stato a tal punto sregolato da mettere in pericolo l'equilibrio della città. Naturalmente, una terza interpretazione potrebbe ricondurre l'inesistenza dell'infedeltà allo scambio delle donne, una pratica che probabilmente rendeva qualsiasi relazione extraconiugale nulla.





IL PATRIMONIO



Per quanto riguarda invece un altro aspetto rilevante ai fini della comprensione della complessa questione della condizione femminile nell'età antica, ossia l'argomento della proprietà familiare e della sua trasmissione, nonostante la già citata difficoltà di discernere, all'interno delle fonti in nostro possesso, le informazioni attendibili dalle descrizioni più fantasiose, possiamo affermare con un certo grado di plausibilità che fin dal momento della nascita ad ogni nuovo nato (maschio) venisse assegnato un appezzamento di terra. Per quanto riguarda invece le donne, sebbene alcuni studiosi sembrino piuttosto propensi a ritenere che a Sparta queste fossero escluse dalla proprietà terriera, Aristotele ci informa che, in realtà, dato l'elevato numero di ereditiere [patroukoi], e data la consuetudine di destinare alle figlie ricche doti, in realtà a Sparta quasi due quinti della totalità delle terre era, di fatto, proprietà di donne. È però ancora una volta Plutarco ad informarci che, per evitare che le donne povere rimanessero celibi, la pratica della dote, almeno in teoria, era stata proibita da Licurgo. Secondo MacDowell l'evidente contraddizione tra queste due fonti dimostrerebbe che i padri, semplicemente, non rispettavano la legge.




GORTINA



Nonostante la Grande Epigrafe di Gortina ci abbia restituito una serie di norme proveniente dalla città stessa, e sia dunque per sua stessa natura un documento straordinario, la distanza che sempre esiste tra il comportamento che una legge può prescrivere (o quello che invece può censurare) e quello tenuto dalle persone reali nella loro vita quotidiana ci impedisce di affidarci completamente a questo reperto.






Reperto archeologico della Grande Epigrafe di Gortina.

(http://www.steppa.net/html/meccanica1a5/gortina.jpg)





IL PATRIMONIO




Una prima, fondamentale differenza fra la condizione della donna in Atene e quella delle donne di Gortina, che ci aiuta inoltre a comprendere come l'influenza del matriarcato cretese abbia di fatto continuato ad influenzare la città, riguarda un particolare tipo di libertà, ossia quella che deriva dall'indipendenza economica. Infatti, a differenza delle donne ateniesi (per le quali era prevista solo una dote), e a differenza anche delle donne spartane (che sembra vi prendessero parte in maniera ufficiosa), quelle di Gortina partecipavano, anche se in condizione di inferiorità rispetto ai maschi (ai quali pare fosse riservata tutta una serie di beni, a cominciare dalla casa di città), all'eredità paterna. Dunque, anche se non equiparate ai fratelli (com'erano, ad esempio, le donne romane), si può dire che le donne di Gortina acquisissero comunque, alla morte del padre, una certa autonomia dal punto di vista economico. Autonomia che, a Gortina, sembra corrispondesse ad un rispetto per la volontà delle donne sconosciuto al diritto ateniese: alle linee 20-30 della IV colonna della Grande Epigrafe leggiamo infatti della possibilità, per quell'ereditiera che non avesse desiderato sposare il proprio parente più prossimo (una pratica comune all'epoca, poiché faceva sì, tra l'altro, che il patrimonio economico restasse all'interno del gruppo familiare), di evitare l'unione per mezzo di una compensazione economica da devolversi al pretendente respinto.






