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ARISTOTELE. Etica Nicomachea VIII

ARISTOTELE


ETICA NICOMACHEA


VIII.


di Davide Orlandi



I libri VIII e IX sono dedicati all’amicizia. In greco la parola φιλία ha una grande ampiezza semantica: non si riduce alla sola amicizia come noi la intendiamo, ma copre anche l’amore, alcuni tipi di relazioni economiche tra privati e le relazioni amichevoli e le coalizioni tra città diverse (per citare solo gli ambiti che Aristotele stesso richiama).

Aristotele inizia la trattazione dichiarando che nessuno accetterebbe di vivere senza amici, anche se possedesse tutti gli altri beni: si tratta di qualcosa di fondamentale per realizzare una vita felice. L’amicizia è simile alla benevolenza, ma a differenza di questa si esercita su persone conosciute e in modo esplicito e pubblico. Inoltre l’amicizia è reciproca, mentre la benevolenza può non essere ricambiata. L’amicizia implica un rapporto di uguaglianza, di parità. È possibile amicizia anche tra persone di livelli sociali diversi: tra padri e figli, tra chi legifera e chi è suddito, tra un uomo molto virtuoso e un uomo comune. In questi casi, però, lo squilibrio viene in qualche modo riequilibrato perché chi è meno virtuoso ama colui che lo è di più in modo molto più forte di quanto colui che è più virtuoso ami colui che lo è meno. L'amicizia è il compimento di una relazione che genera piacere: da soli non si può essere felici.

Aristotele distingue tre tipi di amicizia in base a ciò che tiene uniti due amici: possiamo essere amici di qualcuno in vista di un utile o in vista del piacere, o in vista della virtù. Nei primi due casi Aristotele parla di un’amicizia accidentale perché l’amico non è amato per sé, ma in vista di altro (perché può farmi raggiungere un utile o perché mi provoca piacere): queste amicizie si dissolvono facilmente perché utile e piacevole cambiano rapidamente. Diverso il caso dell’amicizia fondata sulla virtù perché essa legherà solo persone buone e virtuose e la virtù, essendo uno stato duraturo, creerà amicizie stabili. Questa è l’amicizia perfetta, che lega persone virtuose in modo duraturo e in cui si desidera il bene dell’altro in se stesso. Il piacere e l’utile possono rendere amici anche uomini malvagi, non così la virtù. Questo non vuol dire che le amicizie fondate sulla virtù non siano anche piacevoli e/o utili, ma non è in vista dell’utile e del piacere che nascono: Aristotele dice ad esempio che l’amicizia tra coniugi è piacevole e utile, e può essere anche virtuosa se entrambi gli sposi sono virtuosi (i figli aiutano questa “amicizia” a diventare sempre più stabile).

Aristotele parla dell'amicizia come di una virtù: questo aiuta a comprendere l'etica aristotelica come realizzazione di una comunità fondata sulla ricerca congiunta del bene (non si tratta del perfezionamento individualistico del saggio). Aristotele persegue un'idea di umanità che realizza se stessa attraverso istituzioni giuste e relazioni giuste tra pari.

A questo proposito Aristotele sottolinea, nell’ambito delle amicizie familiari, due questioni interessanti. La prima è che è possibile essere amico di un proprio schiavo (cosa generalmente negata dal pensiero greco): in quanto schiavo lo schiavo è un oggetto animato e quindi non è possibile essere suo amico (sarebbe come essere amico della propria zappa), ma lo schiavo è anche un uomo, e in quanto uomo è possibile essere suo amico. La seconda è che Aristotele tenta un paragone tra le diverse forme di governo e le relazioni familiari. Al di là della riuscita del parallelo aristotelico è un tentativo significativo perché dimostra una volta di più come il pensiero di Aristotele cerchi di legare organicamente la famiglia e lo Stato (la polis): dall’unione tra famiglie nasce lo Stato, che è pensabile come una famiglia molto allargata.





Aggiunto il 26/05/2018 00:20 da Davide Orlandi

Argomento: Filosofia antica

Autore: Davide Orlandi



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