IL MATRIMONIO



Per quanto riguarda l'istituzione che storicamente ha rappresentato il momento culminante della vita di ogni donna, a Gortina il matrimonio era monogamo (come anche ad Atene e all'interno delle poleis in genere), e poteva essere sciolto solo dalla morte di uno dei coniugi o dal divorzio. Quando questo avveniva tra persone libere (poiché Gortina rappresenta un caso eccezionale per quanto riguarda le unioni fra schiavi, o addirittura fra persone libere e schiavi) la donna (considerata adatta al matrimonio dall'età di dodici anni) veniva data ad un uomo scelto dal padre, o comunque dal parente maschio più prossimo. Diversamente da quanto avveniva all'interno di altre poleis, però, il matrimonio a Gortina poteva essere anche uxorilocale, e non solo virilocale. Questo particolare rappresenta perciò un primo elemento di discontinuità rispetto al modello familiare ateniese, e non una discontinuità di poco conto, poiché ancora una volta testimonia del ruolo accordato alle donne in questa particolare polis: un ruolo sicuramente all'insegna di una maggiore autodeterminazione. Anche in caso di divorzio, infatti, nonostante il costume prevedesse il ritorno della donna alla casa paterna, come avveniva ad Atene, il fatto che potesse mantenere il diritto di crescere i propri figli rivela, ancora una volta, come le donne di Gortina godessero di una libertà inimmaginabile per il diritto ateniese. Un ulteriore elemento a favore di questa discussa autonomia femminile risiede sicuramente nella legittimazione del matrimonio tra persone libere e schiavi, l'unica norma del suo genere nel mondo antico. Leggiamo infatti in un passaggio cruciale della Grande Epigrafe (6.56-7.10), secondo quanto ci segnala Eva Cantarella nel suo saggio: «If the slave going to the free woman marries her, the children will be free. If the free woman goes to the slave, the children will be slaves»17. Certo, come una simile unione potesse poi di fatto essere possibile da realizzare nella vita reale per due persone di livello sociale così diverso potrebbe sicuramente costituire un'incognita. A questo proposito, Maffi18 si riferisce alla prescrizione che libera la donna dall'obbligo di sposare il proprio parente più prossimo, suggerendo che anche in questo caso il fatto che a Gortina le donne avessero la possibilità di giungere ad un certo grado di sicurezza economica, e conseguentemente ad un certo grado di indipendenza rispetto alla famiglia di origine, ci permetterebbe di immaginare che potessero compiere alcune scelte altrimenti inconcepibili.





IL REATO DI MOICHEIA




Come per Sparta, anche per quanto riguarda il tentativo di realizzare una visione che sia più ampia possibile della condizione femminile a Gortina è necessario riferirsi alla regolamentazione dei reati sessuali. Su questo argomento la Grande Epigrafe offre informazioni molto più ampie e precise rispetto alle fonti attiche, e i paragrafi 20-28 della II colonna riportano:



if one is caught while he commits moicheia with a free woman in the house of the father, brother or husband, he must pay a hundred staters; if in another's [house] 50; if with the wife of an apetairos [probably a person of a socially inferior status] [he will pay] ten; but if a slave [commits moicheia] with a free woman he shall pay double; and if a slave [commits moicheia] with a slave, five19.




L'Epigrafe ci aiuta dunque a comprendere come il reato di moicheia fosse, in realtà, più ampio rispetto all'odierno adulterio, e come potesse esserne imputata una donna nubile, sposata o divorziata. Per quanto riguarda invece la pena, a Gortina era pecuniaria, e ai maschi della famiglia non era consentito uccidere impunemente il moicos, come in determinati casi poteva avvenire, ad esempio, ad Atene. Il diritto di Gortina, probabilmente al fine di evitare che potessero nascere delle faide, imponeva dunque ai parenti della vittima l'accettazione di una compensazione economica, ma non solo. Si spingeva infatti fino al punto di stabilire l'esatto importo del risarcimento e, secondo quanto leggiamo, questo poteva essere più o meno oneroso a seconda del luogo dove il crimine veniva commesso (la casa del padre, del fratello o del marito della donna), o a seconda della condizione sociale più o meno elevata della vittima. Dunque, all'interno di queste righe troviamo ancora una volta confermata l'impressione che il reato di moicheia non fosse punito esclusivamente per una questione di legittimità dei figli ma anche, e forse soprattutto, perché il comportamento di una donna ledeva l'onore familiare, un onore che potremmo definire quantitativamente qualificabile a seconda della diversa posizione sociale ricoperta dal capo famiglia.














CONCLUSIONI



Nonostante il nostro tentativo di riflettere, tramite il presente elaborato, sulla significativa distanza esistente tra le poleis ioniche e quelle doriche, sia per quanto riguarda i rapporti tra pubblico e privato, tra padri e figli, tra mariti e mogli, sia per quanto riguarda in generale i costumi, Eva Cantarella conclude il proprio saggio citando una frase dal VIII libro delle Storie, all'interno del quale Erodoto parla di: «our common language, our common temples of the Gods, our rities, our common customs»20, scegliendo dunque di evidenziare, al di là delle differenze, le somiglianze rintracciabili all'interno della legge greca, pur nella sua pluralità.
















BIBLIOGRAFIA



Il testo di riferimento per questo articolo è il saggio The Greek Law and the Family scritto da Eva Cantarella e contenuto nel libro curato da B. Rawson A companion to Families in the Greek and Roman Worlds, Malden-Oxford-Chichester 2011, pp. 333-345.





FONTI



- Aristotele, Etica Nicomachea, Editori Laterza, Bari, 1999.

- Demostene, Contro Neera, 59, 122.

- Plutarco, Le Vite di Licurgo e di Numa, a c. di M. Manfredini e L. Piccirilli, Milano, Fondazione

Valla-Mondadori, 1980.

- Senofonte, Costituzione degli spartani; Agesilao, a c. di Guido D'Alessandro, Milano, Oscar

Mondadori, 2009.









STUDI



  • MacDowell D. M., The Law in Classical Atens, Thames and Hudson Ltd, 1978.









1 B. Rawson (cur.), A companion to Families in the Greek and Roman Worlds, Malden-Oxford-Chichester 2011, pp. 333-345.

2 D. M. MacDowell, The Law in Classical Athens, Thames and Hudson Ltd, 1978, p. 8.

3 Professore di greco e ricercatore presso l'università di Glasgow, membro della Royal Society of Edinburgh e della British Academy.

4 U. Paoli, 1961.

5 Aristotele, Etica Nicomachea, Editori Laterza, Bari, 1999, pp. 329-331.

6 Idem, 339-341.

7 E. Cantarella, Greek Law and the Family, in A companion to Families in the Greek and Roman Worlds, Malden- Oxford-Chichester 2011, p. 451.

8 Plutarco, Le vite di Licurgo e di Numa, a c. di M. Manfredini e L. Piccirilli, Milano, Fondazione Valla-Mondadori, 1980, 16, 1-2.

9 Idem, 16, 7.

10 Idem, 16, 10-11.

11 Idem, 24,1.

12Senofonte, Costituzione degli spartani; Agesilao, a c. di Guido D'Alessandro, Milano, Oscar Mondadori, 2009, 6, 1.

13 Plutarco, Le vite di Licurgo e di Numa, a c. di M. Manfredini e L. Piccirilli, Milano, Fondazione Valla-Mondadori, 1980, 15, 1-3.

14 Idem, 15, 6-7.

15 Idem, 15, 10.

16 Idem, 15, 11-14.

17 E. Cantarella, Greek Law and the Family, in A companion to Families in the Greek and Roman Worlds, Malden Oxford-Chichester 2011, p. 458.

18 Professore ordinario di Diritto Romano e Diritto Dell'Antichità presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca.

19 E. Cantarella, Greek Law and the Family, in A companion to Families in the Greek and Roman Worlds, Malden-Oxford-Chichester 2011, p. 459.

20 Idem, p. 461.




Aggiunto il 01/08/2017 08:15 da Davide Orlandi

Argomento: Altro

Autore: Davide Orlandi



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